Di fondamentale importanza la corretta applicazione del principio di inerenza, lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 26911 del 2022: i fatti e le conclusioni
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 26911 del 13 settembre 2022, ha ribadito la rilevanza fondamentale della corretta applicazione del principio di inerenza.
Nel caso in esame, la società contribuente proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale, avverso un avviso di accertamento per IRES, relativo all’’nno 2002, emesso dall’Agenzia delle Entrate per non aver riconosciuto l’agevolazione di cui alla L. n. 64/1986, relativa ad investimenti effettuati nell’azienda.
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso limitatamente alle sanzioni.
- Corte di Cassazione - Ordinanza numero 26911 del 13 settembre 2022
- Il testo integrale dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 26911 del 13 settembre 2022
La rilevanza del principio di inerenza: i fatti dell’Ordinanza numero 26911 del 2022
Sull’appello della contribuente, la Commissione Tributaria Regionale accoglieva il gravame, evidenziando che la circostanza che la società non avesse avuto diritto all’agevolazione relativa agli investimenti effettuati non significava di per sé che i costi non fossero inerenti alla stessa attività.
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale proponeva infine ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo, per quanto di interesse, la violazione e falsa applicazione degli artt. 109 TUIR, 67 Dpr. n. 600/1973 e 2697 c.c., per avere erroneamente, a suo dire, la CTR ritenuto che i costi fossero inerenti all’attività di impresa, non avendo l’Ufficio offerto la prova contraria.
Secondo la Suprema Corte la censura era fondata.
Evidenziano i giudici di legittimità che, in tema di reddito d’impresa, ai fini della deducibilità dei costi sostenuti, il contribuente è tenuto a dimostrarne l’inerenza, intesa in termini qualitativi e dunque di compatibilità, coerenza e correlazione, non già ai ricavi in sé, ma all’attività imprenditoriale svolta, e dovendo quindi provare e documentare l’imponibile maturato, ossia l’esistenza e la natura dei costi, i relativi fatti giustificativi e la loro concreta destinazione alla produzione (cfr., Cass., n. 2224 del 02/02/2021).
In particolare, rileva la Corte, è stato a tal proposito precisato che il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dall’art. 109, comma 5, del Tuir, riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), dato che è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico, con un giudizio sull’inerenza di carattere qualitativo e non quantitativo.
Peraltro, sottolinea la Cassazione, l’onere di provare e documentare l’imponibile maturato e dunque l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto d’impresa, grava comunque sul contribuente (cfr., Cass., n. 30366 del 21/11/2019).
E a tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto, da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, e risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità del costo (cfr., Cass., n. 13300 del 26/05/2017).
In definitiva, la Cassazione ribadisce quindi il principio per cui, ai fini della detrazione di un costo, la prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione (fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza), incombe sempre sul contribuente, in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato (cfr., Cass., n. 18904 del 17/07/2018).
Nel caso in esame aveva dunque errato la Commissione Tributaria Regionale a porre a carico dell’Ufficio l’onere di provare la non inerenza dei costi sostenuti all’attività svolta dalla società contribuente.
Alcune considerazioni sulla rilevanza del principio di inerenza
Al di là dello specifico caso processuale, in termini più generali, giova infine anche evidenziare quanto segue.
La nozione di inerenza, in sostanza, non è ex lege definita, ma “postulata” in relazione ai costi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa.
Ne deriva, quindi, che l’inerenza integra, in realtà, un giudizio sulla riferibilità del costo all’attività d’impresa; giudizio che, come tale, ha natura qualitativa e non quantitativa.
La questione si intreccia naturalmente, come visto, con il profilo dell’onere della prova del costo, che incombe sul contribuente in ordine ai suoi fatti costitutivi.
Nella sua esplicazione effettiva, del resto, tale onere probatorio si atteggia diversamente a seconda dello specifico oggetto della componente negativa.
In molti casi, infatti, le caratteristiche documentate del costo o dell’operazione sono tali da far ritenere semplicemente evidente la correlazione tra la spesa e l’attività d’impresa.
In tal senso si spiega la giurisprudenza che distingue tra beni “normalmente necessari e strumentali» e beni «non necessari e strumentali”, concludendo “nel ritenere a carico del contribuente l’onere della prova dell’inerenza solo in questa seconda evenienza”. (v. Cass., n. 6548 del 27/04/2012).
Per contro, quando l’operazione posta in essere risulti complessa, o anche atipica rispetto alle usuali modalità di mercato, tale onere si atteggia in termini parimenti complessi.
L’inerenza è dunque un giudizio e la prova deve investire i fatti costitutivi del costo.
Tutta la questione, in sostanza, si sposta sul piano probatorio, laddove, ad esempio, l’antieconomicità dell’operazione non comporta automaticamente l’indeducibilità dei costi, ma semplicemente la necessità di una prova più “convincente” in ordine alla deducibilità del componente negativo.
Sarà allora compito del contribuente dimostrare l’inconsistenza dell’impianto logico e giuridico dell’Erario e questo non come conseguenza di un’inversione dell’onere della prova, ma come adempimento dell’onere della prova di ciascuna delle parti in giudizio, ex art. 2697 c.c.
Anche con riguardo all’IVA, poi, sebbene la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea e quella di legittimità abbiano affermato che l’inerenza possa essere esclusa solo in caso di manifesta, macroscopica, antieconomicità, ai fini della detrazione, la prova dell’inerenza, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione, incombe comunque sul contribuente (cfr., Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18904 del 17/07/2018).
La nozione di inerenza non trova, del resto, nei ai fini imposte dirette, né ai fini IVA, una esplicita definizione positiva, dovendosi escludere, come visto, che la stessa possa essere fatta discendere dal vigente art. 109, comma 5, Tuir. Il quale, in effetti, disciplina in realtà un profilo ulteriore e successivo (le regole di deducibilità dei costi) rispetto all’inerenza, che è invece presupposta (i costi per essere deducibili debbono anche, e necessariamente, essere inerenti).
Tale nozione trae quindi il suo fondamento dallo stesso concetto economico-aziendalistico di reddito, che è quello al netto dei costi collegati all’esercizio dell’impresa.
Il costo, infatti, attiene o non attiene all’attività d’impresa a prescindere dalla sua entità, dovendosi quindi ribadire che il principio di inerenza si traduce in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo.
Il giudizio quantitativo o di congruità non è, però, del tutto irrilevante, collocandosi, tuttavia, su un diverso piano logico.
In sostanza, la sproporzione può assumere valore sintomatico, di indice rivelatore, in ordine al fatto che il rapporto in cui il costo si inserisce è estraneo all’attività d’impresa.
Il giudizio di congruità non investe quindi il giudizio di inerenza, ma, piuttosto, i contenuti della prova.
In termini generali, comunque, l’introduzione di un concetto, quale quello di utilità, nel principio di inerenza non appare necessario, posto che evoca un rapporto di causalità diretta tra il costo e il vantaggio per l’impresa (vantaggio che non è detto debba esservi), e non trova un riscontro in dati normativi positivi.
In conclusione, lo spettro entro cui riconoscere un rapporto di inerenza è molto ampio, non potendo questo essere ridotto entro criteri meramente formali, e dovendosene anzi ampliare la portata mediante la valorizzazione del rapporto e delle ricadute concrete tra spesa e coerenza economica con l’attività di impresa.
Bisogna però negare che il rapporto trovi conforto nella mera contabilizzazione del costo, essendo, al contrario, come visto, necessario e incombente sul contribuente l’onere di allegazione della documentazione di supporto da cui ricavare l’importo, la ragione e la coerenza economica della spesa.
Tutta la questione, in sostanza, si sposta sul piano probatorio.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: La rilevanza del principio di inerenza