L’imposta sostitutiva sui finanziamenti non si applica per le operazioni che non si traducono nella provvista di disponibilità finanziaria. Lo ha precisato la Corte di Cassazione
I giudici della Suprema Corte nel caso di specie non ritengono integrato il requisito oggettivo per l’applicazione dell’imposta sostitutiva in quanto il negozio non ha per oggetto un finanziamento ma la garanzia di recupero del credito.
In tal caso si applica l’imposta di registro nella misura dello 0,50 per cento prevista per le cessioni di crediti.
Questo il principio espresso nella sentenza n. 23909/2024 della Corte di Cassazione.
No all’imposta sostitutiva sui finanziamenti senza provvista di disponibilità finanziaria
La questione oggetto della controversia in esame trae origine dal diniego di rimborso con cui l’Agenzia delle Entrate negava la restituzione di una somma versata da una società, a titolo di imposta di registro in misura proporzionale (pari allo 0,50 per cento), relativamente all’atto di cessione (pro solvendo), disposto a favore della concedente del bene utilizzato in leasing, dei crediti presenti e futuri vantati dalla contribuente nei confronti di GSE (Gestore Servizi Energetici) Spa, a garanzia del pagamento del canone di leasing dovuto alla predetta intermediaria finanziaria.
In particolare, la competente Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello proposto dalla contribuente contro la sentenza emessa dalla Commissione tributaria provinciale.
I giudici di appello in tal senso hanno precisato che il beneficio fiscale previsto dall’articolo 15 del DPR n. 601 del 1973 (esenzione dall’imposta di registro, dall’imposta di bollo, dalle imposte ipocatastali e dalla tassa sulle concessioni governative, con applicazione di una imposta sostitutiva sui finanziamenti) spetta, dal punto di vista soggettivo, non solo alle aziende e agli istituti di credito e cioè agli enti preposti all’esercizio del credito ed alla raccolta ed erogazione del risparmio del pubblico, ma anche agli intermediari finanziari iscritti nell’elenco di cui all’articolo 107 del decreto legislativo n. 385 del 1993.
Nella specie, la cessione pro solvendo dei crediti rappresentava un atto giuridico volto a garantire l’estinzione del debito assunto dalla società nei confronti della banca, come tale riconducibile alla previsione dell’articolo 15 del citato DPR.
La società, quindi, secondo quanto statuito dai giudici di appello, poteva beneficiare di un regime alternativo di tassazione, in base al quale corrispondere la minor imposta sostitutiva, acquisendo il diritto all’esenzione dal versamento delle imposte di registro, di bollo ed ipocatastale, diversamente dovute in ragione del regime ordinario di tassazione su ciascun atto legato da un nesso causale all’operazione di finanziamento.
I requisiti richiesti per l’applicazione dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti
L’Agenzia delle Entrate impugnava la pronuncia dei giudici di appello contestando la valutazione della CTR nella parte in cui aveva basato la decisione sulla sussistenza del requisito soggettivo dell’agevolazione fiscale, invece che sull’esame del profilo oggettivo, fornendo un’interpretazione estensiva del concetto di finanziamento contenuto nel citato articolo 15, senza considerare che la ratio sottesa alla norma agevolativa, di stretta interpretazione, riguardava le operazioni qualificate dall’erogazione materiale di risorse finanziarie al fine di accrescere la produttività e di favorire lo sviluppo economico, che giustificava l’applicazione di un’imposta sostitutiva.
In sostanza, secondo l’Agenzia, il beneficio fiscale opera solo per quelle operazioni di finanziamento volte ad immettere nuova ricchezza nel mercato, estendendosi a quelle ipotesi che implicano la possibilità di attingere denaro, al fine di incrementare gli investimenti produttivi, come confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità, che ha individuato le operazioni di finanziamento in quelle che si traducono nella provvista di disponibilità finanziaria.
Invece, sostiene la ricorrente Agenzia, la società aveva ceduto crediti personali del contribuente per garantire il pagamento di canoni di locazione finanziaria e tale contratto non rientrerebbe nella tipologia degli atti che hanno come elemento causale il finanziamento, esprimendo, invece, una funzione di mera garanzia, avendo voluto la contribuente tutelare solo la propria posizione debitoria verso l’azienda creditrice.
Pertanto, la ricorrente ritiene corretto il versamento dell’imposta di registro, di cui invece la contribuente aveva chiesto la restituzione, ribadendo che le norme agevolatrici sono di stretta interpretazione e non suscettibili di interpretazione analogica.
La Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia precisando che la critica alla sentenza impugnata è stata sviluppata sulla base della erronea applicazione della citata disposizione normativa, avendo l’Agenzia contestato alla Commissione di aver fondato la propria valutazione sul requisito soggettivo posseduto dall’intermediario finanziario, non soffermandosi invece sulla effettiva sussistenza del requisito oggettivo, in termini contrastanti con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità.
Pertanto, nell’ipotesi in esame (cessione di credito pro solvendo a garanzia del pagamento del canone di locazione finanziaria) non opera la previsione di cui al citato articolo 15 del DPR n. 601 del 1973, che esonera dal versamento delle imposte di registro le operazioni di finanziamento a medio e lungo termine, tutti i provvedimenti ed atti ad esse inerenti, le garanzie a qualunque titolo prestate, ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione ai finanziamenti.
Al riguardo, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in materia di agevolazioni tributarie per il settore del credito, le operazioni di finanziamento, alle quali il predetto articolo 15 accorda un trattamento fiscale di favore, vanno individuate - in base alla ratio legis ed al principio secondo cui le norme agevolative sono di stretta interpretazione - in quelle che si traducono nella provvista di disponibilità finanziarie, cioè nella possibilità di attingere denaro, da impiegare in investimenti produttivi.
La questione viene quindi risolta dalla Corte di Cassazione sulla base della ratio legis della norma di agevolazione di cui al citato articolo 15 del DPR n. 601 del 1973, da ricercare nel favor che il legislatore intende accordare agli investimenti produttivi, nella previsione che essi possono creare nuova ricchezza.
La Corte ritiene pertanto che, nel caso in cui ci si trovi di fronte ad una situazione che presuppone già erogato il credito ed investita la somma corrispondente, e nella quale oggetto di regolamento negoziale è la successiva cessione del credito con finalità di garanzia, il negozio in questione non ha per oggetto un finanziamento, quanto piuttosto la garanzia di recupero del credito.
In tale ipotesi, dunque, non ricorre lo scopo per il quale il legislatore accorda un trattamento agevolato, in quanto, per effetto del negozio di cessione, il cessionario non dispone di nuovo denaro, suscettibile di impieghi produttivi.
Pertanto, data l’assenza di natura creditizia o finanziaria, le cessioni di crediti a scopo di garanzia delle obbligazioni derivanti da contratti di leasing non beneficiano dell’imposta sostitutiva, ai sensi degli articoli 15 e 17 del DPR n. 601 del 1973, ma scontano l’imposta di registro nella misura dello 0,50 per cento ai sensi dell’articolo 6 della tariffa - parte prima, allegata al DPR n. 131 del 1986 (nel quale espressamente rientrano: “Cessioni di crediti, compensazioni e remissioni di debiti, quietanze, tranne quelle rilasciate mediante scrittura privata non autenticata; garanzie reali e personali a favore di terzi, se non richieste dalla legge”), trattandosi di contratti caratterizzati da autonomia funzionale, seppur nel contesto di un collegamento negoziale, rispetto ai contratti che danno vita alle obbligazioni garantite.
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