Le lavoratrici madri, rispetto alle donne senza figli, hanno contratti più stabili e con una retribuzione più alta, nonostante la maternità determini un calo di reddito del 16 per cento: i dati INPS ci suggeriscono esigenze che vanno ben oltre il bonus mamme
Diventare padre accelera la carriera, diventare madre rallenta, complica, frena la presenza nel mondo del lavoro. Lo dice la letteratura economica, lo conferma l’INPS nel ventritreesimo Rapporto pubblicato oggi, 24 settembre.
Ma c’è di più: nonostante la maternità determini un calo del reddito del 16 per cento nel primo anno di vita del bambino o della bambina, le lavoratrici madri sono le donne con contratti più stabili e con una retribuzione più alta.
Sono dati eloquenti per un paese come l’Italia chiamata a fare i conti con un costante calo delle nascite: se le madri sono le donne più forti sul mercato del lavoro, pur restando deboli nel confronto con gli uomini, c’è bisogno di andare oltre il bonus mamme, applicabile solo ai contratti a tempo indeterminato, e considerare anche e soprattutto chi i figli ancora non ce li ha.
Sul lavoro la maternità pesa, ma le lavoratrici con figli sono le più stabili
Partendo dai dati dell’assegno unico e degli archivi Uniemens, l’INPS ha analizzato un campioni di lavoratori e lavoratrici dai 18 ai 45 anni con o senza figli minorenni: l’analisi conferma consapevolezze radicate e fa emergere elementi da non sottovalutare.
Gli uomini, padri e non, guadagnano sempre più delle donne, madri e non. E nonostante le lavoratrici con figli abbiano una condizione lavorativa più stabile, una percentuale maggiore di contratti a tempo indeterminato, il divario retributivo tra i genitori è quello più ampio e tocca i 9.000 euro.
Com’è possibile? Dopo la nascita di un bambino o di una bambina, per le donne il tempo da dedicare alla cura cresce, mentre quello da dedicare al lavoro retribuito si riduce: l’impiego full time è maggiore per chi non è madre, mentre accade il contrario per gli uomini.
In linea generale “le retribuzioni femminili ritornano al livello a cui si assestavano prima della maternità solo dopo 5 anni dalla nascita del figlio”, si legge nel rapporto INPS.
Cosa ci dicono i dati INPS su maternità e lavoro? Per favorire la natalità bisogna partire da chi non ha figli
Ma è lo stesso documento a sottolineare un’altra ipotesi in campo: la fuoriuscita dal mondo del lavoro.
“Con la maternità tendono a restare occupate prevalentemente le donne che hanno un contratto a tempo indeterminato, mentre coloro che hanno contatti a tempo determinato escono dal mercato del lavoro”.
Suppone l’INPS guardando i dati del grafico riportato di seguito.
La maternità pesa non solo in termini retributivi, e ha un peso diverso in relazione alla stabilità lavorativa delle donne.
Alla luce di queste considerazioni, la distanza di 14 punti percentuali sui contratti a tempo indeterminato tra le lavoratrici con figli e quelle senza è uno dei dati che richiede maggiore attenzione: diventare madre espone le donne con una condizione lavorativa precaria a rischi economici e professionali maggiori.
E se il costante calo delle nascite impone una riflessione sugli strumenti da mettere in campo per contrastare la denatalità, la fragilità lavorativa delle donne senza figli è un aspetto che non si può non considerare e che indica una priorità di intervento ben diversa dal bonus mamme, che sostiene proprio chi ha un contratto a tempo indeterminato.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Sul lavoro la maternità pesa, ma le lavoratrici con figli sono le più stabili: cosa ci dicono i dati INPS?