La Corte di Cassazione si è espressa con una nuova ordinanza in materia di imposte sui redditi. L'amministrazione finanziaria deve riconoscere, in caso di accertamento induttivo puro, un'incidenza percentuale dei maggiori costi di produzione
In materia di imposte sui redditi, in caso di accertamento induttivo “puro” l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere, unitamente ai maggiori ricavi, una incidenza percentuale dei corrispondenti maggiori costi di produzione, che vanno comunque dedotti ai fini della determinazione del reddito imponibile accertato.
È sempre onere dell’Ufficio finanziario quantificare i costi deducibili a fronte di ricavi induttivamente accertati e, nel caso in cui i componenti negativi non siano documentati, spetta comunque all’amministrazione finanziaria determinarli, anche in via presuntiva o forfettaria.
Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’Ordinanza della n. 4690 del 2024.
Tassazione del profilo netto in caso di accertamento induttivo “puro”: la pronuncia della Corte di Cassazione
Nella causa in esame l’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti di una società, con cui veniva richiesto il pagamento di maggiori imposte (Ires, Iva e Irap) relative al maggior reddito accertato con metodo di accertamento induttivo “puro”.
Il ricorso è giunto dinanzi alla CTR che, confermando la pronuncia di prime cure, ha respinto il ricorso proposto dalla contribuente. In particolare la CTR ha ritenuto di confermare la legittimità dell’operato dell’Ufficio anche in relazione alla non computabilità, ai fini della rideterminazione del maggior reddito della società accertata, di maggiori costi deducibili, per non avere la società contribuente fornito alcun riscontro probatorio a quanto asserito.
Avverso tale decisione la società ha proposto ricorso per cassazione lamentando, per quanto di interesse, violazione e falsa applicazione dell’art. 75 TUIR e dell’art. 53 della Costituzione, per avere la CTR riconosciuto la legittimità delle riprese dell’Ufficio finanziario sebbene questo, nella rideterminazione del reddito di impresa, a fronte di maggiori ricavi accertati induttivamente, non abbia tuttavia riconosciuto i corrispondenti relativi maggiori costi.
La Suprema Corte, ritenendo fondato il motivo, ha accolto il ricorso e cassato con rinvio la sentenza impugnata.
A riguardo la Corte di Cassazione ha ricordato che, in tema di imposte sui redditi, la natura induttiva dell’accertamento condotto ai sensi dell’art. 39, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973 impone il riconoscimento, in ossequio al principio di capacità contributiva, non solo dei maggiori ricavi ma anche della incidenza percentuale dei maggiori costi di produzione, che vanno comunque dedotti, anche se non documentati, eventualmente in via presuntiva e forfettaria, con conseguente onere di loro determinazione a carico dell’Ufficio e non del contribuente. Se così non fosse sarebbe sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto, in evidente violazione del principio della capacità contributiva stabilito dall’art. 53 Cost.
Diverso è l’orientamento giurisprudenziale in tema di riconoscimento dei costi in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo.
In tale fattispecie è infatti il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario.
Qualora detti costi non siano stati riconosciuti dall’Amministrazione in sede amministrativa, spetterà al giudice di merito l’accertamento del quantum dei componenti negativi sostenuti per la produzione del reddito, quantificandoli in via presuntiva, anche con riferimento alle “medie” elaborate dall’amministrazione finanziaria per il settore di riferimento, o, se del caso, anche a mezzo di CTU (così Cass. n. 2344 del 24 gennaio 2024 e n. 6304 del 25 febbraio 2022).
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Si tassa sempre il profitto netto, anche in caso di accertamento induttivo “puro”