Redditometro: l’onere di prova contraria ricade sul contribuente

Marcello Maiorino - Dichiarazione dei redditi

Con la sentenza n. 12527/2024, la Corte di Cassazione si è espressa in tema di redditometro e redditi presunti. L'onere di prova contraria ricade sul contribuente

Redditometro: l'onere di prova contraria ricade sul contribuente

La Corte di Cassazione chiarisce che, sulla base della disciplina del redditometro, che introduce una presunzione legale relativa, spetta al contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto applicando gli indici del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore.

In materia di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva.

La disciplina del redditometro

Risulta pertanto legittimo l’accertamento fondato su di essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.

Il sistema del “redditometro” collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione.

L’articolo 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente “ratione temporis” (cioè tra la l. n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla l. n. 122 del 2010), prevede da un lato, al comma 4 la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro, al comma 5 contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, vale a dire quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente.

La disciplina dell’onere probatorio

Ai sensi del sesto comma dell’articolo 38, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.

Sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale, la Corte chiarisce che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, dato che la legge stessa impone di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva.

Pertanto, il giudice tributario, accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni.

Resta al contribuente l’onere di provare, oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.

Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito altresì i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che tali ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che tali ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere).

In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha la finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di tali redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi.

Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame.

Con riferimento alla fattispecie all’esame della Corte, quest’ultima ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate, in quanto l’Ufficio ha assolto al proprio onere probatorio rilevando, da parte della contribuente e sulla base di una dichiarazione resa da quest’ultima nel relativo atto pubblico, l’acquisto di un terreno per una somma tale da costituire un investimento incongruo rispetto al reddito da essa dichiarato.

Spettava quindi alla contribuente dimostrare che tale incremento non costituisse manifestazione di una reale capacità reddituale e contributiva maggiore di quella dichiarata.

In ordine alle modalità di assolvimento di tale onere di prova contraria, questa Corte ha già chiarito come tale dimostrazione può essere fornita in giudizio ovvero, come si assume nel caso di specie, che il pagamento del prezzo non è avvenuto e, quindi, l’effettuata acquisizione di beni non denota una reale disponibilità economica, suscettibile di valutazione a fini fiscali, poiché il contratto stipulato, in ragione della sua natura simulata, ha una causa gratuita anziché quella onerosa apparente.

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