Pagamento stipendi: la nota INL n. 473 del 2021 offre indicazioni sull'obbligo del datore di lavoro di corrispondere la retribuzione in modalità tracciabile. Non è sufficiente la parola del lavoratore che assicura di non essere stato pagato in contanti a provare il rispetto delle regole sulla tracciabilità.
Pagamento stipendi, l’INL chiarisce: non è sufficiente la parola del lavoratore che assicura di non essere stato pagato in contanti a provare il rispetto delle regole sulla tracciabilità da parte del datore di lavoro.
In particolare, con nota numero 473 del 2021, l’Ispettorato ribadisce che non è sufficiente, ai fini probatori, che sia esibita una dichiarazione del dipendente che confermi di essere stato pagato secondo quanto prescritto dalla legge di Bilancio 2018.
L’obbligo di tracciabilità, infatti, impone al datore di lavoro, da una parte, la corresponsione della retribuzione ai lavoratori dipendenti con modalità tracciabili, dall’altra, la conservazione della documentazione comprovante la regolarità del pagamento.
In assenza di tale documentazione, quindi, non ha nessuna efficacia la dichiarazione del dipendente che garantisce il rispetto delle norme sulla tracciabilità della retribuzione.
Pagamento stipendi: per la tracciabilità non vale la parola del lavoratore
Con la nota numero 473 del 2021, l’INL ritorna sull’obbligatorietà in carico al datore di lavoro di conservare la documentazione che attesti il pagamento delle retribuzioni dei lavoratori con strumenti tracciabili.
- INL - nota numero 473 del 22 marzo 2021
- Scarica la nota su tracciabilità della retribuzione – integrazione illecito amministrativo.
La normativa di riferimento è quella contenuta nella legge di Bilancio 2018, specificatamente nell’art.1 comma 910 il quale dispone che il pagamento dello stipendio debba avvenire tramite banca o ufficio postale per mezzo di uno dei seguenti canali:
- Bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;
- strumenti di pagamento elettronico;
- pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
- emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato.
Viceversa, il successivo comma 911 vieta espressamente il pagamento della retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore.
E, ancora, il comma 912 stabilisce che l’eventuale firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione con i mezzi consentiti.
“In senso del tutto analogo, non appare possibile accordare rilevanza, ai fini dell’esclusione della responsabilità del datore di lavoro, alla dichiarazione resa dal lavoratore che confermi di essere stato pagato con gli strumenti previsti dal comma 910, in assenza della relativa prova ricavabile dalla tracciabilità intrinseca di tali mezzi di pagamento. A ben vedere è proprio in ragione della precipua capacità di tali strumenti di fornire prova del loro utilizzo che il legislatore li ha imposti ai fini del pagamento delle retribuzioni”.
Si legge nel documento di prassi diffuso dall’Ispettorato.
In quest’ottica alcuni strumenti, seppur non esplicitamente consentiti dalla norma, sono comunque stati ammessi perché effettivamente tracciabili, come ad esempio il pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente o conto di pagamento ordinario.
Per tracciabilità obbligo di conservazione della documentazione e sanzioni
L’Ispettorato rammenta che in capo al datore di lavoro incombe l’obbligo di conservare sempre la documentazione – in particolare delle ricevute di versamento – anche nei casi di versamenti effettuati su carta di credito prepagata intestata al lavoratore non collegata ad un IBAN.
Ad ogni buon conto, il personale dell’Ispettorato potrà sempre valutare, sulla base delle circostanze concrete e degli elementi acquisiti in sede di accertamento, se avviare indagini presso le banche per chiarire definitivamente se vi sia stata o meno la corresponsione della retribuzione in contanti direttamente al lavoratore. In caso affermativo dovranno scattare le dovute sanzioni.
Sempre la legge di Bilancio 2018, infatti, al comma 913 dell’art. 1 stabilisce che al datore di lavoro che viola l’obbligo di tracciabilità della retribuzione nei termini soprarichiamati, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 Euro a 5.000 Euro.
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