L'accertamento analitico induttivo basato sulle risultanze degli studi di settore è legittimo. Il contribuente deve provare e documentare la sussistenza di circostanze di fatto che giustifichino un reddito inferiore a quello indicato dalla procedura di accertamento tributario standardizzato. Lo chiarisce la Corte di Cassazione con l'Ordinanza n. 41943 del 2021.
È legittimo l’accertamento analitico-induttivo basato sulle risultanze degli studi di settore.
Una volta instaurato il contraddittorio endoprocedimentale, spetta al contribuente l’onere di provare e documentare la sussistenza di circostanze di fatto tali da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato.
Sono queste le indicazioni fornite dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 41943 del 30 dicembre 2021.
- Corte di Cassazione - Ordinanza numero 41943 del 30 dicembre 2021
- Il testo dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 41943 del 30 dicembre 2021.
I fatti – L’Agenzia delle entrate emetteva un avviso di accertamento sulla base degli studi di settore individuando in tal modo maggiori ricavi con conseguente rimodulazione della pretesa fiscale ai fini Ires, Irap, Iva oltre sanzioni.
Il ricorso proposto dal contribuente era accolto dalla CTP, i cui giudici hanno ritenuto che l’Agenzia avesse fondato l’accertamento sul mero scostamento dei dati rispetto a quelli degli studi di settore, senza considerare la realtà in cui operava l’impresa.
Avverso tale decisione proponeva appello l’Agenzia delle entrate, respinto anch’esso dalla CTR.
Avverso tale statuizione l’Ufficio finanziario ha proposto ricorso per cassazione, deducendo come motivo principale violazione e falsa applicazione dell’art. 62 bis, del decreto legge 30 agosto 1993 n. 331.
A parere della ricorrente la sentenza della CTR era errata nel punto in cui non ha valorizzato che l’Agenzia avesse valutato in sede di contraddittorio gli argomenti difensivi dedotti.
Il motivo principale è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso e cassato con rinvio la sentenza impugnata.
La decisione – Nel caso in esame, come previsto dalla specifica disciplina, l’Agenzia delle entrate ha instaurato un contraddittorio endoprocedimentale agli esiti del quale il contribuente aveva dedotto una serie di argomentazioni finalizzate a giustificare lo scostamento tra gli indici standardizzati ed i dati dichiarati che l’Ufficio, con apposita documentazione, ha disatteso nell’avviso di accertamento.
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale costante della Corte di cassazione, gli studi di settore previsti dall’art. 62 bis D.L. 331\1993, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo previsto dall’art. 39, primo comma, lett. d, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Dal lato probatorio spetta al contribuente l’onere di provare e documentare la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato.
È pertanto erroneo sostenere che sia onere dell’Agenzia specificare gli elementi concreti per cui potessero applicare gli studi di settore in quanto questo strumento costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio. Se l’Agenzia ottempera correttamente a tale dovere l’onere della prova ricade sul contribuente.
È utile precisare inoltre che l’Ufficio finanziario non ha applicato in modo automatico gli studi di settore perché la maggiore pretesa fiscale era stata individuata non solo sulla mera discordanza tra quanto dichiarato e gli studi di settore, ma tenendo conto anche di una ulteriore serie di elementi, tra cui la circostanza che la società avesse sempre concluso i propri esercizi con perdite di bilancio o al più con utili estremamente risicati, in netto contrasto con la logica economica.
l giudice di appello non hanno dato corretta applicazione agli indirizzi giurisprudenziali su richiamati perché non hanno considerato che gli studi di settore costituiscono un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento rispetto agli standards in sé considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio.
In accoglimento del ricorso la corte di cassazione ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla CTR in diversa composizione.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Studi di settore: il contraddittorio legittima l’accertamento analitico-induttivo