Evasione fiscale, riciclaggio e autoriciclaggio: elementi comuni e differenze. Un focus con i chiarimenti della Cassazione

Le attività di riciclaggio ed i fenomeni di evasione fiscale - pur appartenendo a categorie concettuali ben definite e diverse tra loro - presentano caratteristiche e perseguono finalità comuni.
Entrambe le fattispecie, spesso collegate tra loro e realizzate mediante il ricorso a sofisticati artifizi contabili, danno luogo alla falsificazione dei bilanci e delle dichiarazioni, alimentano la cosiddetta economia sommersa e generano flussi di denaro capaci di determinare gravi distorsioni alterando le condizioni di libera concorrenza.
La tutela del sistema economico si persegue dunque ostacolando il reinvestimento nei processi produttivi dei capitali di illecita provenienza.
Evasione e riciclaggio: qual è la differenza?
In un tale contesto, pertanto, anche i reati connessi alle imposte dirette e indirette sono stati fatti rientrare nella definizione di “attività criminosa”, i cui proventi possono costituire oggetto di operazioni di money laundering.
Tanto l’evasione fiscale quanto il riciclaggio presuppongono del resto l’esercizio di attività dirette alla accumulazione di ricchezza.
Nel primo caso, tuttavia, la provenienza dei capitali sottratti all’imposizione diretta o indiretta è quasi sempre lecita, potendo derivare da attività economiche o finanziarie il cui esercizio è consentito e disciplinato dall’ordinamento giuridico (l’unica eccezione è costituita dalla tassazione dei proventi illeciti, se non già sottoposti a sequestro o confisca penale).
Nel secondo caso, viceversa, il riciclaggio ha per oggetto ricchezza derivante da attività criminali.
Il fine perseguito dall’operatore consiste comunque, in entrambi i casi, nel mimetizzare i proventi ostacolando l’individuazione della provenienza illecita del denaro.
Tanto premesso, la legge mira a sanzionare le attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni od altre utilità che abbiano la caratteristica specifica di essere idonee ad impedire od ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Il Legislatore richiede quindi che la condotta sia dotata di particolare capacità dissimulatoria, attribuendo rilevanza alla reimmissione nel circuito finanziario, ovvero imprenditoriale, del denaro o dei beni di provenienza illecita.
Provento riciclabile è peraltro ogni vantaggio economico derivante da reato.
Nel caso, per esempio, di omesso versamento d’imposta, l’oggetto del reato di riciclaggio coinciderà con l’utilità ritratta dal mancato versamento e quindi con l’ammontare dell’imposta non versata.
La maggior ricchezza presente nel patrimonio del reo, per effetto della consumazione di un reato tributario, ancorché derivante da risparmi d’imposta, è dunque certamente provento del reato ed, in particolare, può rientrare in quella nozione di “altra utilità” che, ai sensi dell’art. 648 bis c.p., può costituirne l’oggetto.
Evasione, riciclaggio e autoriciclaggio: le posizioni della Corte di Cassazione
In tal senso è utile richiamare la recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Penale, 19/03/2025, n. 10981.
Nella specie il Tribunale del riesame aveva confermato il decreto con il quale il GIP aveva disposto il sequestro preventivo nei confronti della indagata, per il delitto di cui all’art 648 bis cod. pen., per aver ricevuto sul suo conto bancario somme di denaro provento di reati di dichiarazioni fraudolente commessi dal figlio nell’esercizio dell’attività professionale di avvocato in danno di clienti, compiendo operazioni di sostituzione, trasferimento ed investimento dei profitti illeciti in modo idoneo ad ostacolare l’individuazione della loro illecita provenienza.
Per quel che qui interessa, è rilevante evidenziare che la ricorrente aveva tra le altre opposto che erano stati violati i criteri di proporzionalità ed adeguatezza della misura cautelare reale, laddove si assumeva non essere state motivate le ragioni per cui l’importo dedotto in sequestro risultasse pari ad Euro 7.814.506,00 a fronte dell’imposta asseritamente evasa da parte del coindagato (il figlio), pari ad Euro 1.894.897,12.
La Corte rileva a tal proposito che l’Ordinanza impugnata aveva ben evidenziato che la confisca diretta delle somme che provenivano dai delitti presupposto che si assumevano commessi dal figlio e che la madre aveva poi acquisito nei suoi conti correnti, riguardava correttamente anche le somme ulteriormente incrementate da operazioni di investimento: la confisca, infatti, non implica necessariamente un’identità tra profitto del reato presupposto e riciclaggio, in quanto si estende sia al profitto che al prodotto del reato.
In tema di confisca ex art. 648 - quater cod. pen., infatti, è suscettibile di ablazione non solo il profitto del reato, ma anche il prodotto di esso, prevedendo la normativa sovranazionale la necessità di sottrarre alla criminalità i risultati dell’attività illecita, che non si esauriscono nei soli vantaggi derivati, in via diretta o mediata, dai delitti presupposti, ma comprendono anche quanto forma oggetto delle successive fasi di reinvestimento o trasformazione degli anzidetti proventi (cfr., Cass., Sez. 2, n. 18184 del 28/02/2024).
L’ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa
Quanto infine al concetto di ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa, la giurisprudenza sul tema è stata sinora molto rigorosa, essendo stato ritenuto integrare riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo a impedire in modo definitivo, ma anche a rendere solo più difficile l’accertamento della provenienza del denaro attraverso un qualsiasi espediente.
Configura così un autonomo atto di riciclaggio qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, e anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario a un altro diversamente intestato, e acceso presso un differente istituto di credito, e ciò pur in presenza di una completa tracciabilità dei flussi finanziari, atteso che, stante la natura fungibile del bene, per il solo fatto dell’avvenuto deposito, il denaro viene automaticamente sostituito.
Riciclaggio e autoriciclaggio: gli elementi che caratterizzano i reati
Il riciclaggio (a differenza dell’autoriciclaggio) richiede del resto necessariamente il coinvolgimento di soggetti terzi estranei al delitto principale (da cui provengono i denari), laddove la difficoltà da parte dell’accusa, spesso, risiede proprio nel provare la consapevolezza del terzo della provenienza delittuosa di tali beni/utilità.
L’autoriciclaggio (articolo 648-ter, n. 1, del Codice penale) risolve invece queste difficoltà di provare il consapevole coinvolgimento del terzo nella “ripulitura” delle somme illecite: è infatti lo stesso soggetto che ha commesso il delitto principale (da cui derivano i beni e le utilità) a trasferirle, investirle, impiegarle ecc.
Rispetto al riciclaggio, per la contestazione di autoriciclaggio, è richiesto però un ostacolo all’identificazione della provenienza non generico ma concreto.
La ratio è quella di sanzionare chi si è illecitamente procurato denaro od altri beni attraverso la commissione di un reato e poi utilizza con date modalità i profitti degli illeciti commessi.
Questo non avviene, ad esempio, per il ladro, che non verrà punito, oltre che per furto, anche per autoriciclaggio se utilizza il bene sottratto.
Ma, invece, si verifica, come dice espressamente la norma citata, a carico di “chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.
Se, quindi, ad esempio, il denaro proveniente da una truffa o da un reato fiscale viene direttamente versato sul conto bancario dello stesso autore del reato-base, senza che ciò dia luogo a difficoltà identificative, manca il presupposto del delitto.
Se, invece, una società utilizza le somme risparmiate mediante il reato tributario versandole sul conto di una società estera in adempimento di clausole contrattuali relative all’acquisizione di partecipazioni della stessa, o l’amministratore di una società di capitali utilizza le somme risparmiate mediante il reato tributario ricevendo un’anticipazione sul proprio compenso per effettuare delle spese personali di carattere straordinario, è difficile ritenere che non vi siano i presupposti del reato.
Cyberlaundering: il fenomeno del riciclaggio online
Il “problema” è poi aggravato dal fatto che Internet e la rete fungono da acceleratore per il cosiddetto cyberlaundering, ossia il riciclaggio online.
Con Internet, in sostanza, viene ampliata quella distanza tra il riciclatore ed il capitale, frutto dell’attività illecita, rendendo più difficoltosa l’indagine sui soggetti sospettati in termini di garanzia maggiore dell’anonimato, indifferenza rispetto alla distanza geografica, velocità nella realizzazione delle transazioni.
Nell’ipotesi del Cyberlaundering vero e proprio, poi, l’attività di riciclaggio si riduce sostanzialmente ad un’unica operazione virtuale e dematerializzata. Come, per esempio accade se si debba rilevare se, a fronte di una somma erogata per servizi on line verso un sito web straniero, il servizio virtuale sia stato effettivamente erogato, o se questo sia invece solo la rappresentazione artificiosa necessaria per giustificare il transito dei capitali.
Gli svariati sistemi di trasferimento di somme utilizzati per il riciclaggio si coniugano del resto con altrettante operazioni che, fittiziamente, ne consentono un’apparente copertura.
E, in tal senso, la tradizionale tecnica delle false fatture, che possono avere per oggetto operazioni del tutto inesistenti (oggettivamente inesistenti), ovvero operazioni per importi superiori o inferiori a quelli effettivi (sovra o sottofatturazione), fornisce appunto copertura agli spostamenti di denaro di origine delittuosa.
E, infine, c’è la frontiera delle criptovalute, laddove, ad esempio, sussiste il reato di autoriciclaggio nel caso in cui siano state impiegate parte delle somme distratte dalla società in operazioni speculative mediante acquisto di criptovalute (cfr., Cass., n. 36027 del 23.09.2022).
Operazioni con le criptovalute pongono del resto sicuramente un serio ostacolo alla identificazione del beneficiario finale delle transazioni, soprattutto laddove l’operazione di trasferimento venga effettuata servendosi di società estere che effettuano professionalmente il cambio di valuta, inserendo pertanto così nel circuito economico-finanziario gli euro di provenienza illecita, poi utilizzati per l’acquisto delle valute virtuali.
E dato che all’attività di cambio della valuta deve essere attribuito carattere finanziario ne consegue anche che la condotta rientra a tutti gli effetti tra quelle punite dalla norma incriminatrice, rendendo altresì irrilevante verificare quale sia poi stato l’utilizzo delle criptovalute, essendo il reato già integrato dalla preliminare operazione di cambio.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Il rapporto tra evasione fiscale, riciclaggio e autoriciclaccio