Tassazione mance, le somme percepite nelle attività di ricevimento devono essere assoggettate a imposta. A chiarirlo è la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 26510 del 30 settembre 2021. Gli importi rientrano tra i redditi da lavoro dipendente per il principio di onnicomprensività previsto nell'articolo 51 del TUIR.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 26510 del 30 settembre 2021, ha affermato un principio che ha fatto grande scalpore mediatico.
Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale della Sardegna aveva accolto l’appello proposto dal contribuente avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, con la quale era stato rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento con il quale venivano recuperati a tassazione, per l’anno 2005, redditi da lavoro dipendente non dichiarati per € 77.321,00, corrispondenti a mance percepite nello svolgimento delle proprie mansioni di capo ricevimento alle dipendenze di un Resort.
La Commissione Tributaria Regionale aveva in particolare considerato non tassabili le somme percepite a titolo di mance, ritenendole non comprese nella previsione di reddito da lavoro dipendente di cui all’art. 51 del TUIR, stante la loro natura aleatoria ed in quanto percepite direttamente dai clienti senza alcuna relazione con il datore di lavoro.
L’Agenzia delle Entrate aveva dunque proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’art. 51, primo e secondo comma, del Dpr. n. 917 del 1986 e deducendo che le somme in questione erano state comunque percepite dal contribuente in relazione al rapporto di lavoro, rientrando quindi pienamente nella nozione di lavoro dipendente introdotta con la riforma del Dlgs. n. 314 del 1997, in sostituzione del precedente art. 48 del TUIR, che sottolineava la natura onnicomprensiva del reddito da lavoro dipendente, non più limitato al salario percepito dal datore di lavoro.
Secondo la Suprema Corte la censura era fondata. Evidenziano i giudici di legittimità che l’attuale art. 51, primo comma, del TUIR, nel testo post - riforma del 2004, prevede espressamente che «il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere» (intendendo con tale espressione la quantificazione dei beni e dei servizi) «a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro».
A sua volta, rileva la Corte, l’art. 49, comma 1, del TUIR reca la definizione di redditi da lavoro dipendente, secondo cui «sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro».
Risulta, pertanto, marcata la differenza rispetto all’originaria previsione di cui all’art. 48 del Dpr. 29 settembre 1973, n. 597, che definiva il reddito da lavoro dipendente come «costituito da tutti i componenti in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta anche sotto forma di partecipazione agli utili in dipendenza del rapporto di lavoro», poi sostanzialmente trasfuso nell’art. 48 TUIR, nel suo testo originario, secondo cui il reddito da lavoro dipendente è «costituito da tutti i compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta anche sotto forma di partecipazione agli utili in dipendenza del rapporto di lavoro, comprese le somme percepite a titolo di rimborso di spese inerenti alla produzione del reddito e le erogazioni liberali».
Così ricostruito il quadro normativo, che, a seguito dell’emanazione del citato Dlgs. n. 314/1997, ha evidenziato ormai un’unica nozione di reddito da lavoro dipendente, tanto ai fini fiscali che contributivi, la Cassazione afferma dunque come dovesse essere condiviso l’assunto dell’Amministrazione finanziaria ricorrente, in linea con il documento di prassi seguito all’emanazione del citato decreto legislativo (Circolare ministeriale n. 326 del 23 dicembre 1997, par. 2.1.), secondo cui l’onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro dipendente giustifica la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve, anche, quindi, come era appunto nel caso in esame, quando non lo riceve direttamente dal datore di lavoro, ma sulla cui percezione il dipendente può fare, per sua comune esperienza, ragionevole, se non certo affidamento.
Il nesso di derivazione delle somme, che comunque promanano dal rapporto di lavoro, ne giustifica, pertanto, la totale imponibilità, salvo le esclusioni (e/o deroghe) espressamente previste dalla normativa di riferimento, laddove, ad esempio, l’attuale art. 51, secondo comma, lett. i), del TUIR stabilisce che non concorrono a formare il reddito le mance percepite dagli impiegati tecnici delle case da gioco (croupiers), direttamente o per effetto del riparto a cura di appositi organismi costituiti all’interno dell’impresa nella misura del 25 per cento dell’ammontare percepito nel periodo d’imposta.
La Suprema Corte richiama quindi quanto già a suo tempo affermato dalla sezione lavoro della stessa Cassazione (cfr., Cass. sez. lav., 21 marzo 2006, n. 6238) in fattispecie riguardante mance dei croupiers, dove, peraltro, l’inclusione solo parziale delle mance nella base del reddito rilevante, secondo la specifica disciplina sopra ricordata, era comunque affermata in considerazione della disposizione contrattuale che attribuisce ad apposito organismo della casa da gioco il compito di ripartire le mance.
La Corte ricorda quindi come in quella pronuncia veniva affermato che «mentre la retribuzione è strettamente connessa, in virtù del vincolo sinallagmatico che qualifica il rapporto di lavoro subordinato, con la prestazione lavorativa, il concetto di derivazione dal rapporto di lavoro, contenuto nella norma in esame» (ora art. 49 TUIR) «prescinde dal suddetto sinallagma ed individua pertanto non solo tutto quanto può essere concettualmente inquadrato nella nozione di retribuzione, ma anche tutti quegli altri introiti del lavoratore subordinato, in denaro o natura, che si legano casualmente con il rapporto di lavoro (e cioè derivano da esso), nel senso che l’esistenza del rapporto di lavoro costituisce il necessario presupposto per la loro percezione da parte del lavoratore subordinato.
Costituisce logica conseguenza di quanto fin qui detto che l’ampiezza del concetto di derivazione adottato dal legislatore impone di inserire nella nozione di redditi di lavoro anche gli introiti corrisposti al lavoratore subordinato da soggetti terzi rispetto al rapporto di lavoro sempre che ricorrano i suddetti requisiti».
In conclusione, rileva la Corte, a sostegno della tesi esposta dal contribuente, non giovava contestare la natura retributiva delle mance, per sostenere che le stesse non erano ricomprese nella nozione di reddito di lavoro dipendente di cui all’art. 51 del Dpr. n. 917/1986, atteso che, come visto, tale nozione è diversa e più ampia di quella di retribuzione (cfr., sul rilievo del nesso di derivazione di somme percepite in relazione a rapporto di lavoro piuttosto che del concetto di corrispettività, Cass., sez. 5, 4 giugno 2014, n. 12485, in tema di trattamento fiscale di cd. incentivo all’esodo).
Il fatto poi, rileva la Cassazione, che per le mance spettanti ai croupiers sia stata prevista una deduzione forfettaria del 25 per cento, integrando una disciplina agevolativa per una specifica categoria di lavoratori, comporta che detta disciplina non possa essere oggetto di interpretazione analogica o estensiva, dovendosi affermare la natura di stretta interpretazione delle norme in materia di agevolazione tributaria (cfr., ex multis, tra le altre, Cass. sez. 5, 28 ottobre 2020, n. 23686; Cass. sez. 5, 6 dicembre 2016, n. 24894; Cass. SU 2 maggio 2014, n. 9560).
La Corte di Cassazione, in conclusione, afferma quindi il seguente principio di diritto: «In tema di reddito da lavoro dipendente, le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente, in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mance, rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dall’art. 51, primo comma, del d.P.R. n. 917/1986, e sono pertanto soggette a tassazione».
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: La tassazione delle mance