L'atto impositivo può essere legittimamente emesso senza attivare il contraddittorio preventivo con il contribuente nel caso di un accertamento analitico induttivo del reddito di impresa che dipende, in via non esclusiva, dall'applicazione dello studio di settore. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 7584 del 30 marzo 2020.
Con l’Ordinanza numero 7584/2020, la Corte di Cassazione ha chiarito che, nell’ipotesi in cui l’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa dipenda, non in via esclusiva, dall’applicazione dello studio di settore, l’atto impositivo può essere legittimamente emesso senza attivare il contraddittorio preventivo con il contribuente.
- Corte di Cassazione - Ordinanza numero 7584 del 30 marzo 2020
- In caso di accertamento da studi di settore “misto” non è obbligatorio il contraddittorio preventivo. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l’Ordinanza numero 7584 del 30 marzo 2020.
La sentenza - La controversia segue il ricorso presentato da una società avverso un avviso di accertamento con cui veniva accertato un maggior reddito di impresa.
In riforma alla sentenza di primo grado, la CTR aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate ritenendo fondato l’accertamento analitico-induttivo basato su una grave antieconomicità dell’attività, in ragione dello scostamento tra il reddito dichiarato e quello risultante dall’applicazione degli studi di settore e di un bilancio in perdita per più anni senza alcuna giustificazione.
La società ha impugnato la sentenza di secondo grado, affermando l’errore dei giudici che non hanno dato rilevanza al mancato invito a comparire che deve obbligatoriamente precedere la notifica dell’avviso di accertamento basato sugli studi di settore.
La corte di cassazione ha respinto il ricorso perché ritenuto infondato.
Si premette che, nel caso di specie, non si verte in un caso di accertamento da studio di settore “puro”, bensì “misto” perché lo scostamento dagli indici parametrici è soltanto uno degli elementi probatori su cui è basata la pretesa erariale.
Ai fini della ripresa è invece principale e decisiva la palese “antieconomicità” della gestione aziendale, protratta per più anni di imposta e non adeguatamente giustificata dalla società contribuente. Di conseguenza si tratta di un accertamento analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d) d.P.R. n. 600 del 1973, derivante anche dall’applicazione di studi di settore.
Ciò detto, in materia di contraddittorio endoprocedimentale di cui all’art. 12, I. n. 212 del 2000, la Corte di cassazione ha escluso l’esistenza di un obbligo generalizzato e indiscriminato di contraddittorio.
Invero, “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio”.
Se ne deduce che, in caso di accertamento “a tavolino” (come nel caso di specie), l’art. 12, comma 7 dello Statuto non trova applicazione nel caso di specie quanto alle imposte dirette.
In relazione alla ripresa IVA, tributo armonizzato, l’obbligo del contraddittorio sussiste, ma “la violazione della sua omessa instaurazione e del rispetto del termine dilatorio prima della notifica dell’avviso non comporta l’invalidità dell’atto impositivo in ogni caso, ma solo allorché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, circostanze non sostanziate in alcun modo dalla contribuente nel caso in esame”.
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