Un concordato da riportare alle origini

Salvatore Cuomo - Dichiarazione dei redditi

Le attese degli esiti del concordato preventivo biennale hanno deluso le attese di chi voleva assicurarsi entrate certe da destinare ad altri provvedimenti. L’analisi ed una proposta

Un concordato da riportare alle origini

I dati sulle adesioni al concordato preventivo biennale confermano quello che per i più è stato un flop cocente, ma è proprio così?

A mio parere dipende dai punti di vista. Un’analisi di aspetti positivi e negativi della prima stagione del patto con il Fisco.

Concordato preventivo biennale, perché è un flop

È certo un flop se si considerano le attese del Governo, mai messe nero su bianco se non in una prima bozza del provvedimento dal quale si leggeva che era stato ipotizzato un valore in entrata di circa 1,8 miliardi di euro.

Un obiettivo che non è stato raggiunto anche se per poco. 1,6 miliardi è l’importo che potrà essere ascritto a questo istituto al quale però dovremmo poter sommare l’introito nelle casse dell’Erario che scaturirà dalle adesioni al ravvedimento per gli anni 2018/22.

Il concordato preventivo biennale, si ricorda, ha subito numerose modifiche proprio con il fine di rendere più vantaggiosa l’adesione.

Dapprima con la trasformazione dell’istituto da strumento premiale rivolto ai soggetti Isa a strumento di compliance volto a favorire l’emersione di materia imponibile fino ad oggi nascosta al fisco, e l’estensione ai soggetti in regime forfettario dapprima esclusi.

Poi la previsione del ravvedimento speciale 2018/2022 quasi a ridosso della scadenza del 31 ottobre il cui accesso è stato collegato alla accettazione della proposta di concordato preventivo quale condizione essenziale.

Senza dimenticare le dichiarazioni di vari membri dell’esecutivo che condizionavano la riduzione della pressione fiscale sul ceto medio al buon esito del CPB, i cui proventi avrebbero dovuto assicurare la necessità di cassa per coprire il costo della riduzione dell’aliquota intermedia IRPEF di un paio di punti.

Non hanno fatto certo bene le pressioni improprie esercitate sull’istituto, non ultima la riapertura dei termini al 12 dicembre, che il Sole 24 Ore imputa a mio parere erroneamente alle istanze di professionisti e categorie, ma anche le campagne di promozione sui media e le lettere inviate ai contribuenti i cui toni hanno destato diverse lamentele sulla correttezza, ma anche sulla opportunità, di questi atti.

Considerando tutto ciò, il 13 per cento complessivo di accettazioni delle proposte, tra il 16,9 per cento dei soggetti ISA e il 7 per dei forfettari non può considerarsi un successo, un risultato su cui ad esempio si potrebbe fare una analisi dei sui perché delle importanti differenze misurate tra regione e regione, dal 21 del Trentino al 9 della Sardegna ma questo aspetto merita ulteriori approfondimenti.

Perché non è un flop

Di contro non possiamo negare che sia stato un anno zero per tutte le parti coinvolte:

  • per l’istituto concordatario stesso che, tralasciando il marginale esperimento della prima versione Tremonti del 2004 tra l’altro anche più attrattivo dell’attuale, è di fatto una novità per il fisco italiano;
  • per Esecutivo e Parlamento, che ad oltre un anno dalla sua prima ipotesi introduttiva ancora oggi non hanno ancora fornito un quadro normativo chiaro e certo, vedasi le ultime modifiche introdotto con la legge di conversione del dl 155/2024 pubblicato in gazzetta ufficiale solo il 9 dicembre scorso;
  • per la Prassi con l’Agenzia delle Entrate, che a parte la parziale ed obiettivamente deficitaria circolare 18 uscita a metà settembre si è limitata a cercare di dare delle risposte istantanee con delle faq, alcune delle quali sorprendenti nel loro contenuto e le ultime delle quali pubblicate anche loro il 9 dicembre scorso;
  • per professionisti e contribuenti, che hanno fatto la loro parte pur con le complicanze derivanti da una norma in itinere ancora oggi, da una prassi che cerca di inseguire l’evoluzione normativa senza però dare una risposta certa a più di un caso ancora oggi irrisolto.

Avrei preferito che invece di una riapertura dei termini, chiesta da nessuno dei veri soggetti interessati, si fosse già rivolti verso una analisi dei risultati e delle criticità emerse in funzione della campagna concordataria 2025.

Concordato preventivo biennale, la proposta

Ricordiamo che il concordato preventivo biennale è uno strumento facoltativo di compliance ma anche di pianificazione tributaria introdotto nell’ambito della messa in pratica della Riforma Fiscale.

Visto in questa ottica, l’Esecutivo dovrebbe dapprima alleggerire di improprie pressioni questo strumento, far si che il Legislatore possa concentrarsi sui punti irrisolti posti in evidenza in questi mesi da professionisti e contribuenti fornendo gli strumenti per la loro soluzione e semmai cercare di dare ulteriore appeal all’istituto, premiando chi vorrà confermare l’adesione anche nei successivi bienni.

Questo sito contribuisce all'audience di Logo Evolution adv Network