In caso di accertamenti bancari, è possibile superare la presunzione legale di maggior reddito relativa ai versamenti, offrendo la prova, necessariamente analitica, che le movimentazioni alla base della rettifica non si possono riferire ad operazioni fiscalmente rilevanti. Lo stabilisce la Corte di Cassazione con l'Ordinanza n. 6407 del 28 febbraio 2022.
L’Agenzia delle entrate può far ricorso alle indagini finanziarie anche se non ci sono gravi indizi di evasione senza avere alcun obbligo di allegazione di documenti ulteriori.
Si può superare la presunzione legale di maggior reddito relativa ai versamenti solo con la prova offerta dal contribuente che le movimentazioni poste alla base della rettifica non sono riferibili ad operazioni fiscalmente rilevanti, ma tale prova deve essere analitica, con la dimostrazione che ogni singolo e specifico versamento bancario sia estraneo a fatti imponibili o che sia stato già inserito in dichiarazione.
Sono queste le precisazioni contenute nell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 6407 del 28 febbraio 2022.
- Corte di Cassazione - Ordinanza numero 6407 del 28 febbraio 2022
- Il testo integrale dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 6407 del 28 febbraio 2022
I fatti – Il fatto trae origine dal ricorso avverso un avviso di accertamento ai fini IRPEF con cui l’amministrazione finanziaria aveva determinato maggiori imposte ai fini IRPEF e relative addizionali in relazione all’attività di amministratore di fatto che il contribuente aveva svolto per quattro società, senza presentare dichiarazione dei redditi.
La controversia è giunta sin in C.t.r. i cui giudici, preso atto che l’accertamento nasceva da indagini bancarie, dalle quali erano emersi numerosi versamenti privi di giustificazione, riteneva che l’atto impositivo fosse sufficientemente motivato posto che il contribuente non aveva fornito idonei elementi di prova contraria avverso le presunzioni conseguenti ai controlli bancari.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione il contribuente lamentando, per quanto di interesse, violazione dell’art.42 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600.
In particolare il ricorrente ha lamentato che, nonostante il controllo avesse come fonte una segnalazione dell’Ufficio della Direzione Regionale competente, detta segnalazione non era stata allegata all’atto impositivo, che risultava così viziato nella motivazione.
La decisione della Corte di Cassazione – La controversia ha ad oggetto un accertamento bancario, normativamente previsto dall’art. 32, co. 1 n. 2 del D.P.R. 600 del 1973 secondo cui i “versamenti” rilevati sui conti del contribuente sono considerati materia imponibile se questi “non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine”.
Allo stesso modo i “prelevamenti” sono considerati “ricavi” se il contribuente sottoposto alle indagini “non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili”.
Si precisa che, per quanto attiene al trattamento dei prelevamenti non giustificati, la norma è stata integrata dall’art. 7 quater del D.L. 193/2016, che considera rilevanti ai fini dell’applicabilità della presunzione le somme superiori a 1.000 euro giornalieri o, comunque, superiori a 5.000 euro mensili.
Si tratta, in buona sostanza, di una presunzione legale relativa in base alla quale i prelevamenti e i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi.
Dal lato probatorio, se da un lato l’Agenzia delle entrate non ha l’obbligo di motivare la ragione per la quale ricorre alle indagini bancarie, il contribuente ha invece l’onere di fornire la prova contraria.
In particolare il contribuente, per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative.
Tuttavia non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, dovendo il contribuente — e non già l’Amministrazione finanziaria - fornire la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività.
Nel caso di specie la C.t.r. ha adeguatamente motivato sul punto, ritenendo che la motivazione dell’avviso di accertamento contenesse in modo chiaro e completo gli elementi di fatto ed i presupposti di diritto posti a sostegno della pretesa erariale, considerando inutile l’allegazione della segnalazione della Direzione Regionale, che è un atto interno all’amministrazione finanziaria, rispetto al quale non sussiste alcun obbligo di allegazione.
Nella sentenza i giudici di legittimità hanno richiamato inoltre la nota sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014 secondo cui, con riferimento ai compensi percepiti dai lavoratori autonomi, la presunzione dovesse ritenersi “lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”.
Questo significa in altri termini che la presunzione per cui i “prelevamenti” sono considerati ricavi, può essere utilizzata nei confronti dei soli imprenditori e non è applicabile ai lavoratori autonomi.
I “versamenti”, invece, hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, siano essi imprenditori o lavoratori autonomi, salvo la prova di averne tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o della loro irrilevanza allo stesso fine.
La presunzione relativa ai versamenti, peraltro, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici ed è superabile se il contribuente dimostri che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Accertamenti bancari: la prova contraria deve essere analitica