Concordato in continuità, concetto di meritevolezza e cross class cram down

Quali sono le condizioni per ottenere l'omologazione del concordato in continuità aziendale? Un approfondimento sui concetti di meritevolezza e surplus concordatario

Concordato in continuità, concetto di meritevolezza e cross class cram down

Nell’ambito di proposte di piano di concordato in continuità aziendale diretta, ai fini della fattibilità risulta essenziale l’effettiva possibilità di acquisire, nell’arco del piano, i flussi prospettati come derivanti dalla prosecuzione dell’attività caratteristica e dall’incasso dei crediti commerciali.

Concordato in continuità, concetto di meritevolezza e cross class cram down

Per quanto riguarda la posizione dell’Erario, la proposta concordataria presenterà peraltro difficilmente profili di convenienza in caso di totale assenza di attivo e in presenza di un piano industriale basato esclusivamente su flussi di cassa prospettici aziendali, il cui andamento, in un arco temporale di lungo termine, è però assai difficile prevedere.

Ancor più laddove da un’analisi patrimoniale condotta sulla società concordataria emerga che non sussistono beni immobili che possano far ipotizzare la costituzione di garanzie reali per la soddisfazione dei creditori e non vi sia alcun apporto di finanza esterna a sostegno del piano industriale proposto.

Per avere una visione chiara della situazione l’Erario partirà comunque anche dalla relazione del Commissario Giudiziale, ex art. 107, comma 6, CCII, la cui analisi sulla idoneità e fattibilità del piano dovrà essere sempre effettuata tenendo conto di una valutazione di ragionevolezza delle stime operate dalla società.

Un elemento fondamentale nella valutazione dell’Erario è poi anche la meritevolezza del proponente.

Meritevolezza che non potrà sussistere nel caso in cui gli organi sociali abbiano attuato meccanismi sistematici di autofinanziamento attraverso il mancato riversamento delle imposte, in particolare IVA e ritenute e nel caso in cui la prosecuzione dell’attività aziendale, pur in presenza della causa di scioglimento della perdita del capitale sociale, abbia determinato un aggravamento del dissesto e delle perdite che non sarebbero sorte ove la società fosse stata subito messa in liquidazione, oppure avviata ad una procedura concorsuale.

Un comportamento del genere denoterebbe quindi l’assenza di quella “meritevolezza” nella condotta aziendale che dovrebbe portare ad un percorso premiale solo ed esclusivamente per quelle aziende che, nonostante scelte tempestive e opportune, non riescono ad impedire la crisi d’impresa.

E questo anche considerato che comportamenti del genere possono configurare anche il reato di bancarotta fraudolenta documentale, come stabilito dalla recente sentenza della Cassazione n. 33728/2024, secondo la quale, ai fini della configurabilità del reato devono ritenersi condotte equivalenti la distruzione, l’occultamento o la mancata consegna al curatore della documentazione e l’omessa o irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili.

Che a fronte di tutto ciò, anche in caso di voto contrario da parte dell’Amministrazione finanziaria, il concordato possa poi essere omologato addirittura in modo “forzoso” sarebbe un vero e proprio paradosso giuridico.

Si evidenzia inoltre che, in caso di concordato in continuità aziendale, l’art. 109, comma 5, prevede del resto che il concordato è approvato se tutte le classi votano a favore e che, in caso di mancata approvazione, si applica, se il debitore ne fa richiesta, l’art. 112, comma 2, CCII (cross class cram down).

Le condizioni per ottenere l’omologazione del concordato

La norma sopra menzionata consente, appunto, al debitore di presentare istanza al Tribunale al fine di ottenere l’omologazione “forzosa” del concordato non approvato dai creditori, qualora ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni, ovvero che:

  • a) il valore di liquidazione sia distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione;
  • b) il valore eccedente quello di liquidazione sia distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall’art. 84, comma 7, CCII (crediti dei lavoratori, pagamento delle prestazioni di previdenza e assistenza obbligatorie da parte del datore di lavoro);
  • c) nessun creditore riceva più del proprio credito;
  • d) la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta sia approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

Il Tribunale è, dunque, tenuto in tali casi ad accertare la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l’omologazione del concordato in continuità, verificando non tanto la convenienza economica della proposta di concordato rispetto all’alternativa liquidatoria, quanto se sussistono congiuntamente le quattro condizioni previste dall’art. 112, comma 2, CCII, sopra descritte.

In particolare, quanto alla condizione di cui alla lettera d), per comprendere appieno il significato della norma, è necessario rifarsi alla disciplina della Direttiva europea UE n. 2019/1023 del 20/06/2019 e segnatamente all’art.11 della stessa riguardante la ristrutturazione trasversale dei debiti, da cui per l’appunto trae origine la disciplina nazionale di cui al menzionato art. 112, comma 2, CCII.

Ebbene, quanto alla detta sotto condizione, per ottenere l’omologazione con l’approvazione dell’autorità giudiziaria e quindi al di fuori di una logica di autonomia negoziale tra debitore e i suoi creditori, occorre quindi, quale requisito minimo, quello dell’approvazione della stessa proposta da parte di almeno una classe di creditori, che sia per così dire “maltrattata” nella proposta concordataria e pur tuttavia sia fiduciosa nella bontà della proposta di “rilancio” dell’impresa.

Allo stesso tempo poi, come visto, la medesima norma tutela ciascuno dei creditori dissenzienti, garantendo loro un trattamento non inferiore a quello a cui potrebbero aspirare nel caso di liquidazione giudiziale (art. 112, 2 comma, lett. a), CCII).

Applicando la norma come sopra interpretata, l’omologa “forzosa” non è quindi possibile, laddove la proposta non sia stata approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

Concordato in continuità, concetto di meritevolezza e cross class cram down: cosa afferma la Cassazione

A tal proposito si richiama anche la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 22169/2024, la quale ha posto in evidenza come i flussi generati dalla continuità aziendale non possono essere equiparati a “finanza esterna” e, dunque, considerati un quid distinto dal patrimonio sociale esistente alla data di presentazione della domanda, liberamente distribuibile dal debitore.

La Cassazione, nel respingere il ricorso della società, rileva che il surplus derivante dalla continuazione dell’attività d’impresa non è liberamente destinabile dal debitore senza vincoli di distribuzione (cioè senza rispettare l’ordine di graduazione delle cause legittime di prelazione). Anche tale valore economico deve, quindi, sottostare all’ordine delle cause legittime di prelazione, nel rispetto del principio generale della responsabilità patrimoniale sancito dell’art. 2740 cod. civ.

Al fine di evitare fraintendimenti, la Corte chiarisce, peraltro, anche cosa si debba intendere per “surplus concordatario”, laddove con tale termine può ragionevolmente intendersi non già ogni utilità frutto della prosecuzione dell’attività, “bensì soltanto quella parte di essa che ecceda la somma destinata al pagamento dei creditori, secondo il piano concordatario”. Il surplus finanziario inteso come incremento del valore dell’azienda realizzato tramite la continuità aziendale deve pertanto ritenersi pacificamente rientrante nel paradigma di “bene futuro”, che, secondo i principi generali della responsabilità patrimoniale fissati dall’art. 2740 cod. civ., non può essere sottratto al soddisfacimento dei creditori, secondo l’ordine di graduazione fissato dal successivo art. 2741 cod. civ. e al rispetto, nell’ambito concordatario, dell’ordine delle cause legittime di prelazione.

La scelta del debitore di destinare soltanto una parte del proprio patrimonio attuale e futuro al rispetto dell’ordine delle cause di prelazione non sarebbe dunque di per sé inammissibile, ma richiederebbe il consenso individuale dei singoli creditori, non potendosi ammettere che una decisione maggioritaria disponga di una norma imperativa, quale l’art. 2740 cod. civ., sacrificando in tal modo il diritto individuale del singolo creditore senza il suo consenso.

E tale considerazione si scontra naturalmente anche con la ratio del cross class cram down, pena il “tradimento” proprio del criterio che dovrebbe governare tali procedure, ossia il migliore soddisfacimento del ceto creditorio.

In sostanza, come rileva ancora la Cassazione, il corrispettivo satisfattivo del concordato preventivo in continuità non può essere ridotto alla mera continuità in sé, “svuotando l’impegno satisfattivo che comunque, anche in tale concordato, il piano deve prevedere, per poter essere dichiarato ammissibile e negoziabile con i creditori”.

In definitiva, in assenza di un esplicito consenso, non è concepibile l’idea di addossare ai creditori il rischio della continuità, senza contestualmente beneficiarli attraverso l’attribuzione delle potenzialità reddituali da essa scaturenti. E questo ancor più laddove tali potenzialità siano anche “dubbie”.

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