Irap

IRAP è l’acronimo di imposta regionale sulle attività produttive, un’imposta introdotta in Italia nell’ambito della cosiddetta riforma Visco.

La riforma che ha introdotto l’IRAP nell’ordinamento tributario italiano trae origine dalla delega al Governo contenuta nella Legge 662/1996. Con tale delega, il Governo avrebbe potuto apportare (come poi ha effettivamente fatto) diverse modifiche alla normativa IRAP attraverso l’emanazione di uno o più decreti legislativi.

L’IRAP rappresenta ancora oggi la più importante imposta a disposizione delle autonomie locali e garantisce un gettito fiscale pari a circa 30 miliardi di euro ovvero un terzo del bilancio delle Regioni italiane.

Queste risorse vengono impiegate prevalentemente per il finanziamento della spesa sanitaria; di conseguenza, qualsiasi dibattito in materia di modifica o abolizione dell’IRAP deve obbligatoriamente partire da qui, evidenziando come eventualmente reperire le risorse finanziarie necessarie al finanziamento di questa fondamentale voce di spesa del bilancio pubblico regionale.

IRAP: riferimento normativo e presupposto dell’imposta

Il riferimento normativo fondamentale in materia di IRAP è il Decreto Legislativo numero 446/1997.

Il presupposto dell’imposta è definito dall’articolo 2 del decreto IRAP ovvero:

l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. L’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta

Gli elementi fondamentali per comprendere quale sia il presupposto dell’imposta nel caso dell’IRAP sono tre:

  • esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata (come vedremo nei successivi approfondimenti proprio quest’aspetto ha generato parecchi dubbi in dottrina ed una serie di orientamenti giurisprudenziali contrastanti);
  • attività di produzione e scambio di beni e servizi;
  • attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, che costituisce a prescindere presupposto valido ai fini IRAP.

Le origini storiche dell’IRAP

L’IRAP è stata introdotta nell’ambito della riforma Visco del 1997 ed ha soppresso una serie di imposte, tasse e contributi vigenti sino al 31 dicembre 1997:

  • il contributo per il servizio sanitario nazionale (ivi compresa la tanto discussa “tassa sulla salute”);
  • l’imposta locale sui redditi (ILOR);
  • l’imposta comunale per l’esercizio di imprese, arti e professioni (ICIAP);
  • la tassa di concessione governativa per l’attribuzione del numero di partita iva.

Alcuni autori, riprendendo quanto contenuto nella relazione di accompagnamento governativa (REL) al D.lgs. 446/1997, includono nell’elencazione delle imposte soppresse e sostituite dall’IRAP anche l’imposta sul patrimonio netto delle imprese.

Tuttavia, tale affermazione appare erronea poiché “tale imposta – introdotta con il D.L. 394/92 – aveva una efficacia temporale limitata, interessando i periodi di imposta dal 1992 al 1994. Il D.L. 564/94 aveva prorogato l’applicabilità al 30 settembre 1995. La Legge 549/95 aveva, infine, ulteriormente prorogato l’imposta sino al periodo d’imposta in corso alla data del 30 settembre 1997” (si veda a questo proposito Procopio M. in “L’oggetto dell’IRAP” del 2009).

Di conseguenza, nel caso dell’imposta sul patrimonio netto delle imprese è più corretto parlare di termine della relativa proroga, piuttosto che di abolizione o sostituzione da parte dell’IRAP.

Proprio questa circostanza ha portato parte della dottrina a parlare dell’IRAP come di un “fenomeno tributario sostitutivo”. In questo senso la ratio dell’introduzione del tributo sarebbe prevalentemente sostitutiva, andando a sostituire alcune imposte, tasse e contributi di diversa natura, provando a concretizzare la forte esigenza di semplificazione del sistema fiscale già avvertita all’epoca.
Tuttavia, questa impostazione ha determinato diverse discussioni di carattere interpretativo, causate soprattutto dalla discontinuità tra l’IRAP ed i vari balzelli fiscali che questa ha sostituito.
Parte della dottrina ha contestato questo inquadramento concettuale dell’IRAP, sottolineando come nell’introduzione dell’imposta regionale sulle attività produttive il legislatore si sia mosso avendo come finalità primaria l’invarianza del gettito fiscale piuttosto che la semplificazione complessiva del sistema.

Alla luce della relazione di accompagnamento (REL) al decreto legislativo 446/1997 la ratio normativa dell’introduzione dell’IRAP e contestuale soppressione delle imposte, tasse e contributi precedentemente vigenti è complessa e riguarda anche l’assetto del sistema imprenditoriale italiano:

  • dotare le Regioni e gli enti locali dell’autonomia finanziaria necessaria per lo svolgimento di un’autonoma e responsabile politica di bilancio, presupposto di una evoluzione in senso federalista dell’assetto istituzionale dello Stato;
  • semplificazione del sistema tributario e contributivo;
  • revisione della tassazione sulle imprese;
  • maggiore neutralità al regime del sistema di prelievo in ordine alla scelta dei fattori produttivi da impiegare nei processi produttivi;
  • diminuzione del costo del lavoro per il complesso dell’economia;
  • riduzione delle imposte dirette gravanti sugli utili e sul patrimonio netto delle imprese;
  • diminuzione del vantaggio fiscale all’indebitamento e, di conseguenza, maggiore neutralità del sistema tributario in ordine alla scelta dei mezzi di finanziamento per le imprese.

Il meccanismo impositivo dell’IRAP

L’IRAP colpisce quindi l’attività di produzione e scambio di beni e servizi.

Il meccanismo impositivo è innovativo rispetto alle precedenti imposte sull’attività economica che hanno caratterizzato e caratterizzano il sistema tributario italiano.

L’IRAP, infatti, non colpisce le classiche grandezze economiche oggetto di imposizione fiscale ovvero reddito, patrimonio o consumo.

L’imposta regionale sulle attività produttive colpisce una grandezza economica molto particolare che prende il nome di “valore della produzione netta”. In questo senso ci troviamo di fronte ad un unicum nel panorama europeo con qualche similitudine individuabile solo nella Taxe professionelle francese e nella Gewerbesteuer tedesca.

Il valore della produzione netta preso in considerazione dal decreto IRAP coincide con la differenza tra Valore e Costi della Produzione (voci A e B dello schema obbligatorio di conto economico previsto dall’articolo 2425 del codice civile) al netto di spese per il personale, compensi per lavoro autonomo, svalutazioni delle immobilizzazioni, perdite sui crediti, quota interessi del canone di locazione finanziaria e perdite su crediti. Nella base imponibile possono rientrare voci che godono di detrazioni e deduzioni (con cui abbattere il valore della produzione netta e pagare di meno).

Qual è la ratio del legislatore nella scelta di individuare il valore della produzione netta come base imponibile ai fini IRAP?

A questo proposito la teoria di scienza delle finanze che sta alla base di questa scelta è la teoria del beneficio o del “partnership principle”.

Secondo questa impostazione teorica sul meccanismo impositivo dell’IRAP, il prelievo locale sulle imprese conferisce alle stesse la legittimazione economico-giuridica all’accesso alle prestazioni pubbliche.

In questo senso, le imprese traggono vantaggio dall’insieme dei servizi educativi, ricreazionali, sanitari, strutturali ed ambientali che vengono garantiti dagli enti locali ai cittadini.

In altre parole, la prevalente teoria economica sull’IRAP considera razionale la scelta di assoggettare ad imposta il valore della produzione netta delle imprese per effetto di una maggiore adattabilità di quest’ultima a compensare la Pubblica Amministrazione locale per i servizi erogati che hanno contribuito direttamente e/o indirettamente al processo produttivo.

Sempre l’articolo 2 del decreto IRAP afferma che

l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato costituisce a prescindere presupposto valido ai fini IRAP

Per la corretta valutazione di questo aspetto appare opportuno riferirsi a quanto affermato nella relazione sul federalismo fiscale della Commissione Gallo, artefice della riforma fiscale che ha introdotto l’IRAP.

Secondo la Commissione ministeriale presieduta da Franco Gallo, infatti, colpire l’attività produttiva significa riconoscere alla stessa una capacità contributiva, impersonale, di natura reale, assolutamente non connessa rispetto alla capacità personale dei singoli percettori di reddito.

Secondo questa concezione è possibile tassare anche unità produttive non direttamente rivolte al mercato, proprio come le amministrazioni pubbliche o gli enti non commerciali, che usufruiscono di servizi pubblici e generano costi per la collettività in quanto esercenti un’attività autonomamente organizzata e con autonoma capacità contributiva.

Parte autorevole della dottrina, facendo propria una concezione di tipo “dinamico” del presupposto dell’imposta come “fattispecie imponibile a formazione progressiva”, individua nel presupposto così come definito dall’articolo 2 del Decreto Irap, solo l’inizio della fattispecie imponibile, che si completerebbe successivamente con la fase della determinazione della base imponibile e con quella della liquidazione dell’imposta.

I soggetti passivi IRAP

L’IRAP è dovuta dai seguenti soggetti passivi:

  • le società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle equiparate (articolo 5 del Tuir), comprese le associazioni costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni;
  • le società e gli enti soggetti all’imposta sul reddito delle società (Ires) cioè le società per azioni e società in accomandita per azioni, Srl, società cooperative e di mutua assicurazione; i trust e gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali; le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato, per l’attività esercitata nel territorio delle regioni per un periodo di tempo non inferiore a tre mesi mediante stabile organizzazione (articolo 73, comma 1, lettere a) e b) del Tuir)
  • gli enti privati diversi dalle società e i trust, residenti nel territorio dello Stato che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali
  • gli enti non commerciali, compresi i trust, società semplici e associazioni equiparate, non residenti, che hanno esercitato nel territorio dello Stato, per un periodo non inferiore a tre mesi, attività rilevanti agli effetti dell’Irap mediante stabile organizzazione, oppure che hanno esercitato attività agricola nel territorio stesso
  • le Amministrazioni pubbliche.

Non sono soggetti passivi dell’imposta le persone fisiche nonché i soggetti che esercitano una attività agricola ai sensi dell’articolo 32 del TUIR, i soggetti di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227, nonché le cooperative e loro consorzi di cui all’articolo 10 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601. I soggetti che svolgono unicamente attività agricole per le quali è prevista l’esclusione dall’imposizione ai fini IRAP, sono comunque tenuti a presentare la dichiarazione IRAP se determinano il diritto camerale annuale in base al “fatturato”.

I soggetti non residenti sono tenuti alla dichiarazione Irap se esercitano in Italia attività commerciali, artistiche o professionali, per un periodo di almeno tre mesi, mediante stabile organizzazione o base fissa, oppure nel caso di esercizio in Italia di attività agricole.

I soggetti passivi IRAP sono stati riformati dalla Legge numero 234/2021, la Legge di Bilancio 2022, che ha previsto l’esclusione dalla soggettività passiva e quindi dal pagamento dell’imposta per le persone fisiche esercenti attività commerciali ed esercenti arti e professioni di cui alle lettere b) e c) del comma 1 dell’articolo 3 del medesimo decreto legislativo n. 446 del 1997.

Le difficoltà interpretative nella definizione di autonoma organizzazione

Una questione fondamentale in materia di IRAP è rappresentata dall’univoca individuazione del concetto di autonoma organizzazione previsto dall’articolo 2 del D.lgs. 446/1997.

A seguito della riforma apportata dalla Legge di Bilancio 2022 ai soggetti passivi IVA questo tema è venuto fortemente meno, non essendovi più l’obbligo di dichiarazione e pagamento per ditte individuali e professionisti.

Tuttavia, appare opportuno che lettrici e lettori di Informazione Fiscale abbiamo il seguente approfondimento per comprendere la questione dal punto di vista teorico e pratico, perché la questione rimane comunque aperta.

In effetti, la definizione di attività autonomamente organizzata al fine dello scambio di beni e servizi si presenta come residuale e non oggettiva.

Per comprendere le difficoltà interpretative – ed i contrastanti orientamenti giurisprudenziali che analizzeremo nel prosieguo – appare utile analizzare innanzitutto le modalità con le quali il legislatore tributario si sia mosso per la definizione delle attività da assoggettare ad imposizione fiscale nel caso delle imposte sui redditi (Irpef ed Ires) e nel caso dell’imposta sul valore aggiunto (IVA).

Partiamo dall’inquadramento civilistico dell’attività dell’imprenditore.

L’articolo 2082 del codice civile definisce l’imprenditore come colui che

esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e di servizi

Le definizioni fiscali dell’imprenditore previste dal d.p.r. 917/1986 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi – Tuir) e dal d.p.r. 633/1972 (decreto IVA), invece, prescindono dalla nozione di organizzazione, che per sua natura si presenta come residuale e non facilmente individuabile.

In particolare, l’articolo 55 del Tuir e l’articolo 4 del decreto IVA definiscono l’attività dell’imprenditore dal punto di vista fiscale.

Definizione di imprenditore ai sensi dell’articolo 55 del TUIR

L’articolo 55 del Tuir definisce l’esercizio di imprese commerciali come

l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’articolo 2195 del Codice civile, e delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell’articolo 32 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzati in forma di impresa.

Sono, inoltre, considerati redditi d’impresa:

a) i redditi derivanti dall’esercizio di attività organizzate in forma d’impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 c.c.;

b) i redditi derivanti dall’attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne;

c) i redditi dei terreni, per la parte derivante dall’esercizio delle attività agricole di cui all’articolo 32, pur se nei limiti ivi stabiliti, ove spettino alle società in nome collettivo e in accomandita semplice nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività di impresa.

3. Le disposizioni in materia di imposte sui redditi che fanno riferimento alle attività commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate nel presente articolo

La definizione di imprenditore ai sensi dell’articolo 4 del Decreto IVA

Ai sensi dell’articolo 4 del d.p.r. 633/1972 – decreto IVA - per esercizio di imprese si intende:

l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli articoli 2135 e 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma d’impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’articolo 2195 del codice civile

Inquadramento fiscale dell’imprenditore: la ratio ai fini dei Redditi e dell’IVA

Qual è la ratio in una scelta di questo tipo da parte del legislatore tributario?

I motivi che hanno determinato questa scelta risiedono nella volontà di legare il regime fiscale applicabile alle singole attività oggettivamente definite dagli articoli 2195 e 2135 del codice civile.

In questo modo si è evitato di collegare l’obbligatorietà di un determinato regime fiscale al concetto di organizzazione che, come si diceva prima, si presenta come residuale e non facilmente individuabile.

Di conseguenza, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA vengono considerati imprenditori tutti quei soggetti che il codice civile considera lavoratori autonomi per effetto dello svolgimento di una delle attività ricomprese nelle norme civilistiche sopra citate.

Nel caso della disciplina IRAP, invece, il legislatore tributario ha utilizzato un metodo assolutamente diverso.

In questo caso, infatti, il tributo non è stato collegato ad alcuna norma di sistema, o comunque proveniente da altri settori dell’ordinamento, ma è previsto l’assoggettamento al tributo di qualunque attività “autonomamente organizzata”.

Qui il riferimento esclusivo è all’organizzazione, senza nessuna ulteriore connessione rispetto all’inquadramento civilistico dell’imprenditore/professionista/lavoratore autonomo.

In questo senso, la prevalente dottrina e la giurisprudenza hanno sin da subito sottolineato come questa particolare concezione portasse:

  • tutte le attività di impresa, in quanto tali, ad essere soggette ad Irap. Ciò in quanto l’attività di impresa implica di per sé l’elemento organizzativo (ivi compreso il caso del piccolo imprenditore così come definito dall’articolo 2083 del codice civile);
  • le attività di lavoro autonomo, invece, potrebbero non essere organizzate per cui occorre verificarne la struttura per poter dire o meno se esse debbano essere assoggettate ad Irap.

La giurisprudenza di questi anni è stata coerente con questa interpretazione, escludendo l’Irap nei confronti di quei soggetti che, pur essendo fiscalmente considerati imprenditori ai fini Irpef e Iva, da un punto di vista sostanziale e civilistico erano lavoratori autonomi privi di autonoma organizzazione.

A questo proposito, molto interessante appare la recente sentenza della Corte di Cassazione numero 9451/2016 secondo la quale i requisiti necessari per la sussistenza dell’autonoma organizzazione nel presupposto dell’Irap sono tre:

  • il contribuente deve essere, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione dell’impresa;
  • il contribuente deve impiegare beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione;
  • il contribuente deve avvalersi in modo abituale e non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.

Sia dal punto di vista dottrinale che giurisprudenziale, occorre osservare come questa impostazione non può assolutamente essere applicata al caso dei piccoli imprenditori che, invece, sono soggetti ad Irap in quanto possiedono per natura il requisito dell’autonoma organizzazione, ancorché minimale e non prevalente.

Ricapitolando: i soggetti che svolgono attività di impresa così come previsto dal codice civile possiedono per natura il requisito dell’autonoma organizzazione. Per coloro che, invece, svolgono attività professionale il requisito dell’autonoma organizzazione doveva essere verificato caso per caso prima che la Legge 234/2021 (legge di bilancio 2022) li escludesse esplicitamente dai soggetti passivi IRAP.

Calcolo della base imponibile IRAP

La regola base sulla determinazione e sul calcolo della base imponibile ai fini IRAP è contenuta nell’articolo 4 del decreto legislativo 446/1997 ovvero:

1. L’imposta si applica sul valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata nel territorio della regione.

2. Se l’attività è esercitata nel territorio di più regioni si considera prodotto nel territorio di ciascuna regione il valore della produzione netta proporzionalmente corrispondente all’ammontare delle retribuzioni spettanti al personale a qualunque titolo utilizzato, compresi i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i compensi ai collaboratori coordinati e continuativi e gli utili agli associati in partecipazione di cui all’articolo 11, comma 1, lettera c), n. 5, addetto, con continuità, a stabilimenti, cantieri, uffici o basi fisse, operanti per un periodo di tempo non inferiore a tre mesi nel territorio di ciascuna regione, ovvero per le banche, gli altri enti e società finanziarie, ad eccezione della Banca d’Italia e dell’Ufficio italiano cambi, le imprese di assicurazione e le imprese agricole proporzionalmente corrispondente, rispettivamente, ai depositi in denaro e in titoli verso la clientela, agli impieghi o agli ordini eseguiti, ai premi raccolti presso gli uffici e all’estensione dei terreni, ubicati nel territorio di ciascuna regione.

Si considera prodotto nella regione nel cui territorio il soggetto passivo è domiciliato il valore della produzione netta derivante dalle attività esercitate nel territorio di altre regioni senza l’impiego, per almeno tre mesi, di personale

Le regole contabili e fiscali di determinazione della base imponibile ai fini IRAP, disciplinate dagli articoli 5 e seguenti del D.lgs. 446/1997, variano quindi a seconda dei soggetti passivi considerati ovvero:

  • società di capitali ed enti commerciali (articolo 5 decreto IRAP) per le quali la base imponibile è determinata dalla differenza tra il valore ed i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell’articolo 2425 del codice civile, con esclusione delle voci di cui ai numeri 9), 10), lettere c) e d), 12) e 13), così come risultanti dal conto economico dell’esercizio;
  • società di persone e imprese individuali (articolo 5 bis decreto IRAP; le ditte individuali non devono più versare l’IRAP dal 2022) per le quali la base imponibile IRAP è determinata dalla differenza tra l’ammontare dei ricavi di cui all’articolo 85, comma 1, lettere a), b), f) e g), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e delle variazioni delle rimanenze finali di cui agli articoli 92 e 93 del medesimo testo unico, e l’ammontare dei costi delle materie prime, sussidiarie e di consumo, delle merci, dei servizi, dell’ammortamento e dei canoni di locazione anche finanziaria dei beni strumentali materiali e immateriali. Non sono deducibili: le spese per il personale dipendente e assimilato; i costi, i compensi e gli utili indicati nel comma 1, lettera b), numeri da 2) a 5), dell’articolo 11 del presente decreto; la quota interessi dei canoni di locazione finanziaria, desunta dal contratto; le perdite su crediti; l’imposta comunale sugli immobili di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504. I contributi erogati in base a norma di legge concorrono comunque alla formazione del valore della produzione, fatta eccezione per quelli correlati a costi indeducibili. I componenti rilevanti si assumono secondo le regole di qualificazione, imputazione temporale e classificazione valevoli per la determinazione del reddito d’impresa ai fini dell’imposta personale;
  • banche ed altri enti finanziari (articolo 6 decreto IRAP) per le quali la base imponibile IRAP è determinata dalla somma algebrica delle seguenti voci del conto economico redatto in conformità agli schemi risultanti dai provvedimenti emessi ai sensi dell’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38:
  • margine d’intermediazione ridotto del 50 per cento dei dividendi;
  • ammortamenti dei beni materiali e immateriali ad uso funzionale per un importo pari al 90 per cento;
  • altre spese amministrative per un importo pari al 90 per cento.
  • società di intermediazione mobiliare e gli intermediari, diversi dalle banche, abilitati allo svolgimento dei servizi di investimento indicati nell’articolo 1 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF - D.lgs. 58/1998) per le quali la base imponibile IRAP si calcola come differenza tra la somma degli interessi attivi e proventi assimilati relativi alle operazioni di riporto e di pronti contro termine e le commissioni attive riferite ai servizi prestati dall’intermediario e la somma degli interessi passivi e oneri assimilati relativi alle operazioni di riporto e di pronti contro termine e le commissioni passive riferite ai servizi prestati dall’intermediario;
  • società di gestione dei fondi comuni di investimento, di cui al citato testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, per le quali la base imponibile IRAP si calcola come differenza tra le commissioni attive e passive;
  • società di investimento a capitale variabile, si assume la differenza tra le commissioni di sottoscrizione e le commissioni passive dovute a soggetti collocatori.
  • imprese di assicurazione (articolo 7 decreto IRAP) per le quali la base imponibile è determinata apportando alla somma dei risultati del conto tecnico dei rami danni (voce 29) e del conto tecnico dei rami vita (voce 80) del conto economico le seguenti variazioni:
  • gli ammortamenti dei beni strumentali, ovunque classificati, e le altre spese di amministrazione (voci 24 e 70), sono deducibili nella misura del 90 per cento;
  • i dividendi (voce 33) sono assunti nella misura del 50 per cento.

Dalla base imponibile IRAP delle imprese di assicurazione non sono comunque ammessi in deduzione: le spese per il personale dipendente e assimilato ovunque classificate nonché i costi, i compensi e gli utili indicati nel comma 1, lettera b), numeri da 2) a 5), dell’articolo 11; le svalutazioni, le perdite e le riprese di valore dei crediti; la quota interessi dei canoni di locazione finanziaria, desunta dal contratto. Gli interessi passivi concorrono alla formazione del valore della produzione nella misura del 96 per cento del loro ammontare.

  • società semplici e soggetti equiparati (articolo 8 decreto IRAP) per i quali la base imponibile IRAP è determinata dalla differenza tra l’ammontare dei compensi percepiti e l’ammontare dei costi sostenuti inerenti alla attività esercitata, compreso l’ammortamento dei beni materiali e immateriali, esclusi gli interessi passivi e le spese per il personale dipendente. I compensi, i costi e gli altri componenti si assumono così come rilevanti ai fini della dichiarazione dei redditi;
  • enti privati non commerciali per i quali la base imponibile è determinata in un importo pari all’ammontare delle retribuzioni spettanti al personale dipendente, dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui all’articolo 47 del TUIR, e dei compensi erogati per collaborazione coordinata e continuativa di cui agli articoli 49, comma 2, lettera a), nonché per attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente di cui all’articolo 81, comma 1, lettera l), del citato testo unico n. 917 del 1986. Sono in ogni caso escluse dalla base imponibile le remunerazioni dei sacerdoti e gli assegni ad esse equiparati di cui all’articolo 47, comma 1, lettera d), del predetto testo unico, nonché le somme di cui alla lettera c) dello stesso articolo 47 del medesimo testo unico esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche relative a borse di studio o assegni;
  • le amministrazioni pubbliche per le quali la base imponibile IRAP si calcola per un importo pari all’ammontare delle retribuzioni erogate al personale dipendente, dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui all’articolo 47 TUIR, e dei compensi erogati per collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 49, comma 2, lettera a), nonché per attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente di cui all’articolo 81, comma 1, lettera l), del citato testo unico. Sono escluse dalla base imponibile le somme di cui all’articolo 47, comma 1, lettera c), del medesimo testo unico esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche.
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