L’autorizzazione dell’autorità giudiziaria non è necessaria se c’è il consenso del contribuente

Emiliano Marvulli - Imposte

In tema di accertamento delle imposte, l'autorizzazione del P.M. o dell'autorità giudiziaria all'apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili è necessaria solo in caso di opposizione del contribuente, e non in caso di consenso. Questo il principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione con l'Ordinanza n. 3182 del 2 febbraio 2022.

L'autorizzazione dell'autorità giudiziaria non è necessaria se c'è il consenso del contribuente

In tema di accertamento delle imposte, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere, prescritta in materia di IVA ma valida anche in tema di imposte dirette è richiesta soltanto nel caso di “apertura coattiva”, e non anche qualora l’attività di ricerca si svolga con il libero consenso del contribuente.

Questo il principio sancito dal massimo consesso della Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 3182 del 2 febbraio 2022.

La sentenza - Il caso attiene all’impugnazione di un avviso di accertamento relativo alla ripresa a tassazione di maggiore IRPEG, IRAP e IVA in relazione agli elementi raccolti nel corso di una verifica svolta nei confronti della società contribuente all’interno dei locali in cui aveva sede, nel corso della quale i verificatori avevano acquisito documentazione extracontabile all’interno di una valigetta dell’amministratore della società comprovante l’importo reale delle rimanenze di magazzino, parte delle quali non contabilizzate e non dichiarate ai fini fiscali dalla contribuente.

Avverso l’atto impositivo la società ha proposto ricorso. La controversia è giunta in CTR che, con riferimento alla questione della illegittima acquisizione della documentazione extracontabile da parte dei funzionari, rinvenuta in una valigetta dell’amministratore delegato della società senza autorizzazione del Procuratore della Repubblica, ha dato ragione all’Ufficio finanziario.

In particolare, a parere dei giudici d’appello non poteva ragionarsi in termini di apertura coattiva secondo il presupposto di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, in quanto la valigetta era stata consegnata spontaneamente e senza coercizione da parte del rappresentante legale della società verificata.

La società contribuente ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR lamentando anche l’aspetto relativo alle modalità di acquisizione della documentazione extracontabile.

La sezione tributaria della Corte di Cassazione, stante la rilevanza del tema, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite che è stata chiamata a pronunciarsi sulla validità dell’acquisizione degli atti contenuti nella valigetta messi a disposizione dell’Ufficio fiscale dall’amministratore della società.

Sul tema delle modalità di accesso presso i locali dell’impresa, l’art. 52 del DPR 633/1972 sancisce tra le altre cose che è, “in ogni caso”, necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’Autorità Giudiziaria più vicina qualora si proceda durante l’accesso “a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili”.

Le Sezioni Unite hanno chiarito l’importante principio per cui la disciplina normativa introdotta dall’art. 52, c.3 d.P.R. n.633/1972, nel prevedere che l’autorizzazione del P.M. del giudice sia richiesta solo per i casi di apertura coattiva, vada risolta nel senso secondo cui il:

“consenso libero, reso in assenza di alcuna costrizione, né diretta né indiretta perché correlata alla prospettazione di conseguenze sfavorevoli, del contribuente alla consegna della borsa sia idoneo a soddisfare le ragioni che il legislatore ha inteso tutelare nel richiedere il provvedimento autorizzativo.”

In altre parole, se il contribuente si oppone all’apertura di una valigia, l’accesso al contenuto della borsa è precluso salva la previa autorizzazione del P.M. o dell’autorità giudiziaria più vicina.

Se, viceversa, questa opposizione non si verifica, ne deriva la non necessità dell’autorizzazione, mancando in radice la coattività che ne costituisce il presupposto, a norma del c. 3 dell’art. 52 in esame.

Al riguardo, va precisato che il “consenso” dovrà ritenersi mancante non soltanto nelle ipotesi di costrizione materiale, eventualmente posta in essere dai verificatori, ma anche in quelle di apertura operata dal contribuente sotto minaccia, o solo determinata da coazioni implicite e ambientali.

È opportuno precisare, infine, che tutte le volte in cui la disponibilità all’apertura del soggetto interessato dalle attività, svolte in occasione dell’accesso, si affermi esser viziata da comportamenti indebitamente destinati a condizionarne il processo formativo e connessi alle modalità (ipotizzate intimidatorie e/o vessatorie) di svolgimento dell’azione accertativa o comunque collegate ad una illegittima attività di accesso spetterà al giudice di merito, all’interno dei poteri valutativi allo stesso demandati, accertare la sussistenza o meno di uno spontaneo e non coartato consenso all’apertura della borsa, con le conseguenze negative in tema di utilizzabilità del materiale probatorio in caso di esito negativo di tale accertamento.

In calce al ragionamento, la Corte di cassazione ha pertanto affermato il seguente importante principio di diritto:

“In tema di accertamento delle imposte, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere, prescritta in materia di IVA dall’art. 52, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 (e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973), è richiesta soltanto nel caso di “apertura coattiva”, e non anche ove l’attività di ricerca si svolga con il libero consenso del contribuente.”

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