Cessione calciatori e plusvalenze

Con la sentenza numero 5068 del 2024, la Corte di Cassazione si è espressa nuovamente sulla cessione dei calciatori e sulle relative plusvalenze

Cessione calciatori e plusvalenze

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5068 del 2024, è tornata ad esprimersi in tema di cessione calciatori e plusvalenze.

Nel caso di specie, una società di calcio di Serie A aveva presentato all’Agenzia delle Entrate istanza diretta ad ottenere il rimborso dell’IRAP, ritenuta indebitamente corrisposta sulle componenti positive straordinarie derivanti dal trasferimento del diritto a contrarre con giocatori, per gli esercizi 1° luglio 2005/30 giugno 2006, 1° luglio 2006/30 giugno 2007 e 1° luglio 2007/30 giugno 2008.

Formatosi il silenzio-rifiuto da parte dell’Amministrazione finanziaria, la società contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, la quale lo rigettava, con sentenza poi confermata anche dalla Commissione Tributaria Regionale.

Cessione calciatori e plusvalenze: il caso di specie

Avverso tale ultima pronuncia la società proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, in particolare, che, nel caso di trasferimento di calciatori non si realizza una cessione di contratto, ex art. 1406 c.c., in quanto l’oggetto del trasferimento riguarda il diritto (che la società cessionaria riceve) ad ottenere dalla società cedente la risoluzione del precedente contratto (stipulato con il calciatore) ed il conseguente diritto della società acquirente a stipulare un nuovo contratto con l’atleta.

In questo senso, dunque, secondo l’impostazione della ricorrente, le somme pagate alla società titolare del contratto sportivo rappresentavano un corrispettivo per acconsentire all’anticipata cessazione del contratto, a cui seguiva poi un nuovo contratto d’ingaggio tra il calciatore e la nuova società, che nulla avrebbe a che vedere con il precedente rapporto.

Conseguentemente, sempre ad avviso della società ricorrente, non sussistendo un’ipotesi di trasferimento di un bene (costituito dal giocatore, o, meglio, dal diritto alla prestazione sportiva dello stesso), non poteva generarsi la plusvalenza rilevante ai fini della determinazione imponibile ai fini IRAP, trattandosi peraltro, comunque, di un provento straordinario, che non concorre ad integrare la base imponibile IRAP, data dal valore della produzione netta determinata (ex art. 5 d.lgs. n. 446/1997) dalla differenza tra il valore della produzione – costituito dai componenti attivi di cui alla voce A) dell’art. 2425 cod. civ. – ed i costi della produzione.

Sotto altro profilo la ricorrente deduceva inoltre che la Commissione Tributaria Regionale aveva erroneamente qualificato come imponibili ai fini IRAP i proventi positivi derivanti dalle negoziazioni di calciatori, benché gli stessi, non solo per la loro natura “straordinaria”, ma anche in quanto non dipendenti da trasferimento di beni, e comunque non connessi a beni qualificabili come strumentali, non potessero essere ricondotti nell’ambito della norma impositiva stabilita dall’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 446/1997 (di natura eccezionale, in quanto derogatoria alla regola di cui agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 446/1997), applicabile appunto unicamente alle plusvalenze relative a beni propriamente strumentali.

Secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato.

Evidenziano i giudici di legittimità che con la legge 23 marzo 1981, n. 91 è stato abolito il c.d. “vincolo sportivo”, che si configurava, per la società di calcio quale diritto esclusivo all’utilizzo dell’atleta, alienabile a terzi, distinto e separato rispetto al rapporto di lavoro formalizzato con l’ingaggio.

Con l’emanazione della legge 18 novembre 1996, n. 586, che ha recepito in Italia gli effetti della famosa sentenza Bosman (Corte di Giustizia UE, sent. 15 ottobre 1995, causa C-415/93), i club di appartenenza dei calciatori professionisti giunti alla scadenza del contratto non hanno peraltro avuto più diritto a percepire somme da parte della società calcistica che procedeva ad ingaggiare l’atleta.

Nel caso invece di cessioni di calciatori nel corso del rapporto (e quindi prima della scadenza del contratto), rileva la Cassazione, viene seguita la seguente procedura di trasferimento:

  • calciatore, società di provenienza e società di destinazione devono redigere per iscritto, a pena di nullità, un accordo di cessione di contratto, denominato “variazione di tesseramento per calciatori professionisti”;
  • società di provenienza e società di destinazione redigono e allegano un documento in bollo, nel quale evidenziano importo e modalità del prezzo di cessione dovuto dalla seconda alla prima;
  • società di destinazione e calciatore redigono, infine, un altro modulo federale, con il quale concordano la misura del compenso al calciatore, quello da questo dovuto al suo procuratore, la scadenza del rapporto contrattuale, ed altre clausole accessorie.

Si tratta pertanto, all’evidenza, conclude la Cassazione, di una operazione economica rientrante nello schema della cessione del contratto, in quanto la società di provenienza cede alla nuova società, con il consenso del giocatore, la propria posizione contrattuale (e, in particolare, il diritto alle prestazioni sportive dell’atleta), secondo lo schema tipico di cui all’art. 1406 cod. civ.

Né, secondo la Corte, appariva condivisibile la tesi della ricorrente secondo la quale oggetto della cessione era il diritto di risoluzione anticipata del contratto, essendo l’operazione di trasferimento di calciatori composta da atti tra loro distinti, e cioè, da un lato, l’accordo per la risoluzione del contratto tra la società di provenienza ed il calciatore, dall’altro, l’accordo tra le due società per il trasferimento dell’atleta, e, infine, l’accordo tra l’atleta e la nuova società.

In realtà, rileva la Cassazione, l’oggetto del contratto tra le società sportiva e l’atleta è dunque il (solo) diritto alla prestazione sportiva esclusiva, per la durata del contratto stesso, laddove, con la cessione del giocatore, la società cessionaria acquista, con il consenso dell’atleta ceduto, proprio il diritto oggetto del contratto e succede in tutti gli obblighi ed i diritti connessi, fermo restando che la società acquirente potrà, in base agli accordi con l’atleta, continuare il rapporto contrattuale alle medesime condizioni, ovvero regolarlo diversamente.

Cessione calciatori e plusvalenze: la pronuncia della Cassazione

Questa interpretazione, concludono i giudici, è peraltro confermata anche dal tenore letterale dell’art. 5 della L. n. 91/1981, che definisce proprio “cessione del contratto” il trasferimento di un atleta da una società ad un’altra.

In definitiva, oggetto della cessione è in questi casi il diritto all’utilizzo esclusivo della prestazione dell’atleta, che è senz’altro un bene da inquadrarsi tra i beni immateriali strumentali ammortizzabili ai sensi dell’art. 68, comma 2, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, suscettibili, come tali, di produrre plusvalenze o minusvalenze, rilevanti ai fini IRES ed IRAP, ai sensi degli artt. 56 del d.P.R. n. 917/1986 e 5, comma 1, e 11, comma 3, del d.lgs. n. 446/1997.

Il diritto all’utilizzo esclusivo delle prestazioni di un atleta, aggiunge la Cassazione, è del resto un bene dotato di una sua autonoma utilità economica, come tale suscettibile di negoziazione diretta tra società e qualificabile come bene immateriale strumentale (in senso analogo, Cass. 25 gennaio 2023, n. 2376; Cass. 12 gennaio 2023, n. 661; Cass. 25 gennaio 2019, n. 2144; Consiglio di Stato, parere n. 5285 del 2012).

La Suprema Corte afferma pertanto il seguente principio di diritto:

Il trasferimento di un atleta professionista da una società sportiva ad un’altra, laddove disposto dietro corrispettivo prima della scadenza naturale del rapporto contrattuale in corso, è riconducibile allo schema della cessione del contratto, nei termini previsti dall’art. 5, comma 2, della legge n. 91/1981; esso, pertanto, dal punto di vista fiscale rappresenta un’operazione assimilabile alla cessione di un bene immateriale, suscettibile di generare una plusvalenza e, dunque, rilevante ai fini IRAP”.

A prescindere dallo specifico caso processuale, la linea della giurisprudenza di legittimità sul tema sembra ormai consolidata.

Si ricorda a tal proposito che la stessa Corte, con l’Ordinanza n. 2376 del 25/01/2023, aveva evidenziato che la L. n. 91/1981, all’art. 3, qualifica la prestazione a titolo oneroso dell’atleta come oggetto di contratto di lavoro subordinato, regolandone di seguito il contenuto e, all’art. 5, secondo comma, consente che tale contratto sia ceduto a titolo oneroso, prima della sua scadenza, da una società sportiva ad un’altra, con il consenso dell’altra parte e nel rispetto delle previsioni stabilite dalle federazioni sportive nazionali.

In tale tessuto normativo si inserisce, poi, il già citato art. 11, comma 3, del Dlgs. n. 446/1997, a mente del quale “ai fini della determinazione della base imponibile di cui agli articoli 5, 6 e 7 concorrono […] in ogni caso, le plusvalenze e le minusvalenze relative a beni strumentali non derivanti da operazioni di trasferimento di azienda”.

Per una società di calcio, in sostanza, i calciatori rappresentano (contabilmente) delle immobilizzazioni immateriali, che manifestano i loro benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi, laddove la relativa plusvalenza è data dall’incremento di valore che il calciatore stesso ha realizzato nel corso del tempo, dal momento in cui è entrato a far parte della squadra al momento in cui viene ceduto, dovendosi prendere a tal fine in considerazione l’ammortamento annuo del calciatore già imputato in bilancio.

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