Analisi delle responsabilità dell'amministratore nelle società di capitali attraverso lo studio di un caso pratico
Il consigliere di amministrazione senza deleghe risponde solo se questi abbia effettiva conoscenza di fatti predatori ovvero di segnali di allarme di questi ultimi e non che le anomalie siano semplicemente conoscibili.
È quanto evidenzia la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20153/2024, sezione V.
L’ordinanza impugnata è stata emessa dal Tribunale del riesame che, pronunziando sull’appello presentato da un professionista, ha annullato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari che gli aveva applicato la misura cautelare interdittiva del divieto di esercitare la professione di commercialista e l’attività di impresa e di rivestire uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per la durata di dodici mesi, poiché ritenuto gravemente indiziato di diverse condotte di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali, commesse quale componente del consiglio di amministrazione di una S.p.A., dichiarata successivamente fallita.
La bancarotta impropria e le responsabilità dell’amministratore della società di capitali
L’addebito, come sviluppato dal Giudice per le indagini preliminari, riguardava varie condotte di bancarotta impropria, consistenti:
“nella mancata o, comunque, inesatta contabilizzazione di condotte depauperative, contabilizzazione che, ove avvenuta in maniera corretta, avrebbe disvelato la criticità della situazione economico-patrimoniale della S.p.a. ed avrebbe determinato l’esigenza di assumere i provvedimenti consequenziali per la ricapitalizzazione della società”
L’annullamento del Tribunale del riesame, per carenza di gravità indiziaria, si fonda essenzialmente sul ritenuto deficit dimostrativo in ordine al coefficiente soggettivo del reato in capo al consigliere di amministrazione, che svolge questo incarico in qualità di commercialista; il Collegio della cautela, in particolare, ha escluso che fosse dimostrato, sia pure nei termini richiesti in sede cautelare, che il professionista fosse consapevole delle operazioni depauperative commesse dagli altri indagati ai danni della S.p.a. — operazioni non indicate in maniera corretta nei bilanci degli anni 2016 e 2017, che così erano falsati — ovvero che avesse percepito o dovuto percepire segnali di allarme concernenti dette operazioni, che lo avessero posto in una condizione di volontaria sottrazione ai doveri connessi alla carica rivestita quanto, nella specie, alla annotazione nei bilanci di cui sopra delle perdite legate alle attività predatorie compiute ai danni della società.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il pubblico ministero presso il Tribunale, lamentando la manifesta illogicità della motivazione.
Responsabilità dell’amministratore nella gestione della società: la posizione della Corte di Cassazione
Per gli Ermellini, il ricorso del pubblico ministero è inammissibile.
Onde chiarire le ragioni della decisione, la Corte rileva, innanzitutto, che la formulazione dei capi di imputazione non è chiarissima, poiché essa vede intrecciarsi l’indicazione di condotte depauperative a quella della mancata annotazione o della dissimulazione di perdite nei bilanci.
L’ordinanza di annullamento del Tribunale dell’appello cautelare
“in particolare, dopo una premessa corretta in diritto circa i compiti e i doveri dell’amministratore senza delega, ha valorizzato la circostanza che l’indagato avesse una delega specifica e circoscritta, attinente a compiti squisitamente operativi, e che fosse l’unico amministratore che non aveva cointeressenze o ruoli in altre società della galassia, concludendo circa l’assenza di prova della conoscenza diretta delle distrazioni e/o di segnali di allarme”
Il Collegio cautelare si è correttamente chiesto, prima di tutto, se il professionista conoscesse le condotte predatorie della cui omessa contabilizzazione si discute e, quindi, se, nell’approvare i progetti di bilancio ove esse non erano annotate, fosse animato dal dolo generico avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio.
Per come concepito l’addebito, infatti, la coscienza circa le distrazioni è una precondizione, l’assenza della quale ha reso superfluo approfondire l’esame dei livelli del dolo richiesto per la bancarotta da false comunicazioni sociali.
A tale riguardo, può affermarsi che
“la giurisprudenza di questa Corte — che il Collegio condivide e da cui non intende discostarsi — salvo qualche incertezza in tempi più risalenti, negli ultimi anni si è attestata su un’esegesi particolarmente rigorosa quanto alla responsabilità dell’amministratore senza delega e, in particolare, ai criteri in base ai quali ritenerlo consapevole e, quindi, responsabile di attività predatorie ai danni della società amministrata, commesse dall’amministratore munito di delega”
Quello che oggi si richiede per ritenere dimostrato il dolo della distrazione in capo all’amministratore senza delega è che questi abbia effettiva conoscenza di fatti predatori ovvero di segnali di allarme di questi ultimi e non che le anomalie siano semplicemente conoscibili.
In questo senso viene innanzitutto ricordato il recente approdo della Cassazione - Sez. 5, n. 33582/2022 - secondo cui
in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, il concorso per omesso impedimento dell’evento dell’amministratore senza deleghe è configurabile quando, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle condotte illecite tenute dai consiglieri operativi in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova:
- da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di segnali di allarme inequivocabili dai quali desumere, secondo i criteri propri del dolo eventuale, l’accettazione del rischio del verificarsi dell’evento illecito;
- e, dall’altro, della volontà, nella forma del dolo indiretto, di non attivarsi per scongiurare detto evento, dovendosi infine accertare, sulla base di un giudizio prognostico contro fattuale, la sussistenza del nesso causale tra le contestate omissioni e le condotte delittuose ascritte agli amministratori con delega.
La pronunzia, in particolare, ha preso in esame la figura dell’amministratore senza delega alla luce della riforma del diritto societario, evidenziando come questi non abbia più un generale obbligo di vigilanza sulla gestione attuata dagli organi delegati, ma, ai sensi dell’art. 2381, comma 6, cod. civ., un dovere di agire informato e di chiedere ragguagli al consiglio di amministrazione, dovere che si attualizza laddove vi sia la conoscenza o di fatti nocivi per la società oppure di indicatori di anomalie che riconducano ad attività nocive.
Tale pronunzia si pone sulla scia di altre decisioni che, per quanto di specifico interesse in questa sede, hanno sottolineato come la responsabilità dell’amministratore senza delega non possa prescindere dall’effettiva conoscenza dei fatti depauperativi o di segnali di allarme inequivocabili che ad essi riconducano e che siano stati volontariamente ignorati, scongiurando, così il rischio di un addebito del reato a titolo di colpa (per inettitudine, incapacità o imprudente fiducia nell’agire dell’organo delegato) o, addirittura, di responsabilità oggettiva da posizione.
I massimi giudici richiamano altresi la sentenza della Cassazione n. 32352/2014, dove, in particolare, oltre ad essere stato delineato il concetto di segnale di allarme — con la puntualizzazione che esso deve essere «conosciuto» e non meramente «conoscibile» e che deve essere eloquente della situazione critica sottesa — si è anche rimarcato il limite dello scrutinio di legittimità sulle valutazioni del Giudice di merito circa la responsabilità dell’amministratore senza delega in rapporto, appunto, alla conoscenza degli indicatori suddetti e al loro grado di significatività e di intellegibilità.
È dalla conoscenza dei segnali di allarme, intesi come momenti rivelatori, con qualche grado di congruenza, secondo massime di esperienza o criteri di valutazione professionale, del pericolo dell’evento che può desumersi la prova della ricorrenza della rappresentazione dell’evento da parte di chi è tenuto - per la posizione di garanzia assegnatagli dall’ordinamento - ad uno specifico devoir d’alerte (che include in sè anche l’obbligo di una più pregnante sensibilità percettiva, oltre che il dovere di ostacolare l’accadimento dannoso)
La sentenza richiamata ha anche precisato che
“questa dimostrazione deve inquadrarsi nel bagaglio di esperienza e cognizione professionale proprio del preposto alla posizione di garanzia, la cui valutazione - in rapporto al sintomo allarmante - deve esplicarsi in concreto, volta per volta: dal che consegue che la convinzione di questa percezione e del relativo grado di potenzialità informativa del fatto percepito, è rimessa alla valutazione del giudice di merito, insuscettibile di censura se accompagnata da adeguata giustificazione”
Osserva la Corte che
Nell’evocare ripetutamente verbali di assemblee dei soci e di riunione del consiglio di amministrazione, il ricorrente ha però trascurato di controbattere ad un’osservazione molto significativa del Tribunale del riesame, che ha valorizzato in bonam partem la circostanza che le relazioni accompagnamento ai bilanci dei sindaci (e finanche la relazione finale all’atto delle dimissioni di questi ultimi) non avevano mai evidenziato criticità quanto alla genuinità dei bilanci e, nelle riunioni cui il professionista aveva partecipato, non erano emersi indicatori di una gestione illecita della società; salvo una difficoltà nel pagamento delle imposte e dei contributi, che è però tema diverso da quello delle attività depauperative oggetto delle falsità in bilancio di cui si discute
Vi è, poi, un argomento di censura ricorrente nell’impugnativa che deve reputarsi manifestamente infondato o, comunque, generico.
Ci si riferisce a quello secondo cui, dalle note integrative ai bilanci che l’indagato conosceva la situazione e poteva quindi trarsi la prova della sua consapevolezza circa l’esistenza di segnali di allarme riguardo la natura distrattiva di talune attività.
“Ora, salvo che da tali indicazioni emergesse con chiarezza anche la natura depauperativa degli affari con parti correlate (dato non precisato dal pubblico ministero), l’argomentazione non ha pregio, giacché la sola circostanza che un’operazione sia con parte correlata e sia indicata in nota integrativa ai sensi dell’art. 2427, comma 1, n. 22 -bis, cod. civ. non è di per sé elemento da cui poter trarre l’evidenza della sua natura spoliativa”
Brevi note tecniche e operative in materia di responsabilità dell’amministratore senza deleghe
L’interessante pronuncia della Corte di Cassazione si pone sulla scia di un recente pronunciamento – Sentenza n. 33856/2021, resa dalla quinta sezione penale – che si è pronunciata sulla responsabilità in capo ad un mero consigliere di amministrazione senza delega, che ha confermato, ai fini della configurabilità del concorso di un amministratore privo di deleghe per omesso impedimento dell’evento illecito, la necessità di una duplice prova:
- l’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di cd. segnali di allarme;
- la volontà di non attivarsi per scongiurare detto evento (dolo indiretto).
In altri termini, gli amministratori privi di delega sono responsabili per non aver impedito i fatti solo se:
- erano a conoscenza della loro pericolosità;
- ovvero nei casi in cui avrebbero potuto/dovuto acquisirne conoscenza.
Sul punto particolarmente di rilievo è la pronuncia della Corte di Cassazione – sez. pen. sent. n.40324/2021 – secondo cui il sindaco di una società che esprime parere favorevole all’acquisto di un credito fiscale inesistente, nella consapevolezza della sua inesistenza, pone in essere una condotta causalmente rilevante, quanto meno in termini agevolativi, e di rafforzamento del proposito criminoso, rispetto alla realizzazione del reato di indebita compensazione di cui all’articolo 10-quater D. Lgs. n. 74/2000.
Ancora citiamo la sentenza della Cassazione penale n. 1162/2024, dove ai sindaci è contestato di aver concorso nella causazione del dissesto di una S.r.l. avendo omesso di esercitare i poteri di vigilanza e controllo contabile loro riconosciuti in ragione delle funzioni svolte.
Gli Ermellini si sono attestati sulla posizione assunta dai giudici di merito che hanno riscontrato che il collegio sindacale si è limitato, per ben tre anni (dal 2007 al 2010), pur a fronte di un conclamato stato d’insolvenza (cristallizzatosi sin dal 2007), a sollecitare l’organo amministrativo all’adempimento di quanto necessario in ragione della rilevata situazione finanziaria (le necessarie ricapitalizzazioni e la convocazione dell’assemblea), senza tuttavia
“provvedere agli ulteriori e più rilevanti obblighi in precedenza indicati.
Tanto, all’evidenza, non può intendersi come diligente adempimento degli obblighi imposti all’organo di controllo e, in sé, non esclude la sussistenza della condotta materiale (omissiva) oggetto dell’imputazione”.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: L’amministratore senza deleghe risponde solo in presenza di prove consistenti e rigorose