Oneri Swap deducibili se gli strumenti finanziari sono stipulati a copertura

Marcello Maiorino - Dichiarazione dei redditi

La Corte di Cassazione chiarisce le condizioni cui è subordinata la deducibilità di costi correlati a contratti di interest rate swap. La pronuncia si sofferma sul riparto degli oneri probatori precisando che è la società a dover provare che i contratti di swap sono stati stipulati con finalità di copertura

Oneri Swap deducibili se gli strumenti finanziari sono stipulati a copertura

La fattispecie all’esame della Corte di Cassazione trae spunto da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle entrate nei confronti di una società che svolge un’attività di costruzione e commercializzazione di cassoni per veicoli industriali e commerciali, in relazione al disconoscimento della deducibilità di alcuni costi.

In particolare, l’Amministrazione finanziaria contestava la deducibilità degli oneri sostenuti in conseguenza della sottoscrizione di strumenti finanziari derivati, in particolare con riferimento a contratti di Swap.

In quali casi gli oneri Swap sono deducibili

La società impugnava l’atto impositivo innanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale contestando, tra l’altro, che in relazione ad un precedente anno, l’Agenzia delle Entrate aveva concordato con la contribuente un accertamento con adesione riconoscendo l’inerenza dei costi derivanti dai contratti di swap, mentre ora la negava, con riferimento ai medesimi contratti, in relazione ad un anno di imposta successivo.

Nella prospettazione della società, i contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati avevano una finalità di copertura, e gli oneri sopportati erano deducibili.

In ragione di ciò, la CTP riteneva fondate le ragioni della contribuente, annullando l’avviso di accertamento.

Avverso la decisione sfavorevole conseguita dai giudici di primo grado, l’Amministrazione Finanziaria faceva appello dinanzi alla competente Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, che confermava la decisione della CTP, e quindi l’annullamento dell’impugnato avviso di accertamento.

Pertanto, la controversia approdava dinanzi alla Corte di Cassazione, ed in particolare l’Agenzia delle Entrate contesta l’erronea valutazione nel giudizio di appello, che non ha tenuto conto della previsione legale che richiede la dimostrazione dell’inerenza dei costi ai fini della loro deducibilità da parte del contribuente.

Nel giudizio di secondo grado sono stati ricostruiti i caratteri dei contratti di interest rate swap stipulati dalla società contribuente.

In particolare, la CTR ha ritenuto che nella valutazione espressa dal giudice dell’appello sarebbe stato lo stesso legislatore a riconoscere l’inerenza dei costi dipendenti da operazioni in titoli derivati, anche quando poste in essere da enti non creditizi, salvo che l’Amministrazione Finanziaria dimostri che le stesse abbiano avuto carattere speculativo, ma in questo giudizio l’Agenzia delle Entrate neppure avrebbe contestato questa circostanza.

I giudici di legittimità hanno tuttavia evidenziato che l’Amministrazione Finanziaria ha ripetutamente criticato la natura speculativa delle operazioni in titoli derivati concluse dalla società, censura del resto già contenuta nel PVC e nell’avviso di accertamento.

In sostanza la CTR ritiene, in generale, che il giudizio di inerenza con l’attività d’impresa delle operazioni finanziarie su titoli derivati, anche quando concluse da enti non creditizi, sarebbe stato già positivamente espresso dallo stesso legislatore.

Inoltre, la CTR, ha ritenuto che l’Amministrazione Finanziaria neppure avrebbe contestato le finalità speculative perseguite dalla società nello stipulare i contratti di swap, e comunque non avrebbe assicurato la prova del ricorrere della circostanza.

Gli oneri probatori: la società deve dimostrare di avere i requisiti per conseguire la deducibilità dei costi e pertanto che i contratti sono stato stipulati con finalità di copertura

La Cassazione ritiene che gli argomenti proposti dal giudice dell’appello non appaiono condivisibili, accogliendo il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate.

La società in questione, non operante nel settore creditizio in quanto dedita all’attività di costruzione e commercializzazione di cassoni per veicoli industriali e commerciali, sostiene di aver diritto alla deduzione di costi relativi agli oneri sostenuti in conseguenza di contratti di swap stipulati con finalità di copertura, e pertanto gli oneri sopportati dovrebbero ritenersi inerenti.

La questione, ritiene la Corte, riguarda la ripartizione degli oneri probatori.

In particolare, essendo la società ad affermare la deducibilità dei costi, ad essa compete dimostrare di possedere i requisiti per conseguirla.

La questione non è quindi se l’Agenzia delle Entrate abbia provato la natura speculativa dei contratti di swap, come mostra di ritenere necessario il giudice dell’appello, bensì di verificare se la società abbia provato che i contratti di swap sono stati stipulati con finalità di copertura (e non speculative).

Invero la modifica dell’art. 112 del Tuir, attuata per effetto dell’art. 11, comma 1, lett. f ), del D.Lgs. n. 38/2005, non ha comportato la disapplicazione dei criteri generali previsti dall’art. 109 del Tuir, e da ciò discende che i contratti di swap (tra l’altro) stipulati da enti non creditizi importano la deducibilità degli interessi passivi soltanto quando le operazioni finanziarie siano state poste in essere con finalità di copertura del rischio, e sempre che sia rispettato il principio dell’inerenza rispetto all’oggetto dell’impresa.

Al riguardo, la Corte si attiene ai principi contabili nazionali OIC 19 (par. C. VII) e 32, unitamente alle determinazioni di Banca d’Italia (166/1992, par. 5.9) e Consob (26.2.99), che pongono una stretta correlazione finalistica e contabile tra operazioni a rischio e strumenti finanziari di copertura del rischio medesimo.

In particolare, perché un’operazione possa essere qualificata di copertura, devono essere verificati i seguenti requisiti:

  • l’intento reso palese di realizzare la copertura;
  • la correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie dello strumento di copertura (scadenze, tassi, etc.) e le corrispondenti caratteristiche delle passività coperte;
  • la dimostrabilità delle due condizioni precedenti sulla base di documenti che le comprovino (es. delibere CdA; nota integrativa bilancio; relazioni sindaci, revisori etc.; scritture di collegamento; collegamenti negoziali; presupposizioni...).

Gli strumenti che non siano obiettivamente classificabili come “di copertura” sulla base dei predetti principi devono essere considerati come “di negoziazione”, e quindi come “derivati speculativi”.

Inoltre, la Corte di Cassazione ha già chiarito in generale, che in tema di deducibilità dei costi ai fini fiscali, devono essere esclusi dai componenti negativi del reddito d’impresa gli accantonamenti per la copertura del rischio inerente il contratto di “interest rate swap”, quando la società non operi nel settore creditizio o finanziario, in ragione dell’insussistenza del requisito dell’inerenza del costo che non può essere correlato alla mera idoneità dell’operazione a produrre reddito, dovendo essere riferibile all’oggetto dell’attività di impresa.

Inoltre, in tema di deducibilità degli accantonamenti per la copertura del rischio inerente ad operazioni su derivati, la società non operante nel settore creditizio o finanziario che invochi l’applicazione dell’art. 112 del D.P.R. n. 917/1986 ha l’onere di allegare e di provare che la finalità del contratto di “interest rate swap” è di coprire operazioni che riguardano l’esercizio dell’attività imprenditoriale, dato che l’inerenza sussiste non ogni qual volta la componente negativa sia riferibile a una qualsiasi operazione idonea a produrre reddito, ma in relazione all’oggetto dell’impresa.

Con ciò viene confermato che in tema di redditi d’impresa il requisito dell’inerenza dei costi deducibili riguarda la compatibilità, coerenza e correlazione di tali costi non ai ricavi in sé, ma all’attività imprenditoriale svolta idonea a produrre redditi.

La Corte, pertanto, nel ritenere errata la ripartizione dell’onere probatorio effettuata dalla CTR nel giudizio di appello, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

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