Applicabilità del Dlgs. n. 231 del 2001 alle società unipersonali: focus su alcuni aspetti rilevanti, partendo dai fatti della Sentenza della Corte di Cassazione n. 45100 del 2021.
La Corte di Cassazione, Sez. Penale, con la Sentenza n. 45100 del 6 dicembre 2021, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di responsabilità amministrativa delle società unipersonali, ex L. 231 del 2001.
Nel caso di specie, il Tribunale aveva annullato l’ordinanza con cui era stata disposta la misura cautelare interdittiva del divieto di contrattare con la Pubblica amministrazione nei confronti di alcune società.
Le persone giuridiche in questione erano state ritenute, dal Giudice per le indagini preliminari, gravemente indiziate dell’illecito previsto dagli artt. 21- 25 del Dlgs 8 giugno 2001, n. 231 in relazione al reato presupposto di corruzione propria, attribuita ad un soggetto che aveva rivestito posizione apicale negli enti e che aveva corrotto un assessore comunale.
- Corte di Cassazione - Ordinanza n. 45100 del 6 dicembre 2021
- Il testo della Sentenza della Corte di Cassazione n. 45100 del 6 dicembre 2021.
Responsabilità amministrativa ex l. 231 del 2001 per le società unipersonali: i fatti della Sentenza n. 45100/2021
Il Tribunale aveva evidenziato come le società in questione avessero carattere unipersonale, essendo composte e gestite dall’unico socio incolpato del reato presupposto e prive di consiglio di amministrazione e di soggetti titolari di specifiche funzioni aziendali.
Sulla base di tali elementi, il Tribunale aveva dunque ritenuto di essere in presenza di imprese individuali, non soggette alle disposizioni di cui al Dlgs n. 231 del 2001.
Ritenevano i giudici che, rispetto alle società unipersonali, è necessario distinguere i casi in cui l’ente abbia una propria struttura, che consenta di ritenerla un soggetto autonomo e un centro di imputazione giuridico distinto dalla persona fisica, da quelli in cui la società si identifichi invece con la persona fisica, e, sostanzialmente, costituisca appunto un’impresa individuale, non assoggettabile alla normativa sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, ai sensi dell’art. 1 del Dlgs n. 231 del 2001.
Aggiungeva inoltre il Tribunale che, anche volendo ritenere applicabile nel caso di specie il Dlgs., n. 231 del 2001, nondimeno non sarebbero state sussistenti le esigenze cautelari di cui all’art. 45 del medesimo decreto, laddove il pericolo di recidiva richiesto dalla norma consiste nel pericolo concreto, desunto da elementi fondati e specifici, che persone fisiche in posizione apicale possano commettere, nell’interesse o vantaggio dell’ente, ulteriori reati della stessa specie di quello per cui si procede.
Nel caso di specie il Tribunale aveva infatti ritenuto che la sostituzione delle persone fisiche in posizione qualificata nell’ente aveva comunque neutralizzato il pericolo di recidiva, non essendovi elementi concreti per ritenere esistenti rapporti e relazioni tra il nuovo amministratore ed il precedente, ovvero tra il primo e gli amministratori comunali.
La Procura aveva proposto ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, che le disposizioni del Dlgs 231 del 2001 trovavano applicazione anche nel caso di specie, a nulla rilevando che la persona giuridica fosse una società unipersonale.
Rilevava inoltre la Procura che la informativa della Guardia di Finanza aveva del resto anche segnalato come la nuova amministratrice, già all’epoca dei fatti, da una parte, era legata alla società con le mansioni di responsabile della Direzione organizzativa ed amministrativa, e, dall’altra, era amica “di famiglia” del precedente amministratore e della di lui moglie.
Secondo la Suprema Corte il ricorso era fondato.
Evidenziano i giudici di legittimità che l’art. 1 del Dlgs. 231 del 2001 sancisce l’ambito soggettivo di applicazione del sistema normativo, stabilendo che “il presente decreto legislativo disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato e che le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica”, laddove la giurisprudenza di legittimità ha già chiarito che il decreto evoca l’intero spettro dei soggetti di diritto non riconducibili alla persona fisica (Cass., Sez. 6, n. 30085 del 16/05/2012; Sez. 6, n. 18941 del 03/03/2004), indipendentemente dal conseguimento o meno della personalità giuridica e dallo scopo lucrativo o meno perseguito.
In tali casi la responsabilità è dunque riferita all’ente, cioè ad un soggetto diverso dalla persona fisica autrice del reato presupposto, e ciò perché l’ente risponde di un proprio illecito, che non coincide con il reato presupposto commesso dalla persona fisica.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 218 del 2014, pur non pronunciandosi sulla natura giuridica della responsabilità da reato degli enti, ha inoltre chiarito come, nel sistema delineato dal Dlgs. n. 231 del 2001, l’illecito ascrivibile all’ente costituisce una fattispecie complessa e non si identifica con il reato commesso dalla persona fisica, in quanto questo costituisce solo uno degli elementi che formano l’illecito da cui deriva la “responsabilità amministrativa”, unitamente alla qualifica soggettiva della persona fisica, alle condizioni perché della sua condotta debba essere ritenuto responsabile l’ente e alla sussistenza dell’interesse o del vantaggio di questo.
All’accertamento del reato commesso dalla persona fisica deve quindi necessariamente seguire la verifica sul tipo di inserimento di questa nella compagine societaria e sulla sussistenza dell’interesse, ovvero del vantaggio derivato all’ente.
E solo in presenza di tali elementi la responsabilità si estende dall’individuo all’ente collettivo, che risponde autonomamente dell’illecito “amministrativo”.
L’illecito dell’ente, pertanto, non si identifica con il reato commesso dalla persona fisica, ma semplicemente lo presuppone (così, Cass., Sez. 6, n. 2251 del 5 ottobre 2010).
L’ente, soggetto diverso dalla persona, è quindi responsabile di un fatto illecito proprio: una responsabilità autonoma, attribuita ad un soggetto metaindividuale, distinto dalla persona fisica autrice del reato presupposto.
E dunque, conclude la Corte, il Dlgs. 231 del 2001 non trova applicazione nei riguardi dell’imprenditore individuale perché in questo caso non solo non esiste una dualità soggettiva tra autore del reato presupposto e autore dell’illecito dell’ente, ma non esiste neppure il soggetto metaindividuale.
Responsabilità amministrativa ex l. 231 del 2001: applicabilità alle società unipersonali
Venendo poi al tema dell’applicabilità del Dlgs n. 231 alle società unipersonali, i giudici di legittimità evidenziano che bisogna in tal caso chiarire se, rispetto al dato letterale della norma, vi possa essere uno scarto, per ritenere che un dato soggetto giuridico, pur formalmente riconducibile al suo ambito, possa ciò nonostante, attraverso un accertamento fattuale, non essere considerato come un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici rispetto alla persona fisica autore del reato presupposto e dunque essere sottratto alla disciplina della responsabilità da reato degli enti.
Il tema attiene cioè alla esistenza di un potere di accertamento da parte del giudice, che, di fatto, conduca ad un superamento dell’art. 1 del Dlgs sulla base di criteri sostanziali e dunque porti a ritenere, come aveva nella specie fatto il Tribunale, che una società a responsabilità limitata unipersonale, pur essendo formalmente un soggetto metaindividuale, possa in realtà essere considerata solo un’impresa individuale, con conseguente esclusione dell’applicabilità delle norme del Dlgs. n. 231 del 2001.
Naturalmente, rileva la Corte, si è consapevoli che, in tali casi, la estrema semplificazione della struttura, l’origine e la consistenza patrimoniale dell’ente, la gestione della società unipersonale inducono a ritenere, sul piano percettivo, inesistenti le differenze con l’impresa individuale ed a considerare di fatto coincidenti i due soggetti.
E tuttavia i due istituti restano comunque profondamente diversi.
La società unipersonale è infatti un soggetto giuridico autonomo e distinto dalla persona fisica dell’unico socio; un soggetto metaindividuale a cui la legge riconosce, in presenza di determinati presupposti, una personalità diversa rispetto a quella della persona fisica.
Si tratta cioè di un soggetto che ha un proprio patrimonio autonomo, che costituisce un autonomo centro di imputazione di interessi, e che ha una sua soggettività, che la legge fa discendere automaticamente in presenza di determinati presupposti.
La società con un unico socio, che pure sottende un interesse patrimoniale prettamente individuale, è dunque giuridicamente un ente autonomo da quest’ultimo, che acquista diritti e assume obblighi secondo regole di imputazione proprie e che espone alla responsabilità il patrimonio di cui viene dotata, al pari di ogni società pluripersonale.
Le imprese individuali, di converso, possono anche avere un’organizzazione interna estremamente complessa, ma non sono enti e dunque per ciò solo sono escluse dall’ambito di applicazione della responsabilità degli enti.
Quindi, nessun dubbio sussiste in questi casi in merito alla soggettività giuridica autonoma.
Quanto poi ai presupposti per la responsabilità dell’ente, il tema attiene invece alla verifica dei limiti e delle condizioni in presenza delle quali la società unipersonale possa rispondere ai sensi del Dlgs. 231 del 2001.
La questione, afferma la Cassazione, non si pone certo nei casi di società unipersonale partecipata da una società di capitali, o di società unipersonali che evidenzino una complessità e una patrimonializzazione tali da rendere percettibile l’esistenza di un centro di imputazione di interessi giuridici autonomo ed indipendente rispetto a quello facente capo al singolo socio.
E tuttavia, anche nel caso di società unipersonali di piccole dimensioni, in cui la particolare struttura dell’ente rende labile e difficilmente percettibile la dualità soggettiva tra società ed ente, tra l’imputazione dei rapporti alla persona fisica ed imputazione alla persona giuridica, il tema attiene solo al se sia configurabile una responsabilità dell’ente sulla base del sistema normativo previsto dal Dlgs. n. 231 del 2001.
In tal senso, conclude la Corte, deve essere conciliata l’esigenza di evitare violazioni del principio del bis in idem sostanziale, che si realizzerebbero imputando alla persona fisica un cumulo di sanzioni punitive per lo stesso fatto, e quella opposta, quella, cioè, di evitare che la persona fisica, da una parte, si sottragga alla responsabilità patrimoniale illimitata, costituendo una società unipersonale a responsabilità limitata, ma, al tempo stesso, eviti l’applicazione del Dlgs. n. 231 del 2001, sostenendo di essere una impresa individuale.
L’accertamento in concreto del se, in presenza di una società unipersonale a responsabilità limitata, vi siano i presupposti per affermare la responsabilità dell’ente, non è pertanto legato solo a criteri quantitativi, cioè di dimensioni della impresa, di tipologia della struttura organizzativa della società, quanto, piuttosto, a criteri funzionali, fondati sulla impossibilità di distinguere un interesse dell’ente da quello della persona fisica che lo governa, e dunque, sulla impossibilità di configurare una colpevolezza normativa dell’ente disgiunta da quella dell’unico socio.
Quello che assume rilievo è dunque la distinguibilità fra l’interesse della società e quello della persona fisica del rappresentante.
Una verifica complessa questa, che si snoda attraverso l’accertamento della organizzazione della società, dell’attività in concreto posta in essere, della dimensione della impresa, dei rapporti tra socio unico e società, della esistenza di un interesse sociale e del suo effettivo perseguimento.
E, in tal senso, proprio allo scopo di prevenire comportamenti abusivi, il codice civile ricollega all’unipersonalità (nella s.p.a.) alcune previsioni, che finiscono per gravare la posizione del socio e degli amministratori di specifici oneri, sia in tema di conferimenti, sia in ambito pubblicitario (a titolo esemplificativo, artt. 2478- 2497 cod. civ.), laddove al rispetto di tali adempimenti è, tra l’altro, condizionata l’applicazione del regime di responsabilità esclusiva della società col proprio patrimonio sociale per le obbligazioni insorgenti dalla propria attività.
In tal senso si spiega infine la previsione contenuta nel secondo comma dell’articolo 5 del Dlgs. n. 231 del 2001, che contiene la clausola di chiusura che esclude la responsabilità dell’ente quando le persone fisiche (siano esse apicali o meno) abbiano agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi, rompendosi, in questa circostanza, lo schema di immedesimazione organica, laddove, ad esempio, il reato della persona fisica non sia in alcun modo riconducibile all’ente perché non realizzato neppure in parte nell’interesse di questo.
In conclusione, nella specie, il Tribunale non aveva fatto corretta applicazione dei principi indicati, essendosi limitato ad affermare che le società ricorrenti non costituivano un autonomo centro di interesse, distinto dalla persona fisica, trattandosi di imprese sostanzialmente individuali.
Il ragionamento era infatti viziato, non essendo stata fornita alcuna indicazione su come nel tempo dette società avessero operato, sulle dimensioni delle imprese, sulla loro struttura organizzativa, su quali fossero stati i rapporti tra esse e l’unico socio, quale fosse stata l’attività in concreto posta in essere, e se fosse distinguibile un interesse della società da quello del socio unico.
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