Lo scostamento dagli studi di settore è un dato che legittima da solo l'accertamento tributario da parte dell'Agenzia delle Entrate. Spetta al contribuente fornire prova del contrario in fase predibattimentale ed anche in sede contenziosa. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 23252/2019.
Una volta instaurato correttamente il contraddittorio con il contribuente, lo scostamento dagli studi di settore è un dato idoneo ad integrare la presunzione legale che, anche da sola, è sufficiente a legittimare l’accertamento tributario.
Resta ferma la possibilità per il contribuente di provare in sede contenziosa l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce.
È questo l’innovativo principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza n. 23252/2019.
La decisione – Il giudizio verte sul ricorso proposto da una società esercente attività di vendita all’ingrosso di materiale elettrico avverso un avviso di accertamento emesso sulla base delle risultanze degli studi di settore. La CTP ha accolto il ricorso, riconoscendo che l’Amministrazione finanziaria aveva omesso di fornire ulteriori elementi idonei a dimostrare l’effettivo conseguimento di un maggior reddito da parte dell’impresa. Ciò in quanto gli studi di settore hanno valore di presunzioni semplici che, da sole, non legittimano l’accertamento perché devono essere accompagnate da ulteriori elementi probatori, caratterizzati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza.
La CTR ha invece ribaltato il giudizio, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate.
La controversia è così giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, laddove il contribuente ha lamentato che “la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le eventuali contestazioni.”
I giudici di legittimità hanno ritenuto inammissibile i motivi di ricorso sul punto, affermando che gli scostamenti dalle risultanze degli studi di settore integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo.
Tuttavia tale attività deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale incombe “l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello «standard» prescelto al caso concreto oggetto di accertamento.”
In buona sostanza, ai fini della ripartizione dell’onere della prova, la Corte di Cassazione è unanime nel ritenere che è onere dell’Amministrazione finanziaria dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento, mentre spetta al contribuente provare e documentare la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce.
Inoltre la Suprema Corte ha affermato - ed è qui la novità - l’importante principio per cui, una volta attivato correttamente il contraddittorio, se il contribuente omette di parteciparvi oppure non fornisce documenti e giustificazioni adeguati, “l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri.”
Al contribuente non resterebbe altro che far valere le proprie ragioni in fase contenziosa, ma qui ha l’onere di produrre dinanzi al giudice giustificazioni idonee per “vincere le presunzioni legali che, nelle circostanze descritte, assistono l’operato dell’Ente impositore, e sono comunque idonee a fondare, anche da sole, la validità dell’accertamento.”
Alla luce di tale ragionamento la Corte di cassazione ha prodotto il seguente principio di diritto: “il calcolo del reddito effettuato mediante lo studio di settore, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idoneo ad integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per l’accertato, di fornire la prova contraria, in fase predibattimentale ed anche in sede contenziosa.”
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Gli scostamenti dagli studi di settore al pari delle presunzioni legali