Perché i giovani partono e il calo delle nascite è inarrestabile? Dare una sola risposta è impossibile, ma di sicuro hanno un peso la scarsa occupazione giovanile e femminile, l'inefficacia dei bonus, gli stipendi bassi

Tra ieri e oggi, 1° aprile, l’ISTAT ha scattato una fotografia di un paese destinato a invecchiare e a rallentare: il calo delle nascite, che si sono fermate a 370.000 nel 2024, è inarrestabile e supera il record minimo del 1995.
Nel frattempo anche i giovani se ne vanno, come ha sottolineato alla Camera il presidente dell’Istituto Francesco Maria Chelli: negli ultimi dieci anni oltre un milione di cittadini e cittadine ha lasciato l’Italia e un terzo ha un’età compresa tra i 25 e i 34 anni. Nello stesso periodo, considerando ritorni e partenze, abbiamo lasciato andare oltre 87.000 laureati e laureate.
I dati riportano alla mente altre cifre eloquenti: i primati italiani per scarsa occupazione femminile e giovanile, gli stipendi che non crescono, un rischio sempre più alto di povertà ed esclusione sociale.
E il messaggio è chiaro: tra un bonus che nasce e uno che muore, le politiche messe in campo negli ultimi anni sono inefficaci.
Tra un bonus che nasce e uno che muore i giovani partono e il calo delle nascite è da record
C’è da dire che nei discorsi programmatici del Governo e, in particolare, del Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti la necessità di incentivare la natalità rientra sempre tra le priorità.
A questo obiettivo anche la Legge di Bilancio 2025 ha dedicato un pacchetto di misure per la famiglia:
- è nato un bonus bebè di 1.000 euro per ogni figlia o figlio nato o adottato da gennaio 2025 per famiglie con ISEE fino a 40.000 euro, che resta però ancora inaccessibile;
- sono stati rafforzati i congedi parentali e il bonus asilo nido;
- è stato riscritto l’esonero per le lavoratrici madri proposto in via sperimentale nel 2024, su cui ancora si attendono istruzioni e destinato a chi ha già figli o figlie;
- sono state introdotte o confermate una serie di misure finalizzate a tutelare i nuclei familiari più numerosi.
Ma anche quest’anno la ricetta, scelta per contrastare il calo delle nascite, sembra dimenticare del tutto lo stretto legame che esiste tra calo demografico e prospettive future deboli, soprattutto per i più giovani e per le donne.
Qualche esempio? Mentre il Portogallo dal 2025 ha ridotto all’osso le imposte per gli under 35, la Manovra italiana ha dimenticato del tutto la questione giovanile.
E anzi, anche le agevolazioni già previste hanno subito battute d’arresto o rallentamenti. Solo per qualche esempio, dal 2025 è ufficialmente in pensione il bonus prima casa under 36 che permetteva di ottenere una esenzione sulle imposte dovute per l’acquisto.
E ancora, il bonus per l’assunzione dei giovani, introdotto a maggio 2024 dal DL Coesione, si è rivelato una promessa non mantenuta e rimane ancora in stand by.
Il decreto attuativo che avrebbe dovuto rendere operativa l’agevolazione è stato pubblicato e poi ritirato perché restringeva il campo di applicazione dell’esonero di 5 mesi rispetto a quanto previsto dalla norma.
Quello destinato all’assunzione delle donne, invece, resta totalmente bloccato: il provvedimento non è mai stato firmato.
Perché i giovani partono e non fanno più figli? La risposta è (anche) nei dati sul lavoro femminile e sugli stipendi
E mentre si mettono in cantiere piccoli bonus e agevolazioni fantasma, i freni alla natalità agiscono in maniera sempre più profonda:
- il Governo festeggia da mesi un’occupazione femminile da record, ma l’Italia resta l’ultima in Europa per la partecipazione al lavoro delle donne (EIGE 2024);
- e anche quando le donne partecipano restano, insieme ai giovani, l’anello debole del mercato del lavoro. Lo confermano gli ultimi dati INPS pubblicati a febbraio 2025:
- firmano contratti meno stabili: il 18 per cento delle assunzioni di donne sono a tempo indeterminato a fronte del 22,6 per cento degli uomini;
- possono contare su stipendi più bassi in media di oltre 20 punti percentuali rispetto agli uomini;
- hanno carriere fatte di rallentamenti e battute d’arresto: appena il 21,1 per cento dei dirigenti è donna;
- la cosiddetta child penalty, lo svantaggio che deriva dalla maternità, sulle retribuzioni ha un valore di circa 3.000 euro all’anno nel confronto con le donne senza figli o figlie ed è pari a 8.900 euro circa nel confronto con i padri (INPS 2024);
- secondo gli ultimi dati ISTAT sulle condizioni di vita e reddito delle famiglie, il rischio di essere un lavoratore a basso reddito è decisamente più alto per i più giovani: 29,5 per cento per i lavoratori con meno di 35 anni contro un valore minimo pari al 17,7 per cento per quelli nella classe 55-64;
- a fine marzo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha pubblicato il Rapporto mondiale sui salari: dal 2008 ad oggi, tra i paesi a economia avanzata del G20, l’Italia ha subito le perdite maggiori in termini assoluti di potere d’acquisto dei salari. In altre parole, costo della vita e stipendi hanno viaggiato a velocità diverse, allontanandosi sempre di più.
Le cifre danno un messaggio chiaro: non è il sintomo che bisogna curare, a fare la differenza non può essere un contributo di 1.000 euro per le spese da sostenere quando nasce un figlio.
In questo andirivieni di bonus, però, la necessità più forte non sembra essere all’ordine del giorno: bisogna guardare alla fragilità del Lavoro, rilevante per tutti e per tutte a prescindere dal genere e dall’età, per contrastare partenze e denatalità.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Tra un bonus che nasce e uno che muore, i giovani partono e la denatalità è da record