Il comportamento antieconomico della società legittima l'applicazione degli studi di settore e, dopo l'instaurazione del contradditorio, spetta al contribuente dimostrare la sussistenza di motivi idonei a giustificare un comportamento antieconomico. Questo è quanto stabilito dall'Ordinanza della Corte di Cassazione n. 14294/2021.
Il comportamento palesemente antieconomico della società, costituito da un rilevante rapporto deficitario tra valore complessivo dei costi sostenuti e i ricavi dichiarati, integra le gravi incongruenze che legittimano l’applicazione degli studi di settore.
Una volta instaurato a cura dell’Ufficio finanziario il contraddittorio endoprocedimentale, spetta al contribuente dimostrare concretamente l’effettiva sussistenza di validi motivi per porre in essere un comportamento manifestamente antieconomico.
Questo il contenuto dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 14294 del 25 maggio 2021.
- Corte di Cassazione - ordinanza n. 14292 del 25 maggio 2021
- Il comportamento antieconomico giustifica l’applicazione degli studi di settore
La sentenza – Il procedimento attiene all’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate per la rideterminazione, sulla base delle risultanze dello specifico studio di settore, dei ricavi dell’attività di una società.
Il ricorso è giunto sin dinanzi alla CTR, che rigettava l’appello proposto dall’Ufficio avverso la pronuncia della CTP, con cui era stato accolto il ricorso della società.
A parere del giudice la presunzione costituita dal giudizio di antieconomicità operata dall’Ufficio, se pur sufficiente a giustificare l’operato accertativo, doveva essere confortata da ulteriori elementi, non potendo costituire elemento probatorio di evasione fiscale specie alla luce dei dati forniti dal contribuente a conforto dello scostamento reddituale.
Avverso tale decisione l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione degli art. 62 bis e 62 sexies del D.L. 1993 nr 331 convertito con modificazioni dalla legge nr 427 del 1993 nonché dell’art. 39 comma I lett d) del DPR nr 600/1973.
La Suprema Corte, ritenendo fondato il motivo, ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha rigettato il ricorso del contribuente.
A parere dei giudici, che sul punto hanno avallato la tesi dell’amministrazione finanziaria, la procedura di accertamento attraverso gli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni che si forma procedimentalmente all’esito del contraddittorio, che è finalizzato, appunto, a verificare l’applicabilità dello specifico standard dello studio di settore al caso concreto oggetto di accertamento.
Gli studi di settore introdotti dal D.L. n. 331 del 1993, artt. 62- bis e 62-sexies, idonei di per sé a fondare semplici presunzioni, sono da ritenere supporti razionali offerti dall’Amministrazione al giudice.
Pertanto, i dati in tal modo presunti possono essere utilizzati dall’ufficio, anche in contrasto con le risultanze di scritture contabili regolarmente tenute, finché non ne sia dimostrata l’infondatezza mediante idonea prova contraria, il cui onere è a carico del contribuente.
Infatti, la circostanza che la società, a fronte di notevoli costi, dichiari un reddito esiguo, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell’erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 a meno che il contribuente non dimostri, concretamente, l’effettiva sussistenza di validi motivi per porre in essere un comportamento palesemente antieconomico.
A riguardo il Collegio di legittimità ha ribadito il principio per cui:
“un comportamento del contribuente palesemente antieconomico costituito da un rilevante rapporto deficitario tra valore complessivo dei costi sostenuti e i ricavi dichiarati integra le gravi incongruenze che legittimano l’applicazione degli studi di settore.”
In altre parole, a fronte di condotte aziendali che risultano in netto contrasto con le leggi del mercato, compete all’imprenditore dimostrare, in modo specifico, che la differenza negativa tra costi di acquisto e prezzi di rivendita, emersa dalle scritture contabili, non è dovuta all’occultamento di corrispettivi, ma trova valide ragioni economiche che la giustificano.
Trattandosi di accertamento basato sugli studi di settore, l’unico dovere dell’ufficio riguarda la corretta attivazione del contraddittorio.
Nel caso di specie il contradittorio è stato attivato e qui la società non ha superato l’onere di dimostrare, attraverso informazioni ricavabili da fonti di prova acquisite al processo con qualsiasi mezzo, la sussistenza di circostanze di fatto tali da far discostare la sua attività dal modello normale e giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale in virtù di detta procedura.
La CTR ha fatto erronea applicazione dei principi consolidati dalla giurisprudenza di legittimità, sostenendo che sarebbe spettato all’amministrazione finanziaria indicare e dimostrare fatti specifici idonei a confermare l’attendibilità del metodo presuntivo.
Al contrario un tale onere è predicabile solo qualora non sia stato instaurato il contraddittorio ovvero quando, attivato quest’ultimo, il contribuente abbia offerto elementi sia pure presuntivi in grado di giustificare lo scostamento.
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