Particolarmente interessanti le due recenti pronunce della Corte di Cassazione (ordinanze nn. 4636 e 4650) in materia di accertamenti parziali, che ci consentono di fare il punto su una questione che continua a presentare aspetti di rilievo e tesi contrastanti
Una società, dopo avere aderito, ai sensi dell’art. 5-bis, del D.lgs. n. 218/1997 (allora vigente), a un processo verbale di constatazione, ha ricevuto successivamente un avviso di accertamento, con il quale veniva accertato, sempre per l’anno 2006, un maggior reddito, con conseguente maggior imposta e sanzioni.
Il gravame è stato respinto sia in primo che in secondo grado.
Da qui il ricorso di parte in Cassazione.
Osservano gli Ermellini che:
“l’avviso di accertamento parziale ex artt. 41-bis, d.P.R. n. 600 del 1973, e 54, comma 5, d.P.R. n. 633 del 1972, non impedisce all’Ufficio di procedere ad un ulteriore accertamento, per il medesimo periodo di imposta, nei termini di decadenza previsti dalla legge, purché questo sia fondato su fonti diverse da quelle poste a base del primo o comunque su dati la cui conoscenza, da parte dell’ente impositore, sia ad esso sopravvenuta, non già in applicazione degli artt. 43, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973, e 57, comma 4, d.P.R. n. 633 del 1972, in tema di accertamento integrativo, stante la non sovrapponibilità dei due istituti, ma in applicazione del generale principio della tendenziale unicità degli accertamenti, di cui gli strumenti previsti da queste due disposizioni costituiscono deroga, altrimenti pregiudicandosi il diritto del contribuente ad una difesa unitaria e complessiva che tale principio garantisce”
Su questo si vedano Cass. 04/12/2020, n. 27788; Cass., 01/10/2018, n. 23685, alla cui stregua
“l’accertamento parziale di cui all’art. 41-bis, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 può essere integrato da un successivo accertamento, senza che sia necessario che vengano indicati gli elementi sopraggiunti, come prescritto per l’accertamento integrativo dall’art. 43 del medesimo d.P.R., che risponde a diverse finalità, sebbene il successivo atto non possa fondarsi su fatti già emersi e non contestati: peraltro, il mancato rispetto delle indicate prescrizioni può determinare l’illegittimità solo del secondo e non anche del primo accertamento effettuato”
Nella motivazione della citata Cass., 04/12/2020, n. 27788, si legge che
“l’accertamento integrativo, susseguente a quello parziale, non può basarsi su atti o fatti acquisiti e già conosciuti dall’ente impositore fin dall’origine ma non contestati, in quanto ciò pregiudicherebbe il diritto del contribuente ad una difesa unitaria e complessiva, a cui presidio si pone il predetto principio generale [di unicità degli accertamenti, n.d.r.], ma deve necessariamente fondarsi su nuovi elementi atti a giustificarlo, non essendo ammissibile un accertamento a singhiozzo, senza che di essi debba darsi indicazione in modo specifico a pena di nullità, come invece sancito dall’art. 43 del citato d.P.R.”
Ancora di recente, è stato affermato che
“in tema di accertamento con adesione di cui al d.lgs. n. 218 del 1997, è lesiva del principio di collaborazione e buona fede la condotta dell’Ufficio che, dopo aver emesso, in base alla proposta accettata dal contribuente, gli atti di accertamento con adesione per alcune annualità di imposta, proceda, repentinamente, senza motivazione e nonostante il tempestivo e regolare adempimento degli atti già emanati, all’emissione per le restanti annualità, pure oggetto della proposta, di avviso di accertamento per l’originaria pretesa, sicché, in relazione al legittimo affidamento sulla regolare definizione della procedura di accertamento con adesione, è inesigibile la maggiore pretesa costituita dalla differenza tra gli importi concordati e quelli richiesti” (Cass., 11/05/2021, n. 12372)
Nel caso di specie, l’accertamento parziale è stato definito con l’adesione del contribuente; se è vero che, ai sensi dell’art. 2, comma 4, lett. b), d.lgs. n. 218/1997,
“la definizione non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice entro i termini previsti dall’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, relativo all’accertamento delle imposte sui redditi (…) se la definizione riguarda accertamenti parziali”, è pur vero – per la Corte - che tale possibilità non è indiscriminata, tanto più ove si appunti su elementi già considerati nell’originario “accordo”.
Osservano i massimi giudici che la sentenza impugnata fa discendere, invece la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato, sic et simpliciter, dalla circostanza - per così dire, estrinseca - della natura parziale del PVC oggetto della precedente adesione, senza compiere alcuna valutazione in ordine al relativo contenuto, onde verificare, dall’angolo visuale del principio di buona fede e collaborazione nei rapporti tra Amministrazione e contribuente, come efficacemente compendiato nella motivazione della citata Cass., 11/05/2021, n. 12372, che ne ribadisce la natura non
“ancorata a schemi precostituiti ed al modello formale della validità/invalidità dell’atto”, e richiedente, invece, “una declinatoria in concreto in relazione alla diversità delle fattispecie e delle situazioni”….), se sullo stesso si fosse ingenerato un legittimo affidamento del contribuente, successivamente frustrato sulla scorta di una mera rivalutazione dei medesimi aspetti”
Ne consegue, per la Corte, la cassazione della pronuncia oggetto del ricorso, con rinvio al giudice di merito in diversa composizione, affinché compia una nuova valutazione della legittimità dell’avviso impugnato, sulla scorta dei rilievi di cui sopra.
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L’ordinanza della Cassazione numero 4650 del 14 febbraio 2023
Una società ha impugnato un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2008, con il quale – a seguito di PVC - veniva recuperata maggiore IRAP.
I giudici di prime cure hanno accolto il ricorso e il giudice del riesame ha rigettato l’appello dell’Ufficio.
Ha ritenuto il giudice di appello che l’atto impositivo fosse nullo, avendo l’Ufficio già proceduto con un precedente avviso di accertamento al recupero dell’IRAP per il medesimo periodo di imposta, senza addurre nuovi e ulteriori elementi di fatto (sopraggiunti al precedente avviso) ai fini della «integrazione dell’accertamento originario».
Invero, per la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado il nuovo atto impositivo era fondato su una «semplice riconsiderazione» degli stessi elementi di fatto posti a fondamento dell’atto impositivo preesistente.
Ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio, contestando, per quel che ci interessa in questa sede, la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’Ufficio non potesse far seguito a un nuovo avviso di accertamento per il medesimo periodo di imposta sulla base dei medesimi elementi posti a fondamento di un precedente atto impositivo, relativo al medesimo periodo di imposta.
Per la Corte è infondato il motivo nella parte in cui deduce che un avviso di accertamento parziale, ove seguito da un ulteriore avviso di accertamento parziale, possa essere emesso anche sulla base del medesimo corredo documentale e fattuale senza incorrere nel divieto di doppia imposizione.
Per gli Ermellini
“l’avviso di accertamento parziale non esonera l’Ufficio, che intenda procedere con un nuovo avviso di accertamento per il medesimo periodo di imposta, dall’addurre nuovi fatti, dovendo il nuovo accertamento fondarsi su fonti diverse da quelle poste a base del primo o comunque su dati la cui conoscenza, da parte dell’ente impositore, sia ad esso sopravvenuta, in applicazione del generale principio della tendenziale unicità degli accertamenti, di cui gli strumenti previsti da queste due disposizioni costituiscono deroga, altrimenti pregiudicandosi il diritto del contribuente ad una difesa unitaria e complessiva che tale principio garantisce (Cass., Sez. V, 4 dicembre 2020, n. 27788; Cass., Sez. V, 1° ottobre 2018, n. 23685)”
Deve, pertanto, darsi continuità al principio affermato da questa Corte, secondo cui
«l’accertamento integrativo, susseguente a quello parziale, non può basarsi su atti o fatti acquisiti e già conosciuti dall’ente impositore fin dall’origine ma non contestati, in quanto ciò pregiudicherebbe il diritto del contribuente ad una difesa unitaria e complessiva, a cui presidio si pone il predetto principio generale, ma deve necessariamente fondarsi su nuovi elementi atti a giustificarlo, non essendo ammissibile un accertamento a singhiozzo, senza che di essi debba darsi indicazione in modo specifico a pena di nullità, come invece sancito dall’art. 43 del citato d.P.R. (cfr. Cass., Sez. 5, 1/10/2018, n. 23685)» (Cass., n. 27788/2020; conf. Cass., Sez. V, 13 ottobre 2011, nn. 21070 - 21073; Cass., Sez. V, 28 gennaio 2010, n. 1817).
Principio di cui - per la Corte - la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione, osservando che:
“l’integrazione dell’accertamento originario, presupposto a quello successivo a base dell’odierno contenzioso sarebbe stato possibile solo nell’ipotesi di nuove segnalazioni”
Brevi note contrarie
L’accertamento parziale non costituisce un metodo di accertamento che deroga alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del citato D.P.R. n. 600/1973, ai fini reddituali, e artt. 54 e 55 del D.P.R. numero 633/72, ai fini IVA, quanto piuttosto una modalità procedurale cui si applicano le stesse regole previste per gli accertamenti ordinari (acquiescenza, definizione delle sole sanzioni, autotutela, accertamento con adesione, mediazione, impugnazione dell’avviso, conciliazione giudiziale, iscrizione a ruolo).
La peculiarità dell’accertamento parziale consiste proprio nel procedere, con immediatezza, all’accertamento quando siano pervenuti elementi che consentono di determinare autonome irregolarità tributarie, con una modalità di notifica semplificata, atteso che basta il semplice invio di una raccomandata con avviso di ricevimento (la notifica si da per avvenuta alla data indicata in detto avviso di ritorno, sottoscritto dal destinatario ovvero da persona di famiglia o addetto alla casa).
Pertanto, lo strumento è stato utilizzato anche per gli elementi fiscalmente rilevanti evidenziati nei p.v.c. conseguenti a verifiche generali della Guardia di Finanza, facendo salva, naturalmente, la possibilità e l’opportunità di ricorrere agli ordinari strumenti di accertamento generale nei casi in cui risulti evidente la necessità per l’ufficio di svolgere un’ulteriore, autonoma, attività istruttoria.
Se l’ufficio utilizza l’accertamento parziale, non ha la necessità della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, per notificare ulteriori atti, non essendo soggetti ai limiti di cui all’art.43, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, ai fini delle imposte sui redditi, e art. 57, comma 3, del D.P.R. n. 633/72, ai fini dell’IVA.
Infatti, l’ampiezza della attuale formulazione normativa, in genere, fa venir meno le problematiche legate all’accertamento integrativo e/o modificativo, al di là di quanto espressamente previsto in ordine alla possibilità di riemissione di un nuovo avviso di accertamento a seguito dell’ampliamento della conoscenza sulla situazione di fatto, attraverso elementi - nuovi e sopravvenuti - che se conosciuti prima, avrebbero portato ad una diversa valutazione reddituale.
A nostro avviso, la problematica degli accertamenti integrativi è strutturalmente legata ad un precedente accertamento ordinario, a carattere generale; diversamente, se si è in presenza di un accertamento parziale non sussiste la necessità di valutare la sopravvenuta conoscenza dei nuovi elementi, fermo restando che il problema investe la qualificazione del secondo accertamento, e non del primo, che comunque, al di là del nome iuris, rimane pienamente legittimo.
Principio quest’ultimo confermato in sede giurisprudenziale.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Accertamenti parziali al test della Cassazione