Il ritardato incasso di crediti verso la Pubblica Amministrazione non rientra tra le cause di forza maaggiore e non esclude le sanzioni per tardivo versamento delle imposte. Lo ha sancito la Corte di Cassazione
Con l’ordinanza n. 12708/2024 la Corte di Cassazione ha sancito che, ai fini della non punibilità delle violazioni tributarie, la crisi di liquidità derivante dal reiterato, per quanto grave, inadempimento di pubbliche amministrazioni debitrici non integra una “causa di forza maggiore” per escludere le sanzioni previste in caso di tardivo versamento delle imposte.
Intendendosi per “forza maggiore” un avvenimento anomalo e imprevedibile, ascrivibile a una causa esterna, non vi rientra il ritardato incasso di crediti verso la PA, perché evento (purtroppo) ricorrente e prevedibile.
Crisi di liquidità: i tardivi pagamenti della PA non integrano una “causa di forza maggiore”
Il giudizio verte sull’impugnazione di una cartella di pagamento, emessa a seguito del controllo automatizzato, avente ad oggetto sanzioni ed interessi conseguenti a ritardato pagamento del primo e secondo acconto IRES.
La società ha impugnato l’atto eccependo che il ritardo nei pagamenti degli acconti era dovuto all’inadempienza della Pubblica Amministrazione, la quale aveva sistematicamente tardato nell’onorare i propri debiti nei suoi confronti, e ricorreva pertanto una causa di forza maggiore, che escludeva la colpevolezza e rendeva illegittima la richiesta di pagamento di interessi e sanzioni.
La CTR, in linea con la CTP, ha accolto il ricorso della società ritenendo illegittima la cartella di pagamento, essendo il ritardato pagamento delle imposte dovuto al comportamento della Pubblica Amministrazione, la quale non ha adempiuto tempestivamente alle proprie obbligazioni.
Avverso questa decisione l’Ufficio ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione dell’articolo 6, comma 5,del Dlgs n. 472/1997 nell’avere la CTR ritenuto integrata la forza maggiore nel ritardato pagamento delle imposte, a causa del ritardo della Pubblica Amministrazione nel pagamento dei propri debiti nei confronti della contribuente.
L’Amministrazione finanziaria ha fatto presente che la causa di forza maggiore va intesa come evento oggettivo estraneo alla condotta del soggetto astrattamente responsabile, richiedendo la prova dell’interruzione del nesso di causalità tra mancato pagamento (inadempimento) e condotta del contribuente.
La ricorrente deduce inoltre che l’esclusione della colpevolezza e, quindi, delle sanzioni si verifica soltanto in presenza di:
“una forza irresistibile in quanto superiore alle facoltà di dominio dell’agente.”
In particolare, non può riconoscersi una situazione di forza maggiore, che escluda la punibilità dell’agente, in quei casi in cui la condotta dovuta è stata omessa per la sussistenza di una condizione di difficoltà economica, non avendo il contribuente dimostrato l’impossibilità di fronteggiare le difficoltà con altre misure (ad es. la richiesta di mutuo).
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso e ha cassato la sentenza impugnata. Decidendo nel merito la Corte ha rigettato l’originario ricorso introdotto dalla contribuente.
La forza maggiore va intesa secondo la sua accezione penalistica
Nel caso di specie, la società insiste nella propria tesi secondo cui il (non contestato) ritardato pagamento da parte della Pubblica Amministrazione dei cospicui debiti contratti con l’esponente, ha posto quest’ultima in una condizione di crisi di liquidità, che ha agito quale causa di forza maggiore impedendole, senza sua colpa, di onorare tempestivamente i propri obblighi tributari.
Risulterebbe del resto iniquo che la PA, responsabile di avere causato la crisi di liquidità del suo creditore, che è al medesimo tempo ed in relazione ai medesimi rapporti imprenditoriali debitore del fisco, possa poi richiedere il pagamento delle sanzioni in relazione ad una condotta che essa stessa ha provocato.
Di diverso avviso la Corte di Cassazione, che è ferma nel ritenere che la “forza maggiore” postuli la sussistenza di un’obbligazione riferita, direttamente o indirettamente, a una imposta rimasta inadempiuta per la presenza di circostanze “anomale e imprevedibili”, non imputabili all’operatore, ascrivibili a una causa esterna, sopravvenuta, imprevedibile ed inevitabile.
Il Collegio ha quindi statuito che, in tema di sanzioni tributarie, posto che il diritto sanzionatorio ha natura punitiva, la forza maggiore va intesa secondo la sua accezione penalistica, e va quindi riferita ad un avvenimento imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri comportamenti, elidendo il requisito della coscienza e volontarietà della condotta; ne consegue che non risponde a tale nozione la crisi di liquidità derivante dal reiterato, per quanto grave, inadempimento di pubbliche amministrazioni debitrici, peraltro prevedibile.
Nel caso di specie non ricorre alcun evento imprevedibile, essendo il ritardato pagamento della PA un fenomeno (purtroppo) ricorrente, ed essendo onere dell’imprenditore predisporre quanto necessario (accantonamenti, mutui) per poter versare il dovuto all’Erario, pur in presenza di significativi ritardi della PA nella corresponsione anche di cospicui importi.
Non si è del resto mancato di specificare che, in materia tributaria e fiscale, la nozione di forza maggiore richiede la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi, dovendo la sussistenza di tali elementi essere oggetto di idonea indagine da parte del giudice, sicché non ricorre in via automatica l’esimente in esame nel caso di mancato pagamento dovuto alla temporanea mancanza di liquidità.
Da qui l’accoglimento del ricorso proposto dalla ricorrente Amministrazione finanziaria e la cassazione della sentenza impugnata.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Crisi di liquidità: i tardivi pagamenti della PA non integrano una “causa di forza maggiore”