Illeciti tributari fra amministrativo e penale: la sottile linea di demarcazione e le criticità del sistema

Un'analisi delle fattispecie di illeciti tributari che non danno luogo a conseguenze penali (abuso del diritto, transfer pricing) con uno sguardo ampio sul sistema penale tributario.

Illeciti tributari fra amministrativo e penale: la sottile linea di demarcazione e le criticità del sistema

Uno dei temi più delicati in ambito fiscale è quello del rapporto tra processo penale e processo tributario, regolato dal principio del cosiddetto doppio binario.

Anche laddove il procedimento penale e quello tributario attengano alla medesima fattispecie, peraltro, gli stessi fatti sono destinati ad assumere connotati differenti, attesi anche i differenti principi posti a presidio dell’elemento psicologico.

La responsabilità penale, infatti, quantomeno per ciò che attiene alla categoria dei delitti, cui appartengono tutte le fattispecie di cui al Dlgs. n. 74/2000, è strettamente connessa alla coscienza e volontà dolosa dell’evento, fatte salve espresse eccezioni che possono risultare punite anche per effetto della negligenza, imprudenza ed imperizia, ossia per colpa.

Scenari assai differenti si prospettano invece per ciò che attiene all’ambito strettamente amministrativo di applicazione delle norme sanzionatorie tributarie, dove, in base all’art. 5, comma 1, del Dlgs. 18 dicembre 1997, n. 472 “Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”.

Le presunzioni e i criteri di valutazione induttivi, usati ai fini fiscali, non possono dunque valere, ex se, ai fini della contestazione penale del reato.

Eppure la sovrapposizione tra i due ambiti può creare distorsioni che incidono anche sulla certezza dei rapporti negoziali e sull’affidamento che i contribuenti, soprattutto esteri, possono pretendere in caso di operazioni (e investimenti) relativamente alle quali l’Amministrazione finanziaria può procedere a contestazioni su profili come transfer pricing, abuso del diritto, stabile organizzazione, esterovestizione etc., tutti caratterizzati da ampi margini di valutazione soggettiva.

In particolare il “pericolo” di poter incorrere in sanzioni penali, il sistema di denuncia obbligatoria della notizia di reato da parte dei verificatori e l’avvio quasi automatico del procedimento penale possono fungere da rilevante disincentivo per ogni operazione caratterizzata da un certo grado di complessità negoziale, o da profili di fiscalità internazionale.

Proprio per la “labilità” del rapporto tra presunzione e prova, per alcune delle sopra indicate fattispecie, è stata espressamente esclusa la rilevanza penale del comportamento contestato.

È il caso, per esempio, dell’abuso del diritto (comma 13 dell’articolo 10 bis, L. 212/2000 – laddove comunque devono ritenersi escluse dalla nozione di abuso del diritto le ipotesi di condotte illecite fraudolente, od anche soltanto simulatorie).

Altra fattispecie al “limite” è quella del transfer pricing.

Le modifiche sostanziali apportate alla normativa penal-tributaria ad opera del Dl. n. 124/2019 (convertito dalla Legge n. 157/2019), hanno del resto avuto un impatto significativo anche ai fini dell’irrilevanza penale delle fattispecie valutative derivanti da operazioni poste in essere nell’ambito dei gruppi d’imprese multinazionali e rientranti nell’ipotesi del cd. transfer pricing.

Pertanto, a seguito dell’abrogazione della causa di non punibilità di tipo quantitativo (10 per cento), per evitare che tali tipi di valutazioni possano avere rilevanza penale, è necessario adottare idonee cautele, indicando nel bilancio od anche in altra documentazione rilevante ai fini fiscali i criteri concretamente applicati (cfr. articolo 4, comma 1-bis, del citato Dlgs. 74/2000).

Tra gli strumenti latu sensu elusivi, di tipica connotazione “internazionale” abbiamo poi, tra gli altri, anche quello della esterovestizione, laddove però, perché sia giustificata, una restrizione alla libertà di stabilimento deve comunque avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica.

Il fenomeno della esterovestizione non va poi confuso con quello delle stabili organizzazioni occulte; fattispecie forse, tra quelle indicate, a maggior rischio di “distorsione”, laddove l’omessa presentazione della dichiarazione sarà comunque considerata reato, seppur basata su valutazioni soggettive dei verificatori.

Illeciti tributari fra amministrativo e penale: la sottile linea di demarcazione

Il tema è dunque quello della linea di demarcazione tra sanzioni penali ed amministrative.

Giova sottolineare in tal senso che, per il caso, ad esempio, della contestazione di stabile organizzazione, eventualmente rilevata dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate in sede di verifica fiscale, gli stessi verificatori avranno l’obbligo, ex art. 331 c.p.p, di effettuare la denuncia di reato, prospettandosi, almeno in astratto, al superamento delle soglie di punibilità, la fattispecie di reato di omessa dichiarazione, ex art. 5 Dlgs 74/2000.

Anche per il caso di contestazione di esterovestizione, la notizia di reato sarà per omessa dichiarazione.

Per quanto riguarda l’attrazione della residenza di società estere in Italia, si pongono le medesime criticità della fattispecie della stabile organizzazione occulta, con l’ “aggravante” che, in tal caso sussistono delle vere e proprie presunzioni legali (seppur relative) che attraggono la residenza fiscale in Italia in presenza di determinati presupposti.

Nel caso di transfer pricing vi potranno essere infine gli estremi della infedele dichiarazione ex art. 4 del Dlgs 74/2000. Sempre che non vengano rilevati elementi frodatori, che individuino una dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di artifizi in contabilità (art. 3 Dlgs 74/2000).

In conclusione, le presunzioni e i criteri di valutazione induttivi, usati ai fini fiscali, non dovrebbero poter valere, per tali fattispecie, ai fini della contestazione del reato, laddove la dimostrazione dell’atteggiamento psicologico del soggetto agente deve comunque, già oggi, passare attraverso la comprovata consapevolezza di tutti gli elementi costitutivi del reato, ivi compresi la falsa rappresentazione contabile, i mezzi fraudolenti o gli artifici che la supportano, con l’esclusione di errori sul fatto, valutazioni opinabili o erronee interpretazioni delle norme tributarie.

Il punto “debole” del sopra indicato procedimento è forse quello della denuncia di reato, laddove l’art. 331 c.p.p. stabilisce che i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito.

La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero.

La notizia di reato è dunque la modalità mediante la quale la polizia tributaria (G.d.F. o ufficio tributario) - ove rilevi nell’esercizio delle proprie funzioni amministrative la presenza di violazioni costituenti reato – comunica tale circostanza “senza ritardo” all’A.G.

A chiusura di una verifica fiscale, qualora sia stata constatata la commissione di reati, dev’essere inoltre inoltrato rapporto (denuncia) alla Procura della Repubblica territorialmente competente, con l’esposizione dei fatti penalmente rilevanti, nel modo più completo possibile.

La denuncia, redatta per iscritto, deve contenere la sommaria esposizione dei fatti, le fonti di prova, il giorno dell’acquisizione della notizia, le generalità della persona a cui i fatti sono attribuibili, nonché quant’altro necessario per meglio rappresentare i fatti constatati, e dev’essere sottoscritta da tutti i componenti del nucleo di verifica.

I verificatori hanno dunque il compito di valutare, caso per caso, se informare “senza ritardo” l’A.G., ogni qualvolta siano configurabili illeciti penali, previa quantificazione dell’imposta evasa. Nei casi non ancorati a soglie di evasione (ci si riferisce alle fattispecie previste dagli artt. 2, 8, 10 e 11 del Dlgs. n. 74/2000), la notizia di reato dev’essere invece inviata immediatamente, all’insorgenza dei primi indizi di reato.

La Circolare 154/2000, redatta a commento del Dlgs 74/2000, contiene peraltro, al paragrafo 7, alcune “Istruzioni operative” sulle modalità della denuncia e precisa che “l’obbligo della trasmissione della notizia di reato sorge nel momento della constatazione del fatto costituente reato ovvero … con riferimento alle fattispecie delittuose di cui agli articolo 2, 3 e 4 (del Dlgs 74/2000) il momento della constatazione del fatto deve intendersi al termine delle operazioni di verifica riguardanti l’anno di imposta interessato”.

Tendenzialmente, dunque, il momento della constatazione del fatto costituente reato coinciderà con la formalizzazione dell’atto impositivo o del processo verbale che accerti il superamento delle soglie di punibilità.

Risulta allora evidente come la valutazione “senza ritardo” fatta in sede di verifica fiscale avrà poi conseguenze penali a quel punto difficilmente governabili nella loro evoluzione.

Illeciti tributari fra amministrativo e penale: i profili di criticità

I maggiori profili di criticità si pongono forse in riferimento alle fattispecie della stabile organizzazione e della esterovestizione, ma anche del transfer pricing.

In particolare, il fenomeno dell’esterovestizione si concretizza, in sostanza, nella fissazione della sede legale in un Paese estero e nella realizzazione del requisito della presenza della sede dell’amministrazione o dell’oggetto principale, nel nostro Paese.

Ora, sul piano amministrativo, le conseguenze dell’esterovestizione consistono nell’accertamento in Italia dei maggiori imponibili che sarebbero stati dichiarati qualora la società, invece di qualificarsi come soggetto fiscalmente non residente in Italia, si fosse dichiarata residente in Italia. In ambito penale, la prassi è poi quella di contestare – in caso di superamento della soglia di punibilità – il reato di omessa dichiarazione ex art. 5 del Dlgs. 74/2000.

In tal caso, peraltro, il Dl. 223/2006 ha introdotto, ai commi 5-bis e 5-ter dell’art. 73 del TUIR una presunzione legale di residenza nel territorio dello Stato in capo alle società estere che detengano direttamente partecipazioni di controllo di diritto e di fatto in società di capitali ed enti commerciali italiani se, alternativamente:

  • sono controllate, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
    o
  • sono amministrate da un consiglio di amministrazione o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

E dunque sulla base di mere presunzioni (seppur relative e contro cui è dunque possibile fornire prova contraria), oltre che delle conseguenze sanzionatorie amministrative, il contribuente risponderà anche di quelle penali.

Altra fattispecie potenzialmente critica è anche quella del transfer pricing. A seguito peraltro della già citata abrogazione della causa di non punibilità di tipo quantitativo (10 per cento), per evitare che tali valutazioni possano avere rilevanza penale è necessario adottare idonee cautele, indicando nel bilancio od anche in altra documentazione rilevante ai fini fiscali i criteri concretamente applicati.

Il comma 1-bis dell’art. 4 del Dlgs 74/2000 (dichiarazione infedele), stabilisce che, ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.

In base al comma 1-bis dell’art. 4, la causa di non punibilità si applica dunque quando i criteri di valutazione sono stati indicati nel bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, tra cui la documentazione in materia di prezzi di trasferimento.

La presentazione della documentazione tp manifesta la volontà del contribuente di mantenere una condotta trasparente e partecipativa, indicativa dell’assenza di dolo.

Affinché possa trovare applicazione la causa di non punibilità in esame, è necessario, però, che la rappresentazione dei fatti contenuta nella nota integrativa del bilancio o in altra documentazione fiscale sia veritiera e che i criteri di valutazione ivi esplicitati corrispondano a quelli concretamente applicati dal contribuente.

Ed è egualmente necessario che i contenuti di detta documentazione siano resi conoscibili all’Amministrazione finanziaria.

Se tuttavia, per un verso, risulta piuttosto agevole individuare la “valutazione corretta” nei casi di stime normativamente vincolate (così, ad esempio, per le rimanenze, gli ammortamenti, le svalutazioni, ecc.), per altro verso, in mancanza di convenzioni civilistiche o fiscali, la misurazione risulta necessariamente connotata da un certo grado di discrezionalità.

Il problema delle rilevate criticità è, in sostanza, strettamente connesso al (sempre più in crisi) sistema del doppio binario.

In particolare, il giudizio penale si incentra sul principio del libero convincimento del giudice, ha un sistema probatorio più articolato e richiede un accertamento maggiormente rigoroso della colpevolezza del contribuente, e pertanto non può essere vincolato da quanto eventualmente emerso o stabilito nell’ambito del giudizio tributario.

Le presunzioni tributarie non possono del resto assumere, di per sé, valore di prova nell’ambito del giudizio penale.

Prendiamo, nello specifico, la citata previsione contenuta nell’art. 73, comma 5 bis, TUIR, in materia di esterovestizione.

Tale norma prevede una presunzione che serve a facilitare l’Amministrazione nell’accertamento della residenza, ma non la esonera, già in sede tributaria, dal provare in concreto l’effettività dell’esterovestizione.

Quanto detto rileva a maggior ragione sul versante penale, in cui il valore probatorio delle presunzioni è decisamente limitato e, comunque, inferiore rispetto a quanto si verifica in ambito tributario.

Si può perciò concludere che in ambito penale l’esterovestizione e, conseguentemente, l’eventuale realizzazione del reato di omessa dichiarazione, dovrà essere sostenuta acquisendo la prova al di sopra di ogni ragionevole dubbio della residenza in Italia della società avente sede legale all’estero, il che non potrà avvenire attraverso la sola dimostrazione della realizzazione dei presupposti individuati dall’art. 73, commi 5 bis e 5 ter, TUIR.

Analoghe considerazioni possono essere fatte per il caso della stabile organizzazione.

L’omessa presentazione della dichiarazione da parte di una società estera considerata fiscalmente residente in Italia (o che in Italia dispone di una stabile organizzazione) dovrebbe dunque senz’altro sfociare in una contestazione del reato di cui all’art. 5 del Dlgs. n. 74/2000 quando si tratti di manifesta esterovestizione, cioè di società fittiziamente localizzate all’estero (in particolare in paradisi fiscali), ma prive in tale contesto di effettiva struttura operativa.

Senonché, non tutti i casi in cui viene accertata in Italia la residenza di società estere hanno tali caratteristiche.

Nei casi non “manifesti”, diviene allora rilevante analizzare l’aspetto soggettivo del reato, laddove, nell’ambito dell’art. 5 del Dlgs. n. 74/2000, l’elemento psicologico è costituto dal dolo specifico, consistente nella volontà di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto.

Nell’ambito dell’accertamento dell’elemento psicologico, non può peraltro essere indifferente la circostanza che il comportamento tenuto dal contribuente sia trasparente e riconoscibile dall’Amministrazione finanziaria.

Certo allora l’elemento del dolo specifico sarà senz’altro presente nei casi di frode, che non potrà però essere confusa con ipotesi invece di interpretazione non corretta della norma.

Al fine di escludere che non vi siano fattispecie frodatorie, sarebbe del resto anche opportuna una più specifica indicazione normativa su cosa si possa intendere o meno come frode.

Seppure la definizione di fraudolenza si desuma dal codice penale dagli elementi costitutivi del reato di truffa, ovverossia facendo riferimento agli “artifizi o raggiri” previsti dall’art. 640 c.p., nel d.lgs. 74/2000 non si rinviene infatti una definizione specifica del concetto di frode.

Il Legislatore ha quindi, in concreto, lasciato il compito di qualificarla al giudice nell’ambito del caso singolo.

Illeciti tributari fra amministrativo e penale: conclusioni

In conclusione, per tali fattispecie andrebbero probabilmente previsti strumenti “correttivi” al fine di impedire eccessive (ed automatiche) conseguenze penali, legate a fenomeni meramente interpretativi.

Uno strumento di “mitigazione del rischio” è stato comunque in tali casi introdotto con il Dl 50/2017, il cui articolo 1-bis ha stabilito che le società non residenti, che appartengono a gruppi multinazionali con ricavi superiori a 1 miliardo di euro, che effettuano cessione di beni e prestazioni di servizio in Italia per un ammontare superiore a 50 milioni avvalendosi di società residenti o di stabili organizzazioni, possono avvalersi di una procedura di cooperazione e collaborazione rafforzata per la definizione dei debiti tributari.

A tal fine i soggetti interessati possono per esempio chiedere all’Agenzia delle Entrate una valutazione della sussistenza dei requisiti che configurano la stabile organizzazione mediante un’istanza finalizzata all’accesso al regime dell’adempimento collaborativo.

Per coloro che estinguono i debiti tributari della stabile organizzazione dovuti in base all’accertamento con adesione, le sanzioni amministrative sono ridotte alla metà. Si dispone inoltre che in tal caso il reato di omessa dichiarazione non è punibile.

Tale previsione, unita alla possibilità di accordi preventivi ex articolo 31-ter del Dpr. 600/1973, che prevede che le imprese con attività internazionale possono accedere ad una procedura finalizzata alla stipula di accordi preventivi, potrebbe dunque contribuire ad un “clima” più disteso per eventuali investitori internazionali (in buona fede).

Alla luce di tutto quanto premesso, si possono dunque trarre le seguenti conclusioni.

Il doppio binario consente di non avere automatismi tra istruttoria amministrativa tributaria e conseguenze penali (e viceversa).

Per la contestazione penale ci vogliono elementi probatori non meramente presuntivi e comunque che presentino le caratteristiche oggettive e soggettive (in particolare dolose) tipiche delle fattispecie di reato.

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