L'Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 75 del 2023 ha chiarito alcuni aspetti da dover tenere presenti per la qualificazione dell'attività di erogazione di denaro, beni o servizi oltre che di finanziamento in base a quanto previsto dal CTS e dal regime transitorio
Un’associazione in rappresentanza degli Enti Filantropici ha rivolto un quesito all’Agenzia delle Entrate, al quale è stata data risposto con la risoluzione n. 75 del 2023.
Tale risoluzione ha posto l’attenzione sulle problematiche legale alla qualificazione commerciale dell’attività svolta da questo particolare tipo di ente del terzo settore, valutando anche la normativa fiscale ad oggi applicabile, in considerazione di quanto previsto dal CTS e dal regime provvisorio.
I dubbi dell’istante nascono primariamente dall’impossibilità di applicare a pieno le norme contenute nel titolo X del codice del terzo settore, oltre che dall’incertezza dell’estensione agli Enti filantropici di alcune estensioni comprese nel regime transitorio.
Il caso: ente filantropico e qualificazione della sua attività
Nella presentazione del quesito l’associazione esponeva le seguenti caratteristiche a descrizione dell’ente:
- Trattasi di ente filantropico qualificato ai sensi dell’articolo 37 e seguenti del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, ovvero enti costituiti “in forma di associazione riconosciuta o di fondazione al fine di erogare denaro, beni o servizi, anche di investimento, a sostegno di categorie di persone svantaggiate o di attività di interesse generale”.
- secondo il parere dell’istante l’ente filantropico considerato non svolgerebbe un’attività compresa tra quelle elencate dall’art. 5 del d.lgs 117/2017 ma ne svolgerebbe una di sostegno di tutte quelle in esso citate, andando difatti a prestare sostegno alle persone svantaggiate ma anche ad altri ETS, o altri enti che svolgono appunto in prima linea le attività comprese nell’art. 5 del CTS senza scopi lucrativi;
- l’attività di sostegno così come descritta dall’istante dovrebbe preveder erogazione di denaro, erogazione di beni, di varia natura: dai beni alimentari ed emergenziali in contesti e situazioni critiche ai beni mobili ed anche immobili, erogazione di servizi, anche questi in varie forme, ma sempre in forma gratuita ed infine erogazione di denaro, beni e servizi di investimento, descritta anche come attività di “filantropia strategica”’.
Con tutto ciò premesso, l’istante infine conclude il quesito chiedendo se la filantropia strategica in quanto attività istituzionale, ai sensi dell’art. 37 del d.lgs 117/2017, possa essere qualificata come attività non commerciale e se la previsione contenuta nell’art. 84 comma 2-bis sempre del CTS possa essere applicata anche ai redditi derivanti dalla gestione del patrimonio immobiliare con strutture dedicate, attraverso la quale l’Ente Filantropico si sostiene e si procura i proventi conseguiti da reinvestire.
La soluzione dell’AdE: la qualificazione della filantropia strategica
Dopo aver identificato gli enti filantropici come enti del terzo settore, appartenenti ad una specifica categoria con apposita sezione all’interno del RUNTS, l’Agenzia delle Entrate sottolinea ancora una volta l’applicabilità agli stessi delle norme contenute nel CTS e la supremazia delle previsione specifiche di categoria su quelle a carattere generale.
In fase di premessa le Entrate ricordano infatti che l’articolo 79 del CTS dispone che “agli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali, vengano applicate le disposizioni di cui al presente titolo nonché le norme del titolo II del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in quanto compatibili”, e che in base a quanto previsto dall’articolo 104, comma 2, del Codice “Le disposizioni del titolo X, salvo quanto previsto dal comma 1, si applicano agli enti iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore a decorrere dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea”, e che quindi è bene analizzare entrambe le situazioni, quella ove il CTS è pienamente applicabile e quella attualmente in vigore cioè caratterizzata dal regime transitorio.
Il combinato disposto degli articoli 37 e 38 del CTS ci offre una chiara descrizione di cosa sia un ente filantropico e della sua attività caratteristica.
Gli enti filantropici sono enti del Terzo settore costituiti in forma di associazione riconosciuta o di fondazione al fine di erogare denaro, beni o servizi, anche di investimento, a sostegno di categorie di persone svantaggiate o di attività di interesse generale. Essi traggono le risorse economiche necessarie allo svolgimento della propria attività principalmente da contributi pubblici e privati, donazioni e lasciti testamentari, rendite patrimoniali ed attività di raccolta fondi.
Mentre al comma 2 dell’art. 38 viene espressamente citata l’attività di investimento tra quelle previste nell’atto costitutivo e statuto di un ente filantropico e che gli permette di raggiungere il suo scopo sociale.
Tutto ciò premesso, l’Ade in risposta al quesito dell’istante estrinseca le seguenti fattispecie al fine di elaborare il suo parere:
- la tipologia di attività svolta dall’ente filantropico non fa nascere una nuova categoria ulteriore rispetto a quelle già previste dall’art. 5 del CTS in quanto è pienamente riconducibile a quanto espresso alla lettera U) del citato articolo. Difatti l’attività di investimento prevista dall’art. 37 non è altro che un’ulteriore specifica di quanto già elencato alla lettera u) dell’art. 5 del CTS;
- in base al criterio di specialità inoltre solo gli Ef tra gli ETS possono prestare servizi di investimento;
- tra le attività di sostegno che l’ente filantropico può effettuare vi sono quindi servizi di investimento, attraverso la sottoscrizione di capitali e prestiti a patto che siano senza alcuna forma di remunerazione, per i quali si prevede la sola restituzione dei mezzi finanziari apportati senza produzione di interessi;
- ai fini della qualificazione di tale attività l’Ade si sofferma sull’impossibilità attuale di poter usufruire delle previsioni contenute nell’art. 79 del CTS, subordinate al previo assenso della Commissione Europea, dovendo quindi ricercare la soluzione nel TUIR;
- i parametri per determinare la commercialità o meno di un’attività sono riepilogati nell’art. 55 del TUIR in linea con quanto previsto dall’art. 2195 del codice civile, e quindi la qualificazione commerciale ai fini fiscali dell’attività svolta deve essere operata verificando se l’attività viene svolta con organizzazione in forma di impresa.
Difatti tale disposizione trova risposta nell’art. 143 comma 1 del TUIR il quale stabilisce appunto che “non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell’articolo 2195 del codice civile rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione”.
A seguito di tali precisazioni, l’Ade in risposta al quesito posto rileva quindi che:
- l’attività dell’ente filantropico descritta nell’art. 37 del CTS è da considerarsi di interesse generale e rientrante nella lettera u) dell’art. 5, ed il fatto che essa sia svolta a titolo gratuito, ovvero in assenza di controprestazioni o corrispettivi a carico dei beneficiari, rappresenta un indice di non commercialità ai fini della qualificazione dell’attività ’“non commerciale”;
- l’art. 26 comma 1 lettera i) del decreto semplificazioni ha introdotto un ulteriore periodo all’art. 104 del CTS prevedendo che le disposizioni transitorie si applichino dall’operatività del RUNTS a tutti gli ETS, ed è possibile quindi affermare che da tale data sia applicabile quanto previsto dall’art. 84 del runts al comma 2, anche agli Ef, così come disposto dal comma 2-bis. L’esenzione prevista dall’art. 84 si riferisce ai redditi che gli Ef traggono dagli immobili a patto che vengano essi destinati allo svolgimento di attività non commerciali.
Si fa riferimento, quindi, alla gestione degli immobili inclusa la locazione, a condizione che non siano inseriti in un “contesto produttivo”, ma siano posseduti al mero scopo di trarne redditi di natura fondiaria, destinati al sostegno delle finalità istituzionali proprie dell’Ente Filantropico e, non sia configurabile, nell’attività di gestione, un’attività organizzata in forma d’impresa.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Enti filantropici e attività di finanziamento: commerciale o no? Risponde l’AdE