Nella Sentenza della Corte di Cassazione n. 13343 del 2023 i giudici di legittimità non accolgono la tesi della società ricorrente che riteneva di non essere soggetta alla sovraimposta ex art. 2 del DL n. 133 del 2014 in quanto esercente attività finanziaria di natura non speculativa
Nella Sentenza n. 13343 del 2023 la Corte di Cassazione in merito alla richiesta di rimborso effettuata da una società di gestione del risparmio (SGR) che contestava la debenza dell’addizionale IRES introdotta dall’articolo 2 del DL n. 133 del 2013.
La richiesta della società è fondata sull’assunto per cui dal perimetro dei soggetti destinatari della sovrimposta andrebbero esclusi quanti esercitano attività finanziaria ma di natura non speculativa.
Ritiene inoltre che la sovraimposta non è sorretta da una valida causa giustificatrice, né da una condizione di straordinarietà o imprevedibilità tale da legittimare la decretazione d’urgenza.
La controversia all’esame della Corte di Cassazione ed il rinvio alla recente giurisprudenza costituzionale
La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso della società, fa leva sulle argomentazioni e le conclusioni fatte proprie dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 288 del 2019, che ha dichiarato la legittimità costituzionale della sovraimposta (così qualificata), rispondendo ad analoghe censure di legittimità costituzionale sollevate con il ricorso. Sulla stessa questione, poi, la Consulta si è nuovamente espressa negli stessi termini con ordinanza n. 165 del 2021.
In merito alla asserita violazione dell’art. 77 Cost., la Consulta la ha esclusa rilevando che la finalità della norma censurata e lo specifico contesto in cui è stata dettata, coerente con la volontà di assicurare copertura finanziaria alla diminuzione del gettito derivante dall’esenzione, disposta dal medesimo decreto-legge, dal pagamento della seconda rata dell’IMU per il 2013, escludono che nella fattispecie ricorra una evidente mancanza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza, alla quale è circoscritto il sindacato costituzionale sull’adozione di un decreto-legge.
La Corte Costituzionale ha quindi evidenziato che la disposizione censurata è riconducibile alla categoria delle “sovraimposte” nonostante l’espressa qualifica della stessa come “addizionale”.
Al riguardo, a fronte dell’identità del parametro (il reddito), il prelievo è a carico solo di determinati soggetti passivi e su una base imponibile in parte differenziata.
Ha quindi ritenuto che la diversificazione del regime tributario per tipologia di contribuenti posta dalla misura in esame che ha incrementato il prelievo fiscale a carico di un’unica, ristretta, cerchia di soggetti, è sorretta da adeguate giustificazioni.
Il legislatore non ha travalicato il limite della ragionevolezza dell’intervento normativo che ha introdotto, in un periodo di crisi, un’imposta finalizzata a fornire copertura, per un periodo transitorio (l’anno 2013), a un’operazione diretta ad alleggerire il carico fiscale che grava sui contribuenti residenti per effetto dell’obbligo di pagamento della seconda rata dell’IMU.
Lo spostamento della fiscalità dall’imposizione immobiliare sulle persone fisiche a quella reddituale su determinate persone giuridiche, non ha determinato un’irragionevole discriminazione qualitativa dei redditi, ma un effetto redistributivo e solidaristico.
La Consulta ha quindi ritenuto non arbitraria la scelta effettuata dal legislatore, ritenendo plausibile nel contesto storico di un periodo di crisi desumere dall’appartenenza del contribuente al mercato finanziario uno specifico e autonomo indice di capacità contributiva, rilevante ai fini di un temporaneo intervento anticongiunturale per gli enti creditizi e finanziari, e per le società e gli enti che esercitano attività assicurativa.
Il focus sulle SGR: l’addizionale IRES è dovuta
La società ricorrente, nonostante l’intervento della richiamata pronuncia della Corte Costituzionale, riteneva che l’illegittimità costituzionale della norma persistesse nei confronti delle SGR (alla quale categoria essa appartiene) sulla scorta del fatto che le stesse non esercitano l’attività di erogazione del credito ai propri clienti e risultano esposte in modo irrisorio al rischio di credito, essendo i loro clienti gli investitori e quindi soggetti, di regola, liquidi.
A sostegno della peculiare natura soggettiva delle SGR adduce inoltre che l’evoluzione normativa che ha caratterizzato la materia darebbe atto che il legislatore (con riferimento ad una successiva omologa addizionale introdotta dall’art. 1, comma 65, della legge n. 208 del 2015) è consapevole della sperequazione venutasi a creare nei confronti di tali soggetti ed ha esplicitamente escluso dall’ambito soggettivo di applicazione dell’imposta proprio le SGR.
Ciò premesso, la Corte di Cassazione ha evidenziato che la sentenza n. 288 del 2019 è stata resa nell’ambito di un contenzioso in cui era parte una SIM, vale a dire un soggetto giuridico analogo, per caratteristiche di mercato, alle SGR.
Inoltre, i profili evidenziati come caratteristici delle SGR nel complesso del settore bancario e finanziario, piuttosto che porla in una posizione di maggior sfavore, sottolineano il minor impatto subito dalla crisi economica e confermano la sussistenza dei parametri di non arbitrarietà e proporzionalità della misura adottata.
Pertanto, la scelta, dettata da un contesto temporale di crisi che aveva colpito tutti i settori economici, di assumere come presupposto impositivo l’appartenenza dei soggetti passivi al mercato finanziario (di cui fanno parte anche le SGR) ravvisando in tale appartenenza uno specifico indice di capacità contributiva, si salda con le considerazioni di sistema effettuate dalla Consulta.
Il settore colpito da imposizione è connotato infatti dall’appartenenza ad un mercato che, in forza di “barriere strutturali” per l’ingresso, assume connotati di tipo oligopolistico.
Ciò comporta che le imprese che operano in tale mercato dispongono di un significativo potere di mercato, derivante anche da un certo grado (variabile in relazione ai servizi e ai settori) di anelasticità della domanda.
Inoltre, il concetto di capacità contributiva non necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali come il patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e più evolute forme di capacità, che ben possono denotare una forza o una potenzialità economica.
I giudici della Cassazione inoltre non attribuiscono rilevanza all’argomento addotto dalla ricorrente per cui l’adozione di una successiva omologa addizionale introdotta nel 2015 a carico degli entri creditizi e finanziari, ma con esclusione delle SGR, sarebbe indicativa di una sperequazione creatasi nei confronti di tali soggetti, dato che l’articolo 1, comma 65, della legge n. 208 del 2015, che ha introdotto una addizionale IRES per gli enti creditizi e finanziari, con esclusione delle SGR, nasceva in un contesto diverso da quello del 2013.
Tale esclusione deriva dal fatto che l’addizionale IRES poneva le società di gestione dei fondi comuni d’investimento in una posizione di forte svantaggio competitivo rispetto agli altri settori produttivi, ma anche rispetto alle banche e agli altri intermediari finanziari che potevano beneficiare della integrale deducibilità degli interessi passivi ai fini IRES ed IRAP prevista ai sensi dei commi 67 e 68 dell’articolo 1 di tale legge n. 208 del 2015.
Diversamente, tale ultima misura aveva effetti poco rilevanti per le SGR, tenuto conto che gli interessi passivi assumono per esse un valore marginale rispetto ai costi e ricavi tipici rappresentati da commissioni attive e passive connesse alla gestione di patrimoni e alla prestazione di servizi connessi e strumentali.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Anche le SGR sono soggette ad addizionale IRES