In Italia le donne continuano ad avere contratti meno stabili, carriere più deboli, stipendi e pensioni con importi più bassi, nonostante raggiungano risultati scolastici migliori. Nella fotografia dei dati INPS presentati il 24 febbraio la parità di genere è molto lontana
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Per le donne studiare non serve, o meglio non basta: è questo il messaggio che arriva dai dati del Rendiconto di Genere, presentato oggi, 24 febbraio, dal Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’INPS.
Le ragazze tra i banchi di scuola sono più presenti e raggiungono risultati migliori, ma le donne partecipano molto meno al mercato del lavoro e anche quando partecipano hanno stipendi più bassi e contratti meno stabili.
Stipendi più bassi e contratti meno stabili: i dati INPS sulle lavoratrici
Lo scorso ottobre la premier Meloni tra i risultati raggiunti nei primi due anni di Governo festeggiava un record assoluto di occupazione femminile per l’Italia: nei dati riportati dall’INPS il tasso ha raggiunto il 52,5 per cento.
Il dato è positivo. Ma in realtà non c’è nulla da festeggiare, e non solo perché il divario con il tasso di occupazione maschile resta pari al 17,9 per cento.
Le donne nel mercato del lavoro “ci sono, ma sono concentrate nelle posizioni più basse, meno remunerate, meno sicure, nelle occupazioni femminili: oggi, proprio come nel passato. Contiamo nella forza lavoro molte più donne che venti anni fa. Ma la loro posizione relativa è rimasta la stessa”.
Le parole che Laura Balbo nel 1978 scriveva sulla rivista l’Inchiesta suonano ancora attuali dopo 50 anni.
Perché le donne hanno stipendi e pensioni più basse? La risposta nei dati INPS
Si diplomano e si laureano, ad eccezione delle discipline STEM, più ragazze che ragazzi, ma il vantaggio che si accumula tra i banchi di scuola si traduce in uno divario occupazionale, retributivo e pensionistico.
Com’è possibile?
Semplificando e sintetizzando in maniera estrema, una risposta c’è: le donne continuano a farsi carico della maggior parte del lavoro di cura all’interno delle famiglie, in linea con un modello di società che divide nettamente i ruoli in base al genere e chiede alle famiglie stesse di agire come ammortizzatori sociali.
Non è un caso che l’unico dato INPS in cui i divari di genere si ribaltano totalmente è quello relativo all’utilizzo dei congedi parentali: le giornate utilizzate dalle donne nel 2023 sono state 14,4 milioni, contro appena 2,1 milioni degli uomini.
Ed è proprio dalla necessità di fare fronte ai carichi familiari in un sistema carente di servizi di cura, soprattutto nel Mezzogiorno, che nasce quell’effetto domino che porta le donne a essere l’anello debole del mercato del lavoro:
- a firmare contratti meno stabili: il 18 per cento delle assunzioni di donne sono a tempo indeterminato a fronte del 22,6 per cento degli uomini e le lavoratrici con un contratto a tempo parziale rappresentano il 64,4 per cento del totale;
- a guadagnare stipendi inferiori di oltre 20 punti percentuali rispetto agli uomini, una differenza che arriva al 32,1 per cento nelle attività finanziarie, assicurative e servizi alle imprese;
- ad avere carriere fatte di rallentamenti e battute d’arresto: appena il 21,1 per cento dei dirigenti è donna.
E a nulla o poco serve studiare e impegnarsi, anche più degli uomini. Dai banchi di scuola in poi il percorso è tutto in salita con conseguenze che a lungo termine hanno effetti esponenziali: se il divario retributivo tocca il 20 per cento, quello pensionistico supera il 44 per cento confermando ancora una volta una disparità di genere che, per ora, è senza via d’uscita.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Studiare non basta, le donne hanno stipendi e pensioni più basse: i dati INPS