Il tribunale di Mantova si è espresso di recente in tema di omologazione del concordato preventivo ai sensi del cross class cram down: un approfondimento sul tema
Il Tribunale di Mantova, con una sentenza di marzo 2024, rilevava che, all’esito del voto su un concordato preventivo, non era stata raggiunta la maggioranza prevista dall’art. 109 CCI, avendo votato favorevolmente soltanto alcune delle classi presenti.
La società proponente aveva chiesto che il concordato venisse comunque omologato ai sensi dell’art. 112, co. 2, CCI (ristrutturazione trasversale dei debiti, c.d. cross class cram down), sostenendo che ricorreva, in particolare, la fattispecie prevista dalla lettera d), seconda parte, di tale comma ed osservando che, assunto come riferimento il valore di liquidazione (che fosse volontaria o giudiziale), tutto ciò che “eccede” tale valore influisce sulla distribuzione, che deve osservare i principi di Relative Priority Rule di cui all’art. 84, c.6, CCI.
Presupposti del cross class cram down: il caso di specie
Nel concetto di “eccedenza” quindi, secondo la società, dovevano rientrare anche gli apporti di finanza esterna, se non altro al fine di poter operare il confronto tra distribuzione secondo la Absolute Priority Rule e la Relative Priority Rule, anche perché se così non fosse stato allora in tutte le ipotesi di continuità aziendale indiretta in cui sia prevista la cessione dell’unica azienda non si avrebbe mai una differenza tra i risultati della Absolute Priority Rule e della Relative Priority Rule (non potendo in tal caso emergere flussi della continuità diversi e ulteriori rispetto al corrispettivo di cessione) e non sarebbe, quindi, possibile effettuare alcun confronto.
L’absolute priority rule è una regola posta a tutela delle classi nelle procedure di ristrutturazione, giustificata dal fatto che attua le priorità contrattuali di pagamento che i creditori otterrebbero al di fuori del fallimento. La regola della priorità assoluta è concepita come una misura di protezione della classe dissenziente, impedendo che si possa effettuare una distribuzione a una classe junior se una classe senior dissenziente non sia stata pagata per l’intero. La Direttiva 2019/1023 offre però la possibilità di utilizzare la priorità relativa al fine di evitare un’interpretazione rigida che limiti l’autonomia negoziale riflettendosi negativamente sullo strumento di soluzione della crisi, imponendo condizioni inaccettabili per alcune categorie di creditori. Questo implica che le classi dissenzienti superiori ricevano un trattamento migliore rispetto alle classi inferiori, ma ciò non vuol dire che le classi inferiori non possano ricevere alcuna considerazione.
Pur in presenza di concordato pacificamente in continuità aziendale (per come definito dall’art. 84, c. 2 CCI), non potrebbe pertanto mai applicarsi l’art. 112, c. 2, CCI, con una palese disparità di trattamento tra le ipotesi di continuità diretta (che possono avvalersi del cross class cram down) e continuità indiretta (che non potrebbero avvalersene).
“La proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta sia approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione, anche sul valore eccedente quello di liquidazione.”
Del resto, rilevava ancora la società, anche laddove si volesse ritenere che la finanza esterna sfugge alla Relative Priority Rule e che, quindi, possa essere distribuita liberamente, non rientrando ex lege nel concetto ai fini del computo dell’eccedenza di cui all’art. 84 c. 6 CCI, da un lato ciò non escluderebbe che se ne possa tenere conto ai soli fini del concetto di “eccedenza” di valore di cui all’art. 112, c. 2, CCI, per determinare se una classe è stata in concreto “maltrattata”; e, dall’altro, nulla vieterebbe al ricorrente di vincolare in via convenzionale anche tale apporto al rispetto della medesima regola per potersi avvantaggiare, se del caso, dell’omologazione forzosa ai sensi del citato art. 112, c. 2 CCI.
E tutto questo senza considerare che, stante l’apporto di finanza da parte di soggetto terzo, la soluzione concordataria sarebbe in ogni caso più vantaggiosa rispetto alla liquidazione giudiziale.
Presupposti del cross class cram down: la pronuncia del Tribunale
Tanto premesso, il Tribunale richiama l’art. 11 della direttiva UE n. 1023 del 20/6/2019, di cui l’art. 112 co. 2 CCI costituisce attuazione, che prevede che:
“Gli Stati membri provvedono affinché il piano di ristrutturazione che non è approvato da tutte le parti interessate di cui all’articolo 9, paragrafo 6, in ciascuna classe di voto, possa essere omologato dall’autorità giudiziaria o amministrativa, su proposta del debitore o con l’accordo del debitore, e possa diventare vincolante per le classi di voto dissenzienti se esso soddisfa almeno le condizioni seguenti:
- i) è stato approvato dalla maggioranza delle classi di voto di parti interessate, purché almeno una di esse sia una classe di creditori garantiti o abbia rango superiore alla classe dei creditori non garantiti;
- ii) oppure, in mancanza, da almeno una delle classi di voto di parti interessate o, se previsto dal diritto nazionale, di parti che subiscono un pregiudizio, diversa da una classe di detentori di strumenti di capitale o altra classe che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, non riceverebbe alcun pagamento né manterrebbe alcun interesse o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che non riceva alcun pagamento né mantenga alcun interesse se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale”.
Sulla base di tale disposto normativo, secondo il Tribunale, le due ipotesi contrassegnate dalla numerazione i) e ii) sono tra loro alternative, dovendosi pertanto ritenere che per l’omologazione del concordato sia sufficiente l’approvazione anche solo di una classe (da individuarsi secondo quanto previsto dalla seconda parte dell’art. 112 co. 2 lett. d) CCI), non risultando tale risultato in contrasto con il dato letterale della norma.
Considerato quindi che la ristrutturazione trasversale dei debiti regolata dall’art. 112 CCI concerne le ipotesi di continuità sia diretta che indiretta, non essendo desumibile dal testo né dal sistema normativo nel suo complesso una preclusione circa l’applicazione a entrambe della regola contenuta nella stessa normativa, e ritenuto che la approvazione del concordato ai sensi dell’art. 112 co. 2 CCI (con l’assenso non da parte della maggioranza dei creditori) trova spiegazione nell’intento del legislatore unionale e nazionale di favorire le soluzioni di ristrutturazione dei debiti che prevedano la continuazione diretta o indiretta dell’attività di impresa, il Tribunale ritiene che è per tali motivi prevista la omologazione del concordato ove esso abbia ottenuto l’approvazione di una classe di creditori interessata e cioè almeno di quella che, in caso di omologazione del concordato (senza quindi alcuna comparazione con l’ipotesi della liquidazione giudiziale, a cui non fa cenno né la norma nazionale né quella unionale), percepirebbe meno di quanto otterrebbe nell’ipotesi della distribuzione del valore nel rigoroso rispetto della graduazione anche sul surplus di continuità, il che può avvenire sia mediante l’attribuzione ai creditori dei flussi attivi (almeno in parte) derivanti dalla continuità diretta e sia nella continuità indiretta dalla attribuzione ad essi anche dei flussi attivi derivanti, ad esempio, dall’incasso dei canoni di affitto dell’azienda di titolarità del soggetto proponente il concordato.
Ove però non vi sia un surplus concordatario da distribuire non vi è ragione per derogare alle “ordinarie” regole di approvazione fissate dall’art. 109 CCI, non verificandosi alcuna disparità di trattamento tra le ipotesi di continuità diretta (che possono avvalersi del cross class cram down) e continuità indiretta (che non possono avvalersene), poiché, in tal caso, le vicende economiche dell’impresa cessionaria dell’azienda che prosegue la propria attività sono del tutto indifferenti rispetto alle prospettive di soddisfacimento dei creditori della classe “svantaggiata” o “maltrattata”, dovendo quindi tornare ad operare la regola di maggioranza.
Tanto premesso in linea generale, nella fattispecie in esame, l’apporto andava qualificato come finanza esterna (da intendersi come apporto di risorse in favore del debitore da parte di un soggetto terzo nei confronti del quale i creditori non vantano alcun diritto, senza obblighi restitutori e, come tale, liberamente distribuibile tra i creditori senza vincolo di rispetto né della Absolute Priority Rule, né della Relative Priority Rule) e non come valore eccedente quello di liquidazione (definito quale misura in cui la prosecuzione dell’attività imprenditoriale generi risorse aggiuntive rispetto al valore di liquidazione dei beni: v. in tal senso Cass. 26-5-2022 n. 17155 e Trib. Massa 16-1-2024).
Sia nella proposta concordataria che nella attestazione del professionista si faceva del resto sempre riferimento alla “nuova finanza esterna”, non essendo menzionato alcun tipo di collegamento tra lo svolgimento dell’attività imprenditoriale della società cessionaria dell’azienda (e, quindi, in ordine all’andamento dei flussi attesi) e la messa a disposizione della somma la cui erogazione era stata unicamente condizionata alla omologazione del concordato. Né era stato allegato un business plan che illustrasse i possibili risultati economici della gestione imprenditoriale dell’azienda ceduta in vista del promesso adempimento di quanto da versarsi in favore dei creditori.
Non essendovi quindi plusvalore da continuità da distribuire, non poteva neppure operare la regola di cui all’art. 112, co. 2, lett. d), CCI.
Il concordato pertanto non poteva essere omologato.
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