I “rapportini” possono incastrare il contribuente

Emiliano Marvulli - Imposte

La documentazione extra-contabile legittimamente rinvenuta presso la sede dell'impresa, anche se consistente in semplici annotazioni personali dell'imprenditore, costituisce un elemento probatorio, seppur meramente presuntivo.

I “rapportini” possono incastrare il contribuente

La documentazione extra-contabile legittimamente rinvenuta presso la sede dell’impresa, anche se consistente in semplici annotazioni personali dell’imprenditore, costituisce un elemento probatorio, seppur meramente presuntivo.

Qualora tale documentazione sia, anche solo astrattamente, idonea a presumere l’esistenza di un maggior reddito imponibile deve essere obbligatoriamente valutata dal giudice di merito, alla luce delle informazioni contenute e della comparazione dei dati contenuti nella contabilità ufficiale, formalmente regolare, ai fini della determinazione del reddito effettivo del contribuente.

Tale principio è contenuto nell’Ordinanza n. 21138/2018 della Corte di Cassazione.

I fatti - Il ricorso è stato presentato da una società attiva nel settore dello stampaggio di articoli in plastica avverso un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle entrate per la ripresa a tassazione di un maggior reddito imponibile, derivante dalle risultanze di una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza.

Nel corso dell’attività ispettiva i militari avevano rinvenuto documentazione extra-contabile, nello specifico “rapportini di produzione” redatti dai dipendenti, sulla base dei quali l’Amministrazione finanziaria aveva ricostruito induttivamente il reddito d’impresa.

Nel ricorso il contribuente contestava nel merito la documentazione rinvenuta nel corso della verifica, costituita da rapportini “intrinsecamente errati e contraddittori” redatti dai dipendenti, contenenti dati che non tenevano conto dei prodotti destinati al macero o alla vendita come “seconda scelta”.

Inoltre, a parere del ricorrente, le risultanze dell’accertamento erano in contrasto con le giacenze di magazzino e con la documentazione bancaria e fiscale tenuta dalla società.

La CTP accoglieva il ricorso e tale decisione veniva impugnata dall’Ufficio, che si lamentava del fatto che i giudici non avessero tenuto in considerazione che i “rapportini” fossero stati redatti dai dipendenti, regolarmente ad ogni fine giornata e fossero appositamente firmati, con uno specifico dispendio di energie organizzative.

Parimenti, inascoltato era rimasto il rilievo che lo stesso presidente del consiglio di amministrazione avesse tentato di occultare e distruggere gli archivi informatici “a dimostrazione del valore conoscitivo che rivestivano nella gestione aziendale, che permaneva opaca sulla sorte del materiale prodotto e destinato ad essere distrutto e nuovamente immesso nel ciclo produttivo oppure venduto come seconda scelta.”

La CTR respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate, la quale impugnava la decisione dinanzi alla cassazione lamentando, come unico motivo, l’insufficiente motivazione della sentenza in merito alla presunta irrilevanza dei “rapportini di produzione”.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il motivo di ricorso e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, per la valutazione dello jus superveniens in materia di sanzioni amministrative e per la definizione delle spese di giudizio.

La decisione - Il tema principale della controversia in commento riguarda la legittimità dell’accertamento cd. analitico-induttivo previsto dall’articolo 39, co. 1 lett. d) del D.P.R. 600/1973 con cui l’Agenzia delle Entrate, a fronte di una contabilità solo formalmente regolare, può procedere alla rettifica del reddito d’impresa a seguito del controllo “della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili” sulla scorta, tra l’altro, di qualsiasi documentazione relativa all’impresa raccolta dall’Ufficio nel corso di un controllo.

Nel caso di specie, nel corso di una verifica fiscale, era stata rinvenuta presso la sede della società documentazione extra-contabile, consistente in annotazioni effettuate dai dipendenti dell’azienda dietro specifiche indicazioni dei responsabili, con modalità precise e con un consistente dispendio in termini di impegno aziendale.

Come confermato dai giudici di legittimità, tale documentazione, seppur in contrasto con le risultanze delle scritture contabili obbligatorie, tenute formalmente in maniera corretta, erano da ritenersi rilevanti ai fini della determinazione dell’effettivo volume di affari della società accertata, seppur come semplice elemento probatorio con un valore meramente presuntivo.

In tema di documentazione contabile non obbligatoria, legittimamente reperita presso la sede dell’Ufficio ed astrattamente idonea a presumere l’esistenza di elementi dell’attivo non dichiarati o l’inesistenza di passività dichiarate, la Corte di Cassazione ritiene oramai principio consolidato che tale documentazione, “pur in assenza di irregolarità contabili, non può essere ritenuta di per sé probatoriamente irrilevante dal giudice, senza che a tale conclusione conducano l’analisi dell’intrinseco valore delle indicazioni dalla stessa promananti e la comparazione delle stesse con gli ulteriori dati acquisiti e con quelli emergenti dalla contabilità ufficiale del contribuente.”

Nel caso in commento, il giudice di merito si è discostato da tale principio perché, in maniera ingiustificatamente sbrigativa, si è limitato a considerare irrilevante il contenuto probatorio dei rapportini di produzione solo sulla base del confronto con le risultanze in eccesso e in difetto delle scritture di magazzino, senza rilevare la rilevanza degli scostamenti.

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