A cosa serve il concordato preventivo biennale? Una via per sopperire ai pochi controlli del Fisco

Anna Maria D’Andrea - Dichiarazione dei redditi

Il concordato preventivo biennale come via per ribaltare il rapporto tra Fisco e contribuenti, nell'ottica di rispondere al problema dei pochi controlli fiscali. A dichiararlo il Viceministro dell'Economia, Maurizio Leo, nell'audizione del 30 ottobre

A cosa serve il concordato preventivo biennale? Una via per sopperire ai pochi controlli del Fisco

Il concordato preventivo biennale come via per sopperire al problema dei pochi controlli fiscali.

A fronte di un tax gap di circa 65 miliardi all’anno, il totale dei controlli effettuati sulla massa dei soggetti ISA è stato pari al 5 per cento nel 2022, percentuale ridotta al 2 per cento nel 2023. Questi i dati della Corte dei Conti riportati dal Viceministro dell’Economia Maurizio Leo, nel corso dell’audizione in Commissione Bilancio del Senato tenutasi oggi, 30 ottobre.

A poche ore dalla scadenza del concordato preventivo biennale, viene quindi posta all’attenzione la finalità del patto con il Fisco: si rimescolano le carte in tavola, nell’ottica di instaurare un dialogo ex ante mosso dalla necessità di invertire la rotta sulle scarse capacità di accertamento.

Il concordato preventivo biennale come via per risolvere il problema dei pochi controlli fiscali

“C’è tutto un mondo di soggetti che non vengono controllati, ma non per cattiva volontà dell’Amministrazione Finanziaria ma proprio perché c’è una capacità operativa che non consente di fare controlli a 360°.”

Questo il motivo alla base dell’introduzione non solo del concordato preventivo biennale, ma anche di ulteriori strumenti previsti nell’ambito dell’attuazione della riforma fiscale e in particolare della cooperative compliance e del tax control framework.

“Abbiamo dei dati che sono preoccupanti: 1,8 milioni contribuenti dichiara meno di 15.000 euro, quindi noi dobbiamo aggredire il mondo di questi soggetti e recuperare materia imponibile.”

Le parole pronunciate in Commissione dal Viceministro Leo, mente e fautore del concordato preventivo biennale, svelano le ragioni alla base dell’introduzione del controverso e discusso patto fiscale.

Si tratta di una via per instaurare un “dialogo preventivo” tra partite IVA e Amministrazione Finanziaria: l’Agenzia delle Entrate elabora una proposta di reddito e, per l’impresa o il professionista che accetta il conto predisposto, vengono congelati gli accertamenti per il biennio interessato.

“Concordi l’importo da pagare e stai tranquillo per i prossimi due anni”: lo evidenzia anche lo spot con il quale il MEF, nelle ultime settimane, ha tentato di dare lo sprint finale alle adesioni al concordato, in scadenza il 31 ottobre e senza possibilità di riaperture.

Nell’intenzione del Governo quindi, il patto con il Fisco contribuisce a sovvertire la logica degli accertamenti che, allo stato attuale, risultano inefficaci e poco incisivi.

Il fine giustifica i mezzi? Il concordato preventivo biennale “getta la spugna” sui controlli fiscali

Alla base dell’introduzione del concordato preventivo biennale vi è quindi il dato, innegabile, dell’incapacità allo stato attuale di effettuare controlli capillari e individuare così le sacche di irregolarità che portano a quei 65 miliardi di tax gap annui.

Discutibile, però, la via per sopperire a questa problematica.

Il concordato, affiancato a una sanatoria quinquennale che avvantaggia chi ha volontariamente nascosto redditi allo Stato, alleggerirà il carico di lavoro per gli uffici del Fisco, snellendo le procedure di accertamento.

A che prezzo? Dal Viceministro Leo non arrivano dati, ma a chi chiede se ci sarà una riduzione del gettito risponde evidenziando che, tenuto conto che non sono state stimate entrate, ci sarà necessariamente un aumento di gettito. “Quel che viene è tutto ben accetto” , afferma nel corso dell’audizione.

Per valutare l’impatto dello strumento bisogna però considerare chi è che ha maggiore convenienza ad aderirvi.

Sicuramente tutte le imprese e i professionisti che, sulla base dell’andamento della propria attività, hanno già la certezza che il proprio reddito effettivo nel prossimo biennio sarà più elevato di quello da concordato. Ma anche chi ha nascosto redditi al Fisco dal 2018 al 2022 e può ora mettersi in pari pagando un’imposta ridotta su una base imponibile forfettaria.

L’adesione al concordato diventa invece un terno al lotto tutt’altro che conveniente per il popolo delle partite IVA che, senza dati certi, si trova nella condizione di dover accettare un reddito più alto e bloccare le imposte dovute per il prossimo biennio.

D’altronde, ancor prima delle numerose modifiche che hanno stravolto l’assetto del concordato preventivo biennale, già il Servizio Bilancio della Camera aveva evidenziato il ragionamento utilitaristico alla base della scelta di aderire al concordato, individuando come “contribuente tipo” chi, considerando i possibili orizzonti di sviluppo della propria attività, potrà trarvi dei benefici economici.

Sintetizzando, aderirà al concordato chi sa che le imposte concordate risulteranno più basse di quelle dovute effettivamente tenuto conto della crescita del proprio reddito.

Potenzialmente quindi dal concordato potrà derivare una riduzione del gettito per le casse pubbliche, elemento che affianca alla misura targata Leo profili di illegittimità tenuto conto del principio di capacità contributiva e progressività previsto dall’articolo 53 della Costituzione.

Pur considerando quindi la necessità di risolvere il problema delle difficoltà per l’Amministrazione Finanziaria di effettuare controlli capillari ed efficaci, è il concordato la scelta migliore? Una domanda che lasciamo aperta e la cui risposta arriverà solo nei prossimi mesi, quando inizieranno ad arrivare i primi dati dell’impatto della misura.

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