Società per azioni, guida al diritto di recesso nelle SpA: dalla normativa di riferimento fino a soggetti interessati e causa, focus sulle regole specifiche previste alla luce della riforma del diritto societario.
Diritto di recesso nelle società per azioni, soffermamici sulle regole specifiche previste nell’ambito delle SpA, dalla normativa alle cause.
Il diritto recesso è un riconoscimento che la legge concede al socio che ha la possibilità di agire sul proprio investimento originario nel capitale di rischio della società, nel caso in cui vengano modificate alcune condizioni che sussistevano nel momento in cui il socio stesso aveva deciso di investire nella società.
La normativa sull’esercizio del diritto di recesso tende a conciliare le esigenze di flessibilità richieste dallo svolgimento dell’attività d’impresa con l’interesse di ogni socio a disporre della possibilità di disinvestimento il più favorevole possibile nel momento in cui vengono modificate le originarie condizioni in base alle quali egli aveva deciso di partecipare alla società.
La funzione del diritto di recesso, è stata valorizzata dalla riforma del diritto societario aumentando e diversificando le cause di recesso è consentendo la possibilità di un disinvestimento solo parziale.
Diritto di recesso società per azioni: soggetti legittimati
Per esercitare il diritto di recesso bisogna essere principalmente soci, inoltre l’articolo 2437 del codice civile, al comma 1 riconosce il diritto di recesso ai soci che non hanno concorso alle deliberazioni, (attribuendo la legittimazione a recedere ai soci assenti dissenzienti e astenuti) e ai soci privi del diritto di voto.
Nelle ipotesi di costituzione di pegno o di usufrutto sulle azioni, la dottrina prevalente ritiene che la titolarità del diritto di recesso resta in capo al socio, che non può esercitarlo nel caso in cui il creditore pignoratizio o l’usufruttuario abbia votato in favore della delibera che legittimerebbe il recesso.
La giurisprudenza sostiene che il creditore pignoratizio non è titolare del diritto di recesso, ne è legittimato all’esercizio del medesimo in via surrogatoria.
Il diritto di recesso (secondo la dottrina prevalente) resta in capo al socio anche in caso di sottoposizione della partecipazione al sequestro conservativo.
La riforma societaria ha introdotto la possibilità di recedere anche solo per una parte delle azioni detenute, ciò in quanto la nuova disciplina delle Spa, pone al centro l’azione e non la persona del socio.
Il comma 3 dell’art. 2437 c.c., riconosce inoltre ai soci di una società costituita a tempo indeterminato (o con clausola di proroga tacita) titolari di azioni non quotate in un mercato regolamentato, la possibilità di recedere ad nutum con un preavviso di 180 giorni.
Può essere previsto dallo statuto della società un termine di preavviso maggiore che tuttavia non può essere superiore ad un anno.
Il socio è tutelato dal rischio dell’immobilizzo del proprio investimento, è in particolare è illegittima la clausola statutaria che vincola a vita i soci senza consentirne il recesso.
Allo stesso modo dovrebbe essere consentito l’esercizio del recesso nel caso di società costituite non a tempo indeterminato, ma per una durata eccedente la vita del socio analogamente a quanto riconosciuto nelle società di persone.
Cause di recesso
La riforma ha individuato tre distinte categorie di cause di recesso:
- le cause di recesso inderogabili;
- le cause derogabili;
- le cause non previste dalla legge, ma previste dallo Statuto.
Relativamente alle cause inderogabili non eliminabili con una clausola statutaria, al comma 1 dell’articolo 2437 sono indicate le ipotesi di modifiche statutarie che legittimano il recesso, queste riguardano:
- le modifiche dell’oggetto sociale quando vi è un cambiamento significativo dell’attività della società;
- la trasformazione della società;
- il trasferimento della sede sociale all’estero;
- la revoca dello stato di liquidazione;
- l’eliminazione di una causa facoltativa di recesso;
- la modifica dei criteri di determinazione del valore delle azioni in caso di recesso;
- le modifiche statuarie relative ai diritti di voto o partecipazione dei soci.
Relativamente al cambiamento dell’oggetto sociale è prevalso l’orientamento espresso dalla giurisprudenza secondo cui è consentito il disinvestimento solo al ricorrere di una modifica della clausola dell’atto costitutivo concernente l’oggetto sociale, modifica che deve essere sostanziale, comportare cioè una variazione totale dell’attività svolta, ovvero parziale, ma significativa, capace cioè di alterare in modo rilevante le precedenti condizioni di rischio dell’impresa.
L’operatività delle cause di recesso derogabili previste dal comma 2 dell’art. 2437 c.c. (proroga del termine, e introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari) può essere esclusa con una deliberazione di modifica statutaria.
La dottrina prevalente e la giurisprudenza ritengono tuttavia illegittima una clausola statuaria che preveda la proroga tacita e automatica della durata della società, in quanto consentirebbe una modificazione dell’atto costitutivo mediante un semplice comportamento di fatto senza osservare le forme e i modi tassativamente previsti dalla legge per tali modifiche.
Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può inoltre prevedere ulteriori ipotesi di recesso.
Vi sono anche ipotesi di recesso previste da norme speciali, oltre alle fattispecie di recesso per società soggette a direzione e coordinamento, e per il caso di fusioni transfrontaliere di società di capitali (D.lgs n. 108/2008 art. 5), il diritto di recesso è riconosciuto anche al socio conferente a seguito della revisione della stima dei conferimenti in natura, ai soci assenti o dissenzienti dalle deliberazioni introduttive o oppressive di clausole compromissorie, ovvero di significativo ampliamento di una causa compromissoria esistente, ai soci alienanti in presenza di clausole di mero gradimento.
Si ricorda infine che è concesso ai soci di società soggetta a incorporazione (art. 2505 bis c.c.) il diritto di fa acquistare le loro azioni o quote della società incorporante per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso.
Patti limitativi del diritto di recesso
L’art. 2437 c.c. ultimo comma, stabilisce la nullità di ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso.
Lo statuto non solo non può escludere, ne rendere più gravosa la possibilità di recedere, ma non può nemmeno limitare la portata del diritto di recesso stabilendo per esempio che il recesso spetti soltanto per la modifica di alcuni diritti partecipativi e non anche per altri.
Non costituiscono patti limitativi del diritto di recesso, gli atti di rinuncia preventiva all’esercizio del diritto di recesso che siano circoscritti ad un specifica deliberazione.
Termini e modalità di esercizio del diritto di recesso nelle società
Il recesso consiste praticamente in una dichiarazione unilaterale del socio che non richiede accettazione da parte della società. La dichiarazione di recesso è infatti immediatamente efficace alla sola condizione del suo ricevimento da parte degli amministratori della società.
L’articolo 2437 bis c.c., ha modificato la disciplina dei termini per l’esercizio del recesso prevedendo che questo debba essere esercitato a pena di decadenza, mediante invio di lettera raccomandata entro 15 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera societaria, indipendentemente dalla circostanza che il socio risulti presente o assente in assemblea.
Ove la causa di recesso risiede in un fatto diverso da una deliberazione il termine è di trenta giorni dalla conoscenza del fatto dal parte del socio recedente.
Per le fattispecie di recesso previste dallo statuto dovrà invece farsi riferimento alle stesse previsioni statutarie per l’individuazione del “dies a quo” per l’esercizio del diritto di recesso.
Nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, se l’uscita del socio è determinato dalla modifica dell’atto costitutivo, a mezzo della introduzione o della soppressione di una clausola compromissoria, il termine per l’esercizio del recesso è di 90 giorni.
Il termine per esercitare il diritto di recesso non può essere modificato “in peius”, ricordando il divieto di escludere o rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso.
Nella raccomandata da trasmettere alla società, deve essere rappresentata la volontà di recedere e i dati elencati nel comma 1 dell’art 2437 bis c.c., in particolare è richiesta la specificazione del numero e della categoria delle azioni per le quali il diritto di recesso viene esercitato.
La lettera deve essere indirizzata all’organo di amministrazione della società cui spetta il potere di avviare il procedimento conseguente alla comunicazione del recesso.
Oltre alla raccomandata è plausibile che possano essere utilizzati anche altri mezzi di comunicazione che assicurano la garanzia di ricezione da parte del destinatario.
È controverso se il socio possa revocare o modificare la propria dichiarazione di recesso già pervenuta alla società fino al momento in cui si sia compiuto uno degli atti irreversibili conseguenti al recesso (ovvero l’esercizio da parte degli altri soci del diritto di opzione per l’acquisto delle azioni della parte recedente, la comunicazione dell’acquisto delle azioni da parte della società, la delibera di scioglimento della società).
Discussa è invece la possibilità di esercizio dei diritti sociali nel periodo di tempo intercorrente tra la comunicazione del recesso e il rimborso delle azioni al socio recedente.
La dottrina prevalente ritiene che il socio recedente conservi l’esercizio dei diritti sociali fino alla liquidazione della partecipazione.
È stato tuttavia rilevato che dal momento in cui la dichiarazione di recesso del socio viene ricevuta da parte della società, il socio receduto diviene titolare del diritto potestativo ad ottenere la liquidazione delle azioni per le quali il recesso è stato esercitato, perdendo quindi tutti gli altri diritti economici e partecipativi.
Società per azioni, diritto di recesso: casi di inefficacia
L’articolo 2437 bis c.c. comma 3, stabilisce espressamente l’inefficacia del recesso se entro novanta giorni, la società revoca la delibera che lo legittima (ovvero se è deliberato lo scioglimento della società), indicando una soglia temporale oltre la quale divengono intangibili gli effetti della dichiarazione di recesso.
L’efficacia del recesso è sottoposta a condizione risolutiva per il periodo di 90 giorni nel quale la società può far venir meno la situazione che ha fatto sorgere, e conseguentemente privare gli effetti del recesso stesso.
Secondo la dottrina prevalente l’annullamento della deliberazione priva di efficacia il recesso che sia stato inoltrato in relazione alla medesima, vi sono tuttavia opinioni divergenti in merito all’incidenza sul recesso dell’annullamento di una delibera che abbia avuto parziale esecuzione.
La deliberazione di scioglimento della società priva di efficacia il recesso che sia già stato comunicato, in tal caso il socio recedente non ha diritto a conseguire il valore delle azione, ma partecipa alla liquidazione.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Il diritto di recesso nelle Società per Azioni