Con l'Ordinanza 7360 del 2024, la Corte di Cassazione si è recentemente espressa in tema di accertamento induttivo puro. In caso in cui il contribuente non risponda all'invito dell'Ufficio, ricade su di lui l'onere della prova
In caso di accertamento fiscale, scaturente anche da indagini bancarie in relazione ad operazioni effettuate dal contribuente su conti correnti intestati a terzi, qualora questi sia stato vanamente invitato a rendere giustificazioni sugli esiti delle indagini, tutti gli elementi raccolti confluiscono nella metodologia dell’accertamento induttivo cd. “puro”.
Di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria non è gravata di alcun ulteriore onere probatorio sulla riferibilità al contribuente dei conti e delle somme di cui alle suddette operazioni, spettando invece a questi di offrire una rigorosa prova contraria.
Questo l’articolato principio espresso dall’Ordinanza n. 7360 della Corte di Cassazione pubblicata il 19 marzo 2024.
Accertamento induttivo puro sotto la lente della Corte di Cassazione
La vicenda processuale riguarda il ricorso proposto da un professionista avverso un avviso di accertamento, recante il maggior reddito da lavoro autonomo, determinato anche sulla base di indagini finanziarie condotte su conti correnti che, seppur formalmente intestati a soggetti terzi (società di cui il contribuente era rappresentante legale e delegato), l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto a lui riconducibili.
Più in particolare, l’Ufficio aveva invitato formalmente il contribuente per l’instaurazione del contraddittorio, teso a ricevere informazioni sull’esistenza di numerose pratiche risultanti all’Agenzia del territorio attestanti un maggior reddito di lavoro autonomo e l’esiguità dei redditi dichiarati dal professionista, ma il destinatario non aveva dato alcun seguito all’invito.
Il ricorso è stato parzialmente accolto dalla CTP, che tuttavia annullava i rilievi relativi al maggior reddito da lavoro autonomo accertato sulla base delle indagini finanziarie condotte sulle società terze in quanto l’Agenzia delle entrate non era stata in grado di dimostrare che tali conti fossero riferibili al contribuente accertato, e ciò anche in difetto di appropriate indagini nei confronti delle società.
La CTR ha confermato la posizione dei giudici di primo grado e avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate ha presentato ricorso per cassazione, trovando accoglimento sul punto.
Per maggiore chiarezza è opportuno precisare che nel corso del procedimento è emerso che i versamenti bancari in contestazione erano stati effettuati dal contribuente accertato su conti correnti intestati a società delle quali egli stesso era legale rappresentante e delegato.
Accertamento induttivo puro: le conclusioni della Cassazione
Secondo i giudici, in tale fattispecie, l’Ufficio sarebbe stato onerato dell’ulteriore prova relativa alla circostanza che si sarebbe trattato di operazioni effettuate dal contribuente in proprio e non riferibili alle società. Inoltre l’Ufficio aveva regolarmente notificato invito al contribuente a fornire chiarimenti, ma questi non aveva ottemperato, restando così non giustificate le disponibilità accertate.
Le questioni emerse nell’ambito della controversia in commento sono pertanto due: da un lato la valenza della presunzione prevista in caso di indagini bancarie di cui all’art. 32 del DPR 600/1973 e dall’altro le sorti dell’onere probatorio in caso di accertamento induttivo puro, preceduto da un invito a cui il contribuente non dia seguito.
Le indagini bancarie di per se stesse determinano una presunzione legale in favore dell’Erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili. Tale presunzione consente all’Amministrazione di riferire ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente.
In riferimento ai conti correnti bancari non del contribuente, vige il principio per cui essa è autorizzata a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente.
Con specifico riferimento all’onere probatorio, in via preliminare la Corte ha già affermato che il contribuente ha l’onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili e, a tal fine, deve fornire non una prova generica, ma una prova analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili.
Riguardo alla connessione ed inerenza dei conti correnti di terzi al reddito del contribuente, in questa sede la Corte di legittimità ha chiarito che se il contribuente avesse correttamente ottemperato all’onere di fornire informazioni a fronte del questionario inviato, l’Ufficio avrebbe potuto fornire giustificazioni, non solo sul merito delle operazioni, ma prioritariamente sull’effettiva, al di là cioè del dato formale dell’intestazione, dell’imputabilità a terzi dei conti correnti recanti le annotazioni di dette operazioni.
Il silenzio serbato dal contribuente ha comportato l’effetto di assolvere l’Amministrazione dall’onere di ogni ulteriore allegazione e dimostrazione riguardo alla riferibilità al contribuente dei conti e, di riflesso, delle somme dal medesimo movimentatevi, spostando su di lui l’onere di fornire in contrario la prova rigorosa dell’esclusiva ascrivibilità delle somme a chi appare titolare dei conti.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Accertamento induttivo “puro”: onere della prova sul contribuente che non risponde all’invito dell’Ufficio