Onere della prova e accertamenti bancari del reddito: le movimentazioni dei conti correnti direttamente riferibili al contribuente al centro della vicenda affrontata dalla Corte di Cassazione nell'Ordinanza n. 24402 del 2022.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 24402 del 5 agosto 2022, ha risolto un contenzioso in tema di accertamenti bancari, evidenziando alcuni rilevanti profili in tema di onere della prova.
Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Provinciale aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso un avviso di accertamento, emesso per IRPEF, IVA e IRAP, anno 2007, con il quale erano stati determinati, ai sensi dell’art. 39, comma 2, del Dpr. n. 600 del 1973, un maggiore reddito da lavoro autonomo (quale amministratore di condomini), un maggiore valore della produzione ai fini dell’IRAP e operazioni imponibili, ai fini IVA, per quasi cinque milioni di euro.
In particolare, nel corso della verifica erano state esaminate le movimentazioni dei conti correnti direttamente riferibili al contribuente, in quanto unico intestatario, al quale era stato chiesto di fornire giustificazioni.
Accertamenti bancari ed onere della prova: i fatti dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 24402 del 2022
La Commissione Tributaria Provinciale aveva dunque ritenuto che l’Agenzia avesse accertato l’esistenza di operazioni non giustificate, dopo avere correttamente confrontati i dati desumibili dai rendiconti delle gestioni condominiali forniti dal contribuente con i movimenti sui conti a lui intestati, o intestati direttamente alle singole amministrazioni condominiali, escludendo i movimenti riconducibili alle quote condominiali e quelli riguardanti le spese sostenute per la gestione dei condomini.
La Commissione Tributaria Regionale aveva poi accolto parzialmente l’appello del contribuente, osservando che, sebbene questi non avesse giustificato in modo specifico i movimenti rimasti privi di qualsiasi riscontro (2.691.047,16 euro per i versamenti ed 2.212.092,99 euro per i prelevamenti), anche a seguito della analitica ricostruzione compiuta dall’Ufficio, che aveva correttamente determinato i ricavi ai fini dell’IRPEF e dell’IRAP (tenendo conto della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014 e detraendo dall’importo dei versamenti non giustificati quello dei prelevamenti), non erano state poi però correttamente quantificate le maggiori operazioni imponibili ai fini dell’IVA.
L’imponibile IVA, rilevava la CTR, era stato infatti determinato in complessivi 4.903.140,00, euro sommando i versamenti e i prelevamenti non giustificati.
Benchè la citata sentenza della Corte Costituzionale si riferisse solo alle imposte dirette, secondo i giudici di secondo grado, anche il maggior imponibile IVA avrebbe però dovuto essere determinato con riferimento ai soli versamenti non giustificati, in quanto relativi a compensi non fatturati.
Per quanto riguardava i prelevamenti, invece, non potendosi avvalere della presunzione legale, l’Ufficio avrebbe dovuto provare che erano stati utilizzati per produrre ricavi non fatturati, ma questa era comunque una circostanza poco verosimile per un amministratore di condominio.
La CTR, quindi, aveva rideterminato in complessivi 2.692.047,16 euro (pari alla somma dei soli versamenti non giustificati) il maggiore imponibile ai fini IVA.
Il contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, la violazione di legge per mancanza dei presupposti di cui all’art. 39, comma 2, del Dpr. n. 600 del 1973, perché, a suo avviso, non si rilevavano nella fattispecie omissioni e false e/o inesatte indicazioni accertate con presunzioni legali, così gravi, precise e concordanti da comportare l’inattendibilità della contabilità del contribuente.
Secondo la Suprema Corte la censura era da respingere.
Evidenziano i giudici di legittimità che, nel caso in esame, la Commissione Tributaria Regionale aveva esposto, con argomentazione concisa ma comprensibile, le ragioni della propria decisione, evidenziando come “il contribuente, a fronte della puntuale e precisa ricostruzione analitica dei rendiconti delle gestioni condominiali e delle movimentazioni bancarie, dalla quale risultavano movimentazioni non giustificate, non ha assolto all’onere della prova di contestare il risultato degli accertamenti bancari. Anche nell’atto di appello l’appellante si limita ad una generica contestazione, lamentando la carenza motivazione della sentenza per non avere la CTP tenuto in alcun conto gli elementi di prova offerti dal ricorrente e riportandosi a quanto prospettato nel ricorso introduttivo. Nulla l’appellante ha dedotto nè provato con riferimento alle specifiche contestazioni, ribadita nelle controdeduzioni dell’appellata, e cioè: l’esame comparato dei rendiconti di alcuni condomini e dei conti correnti ha evidenziato incongruenze tra gli importi che il contribuente ha dichiarato essere stati versati a titolo di spesa e le minori somme che risultano effettivamente utilizzate (…)”.
Il contribuente, peraltro, nella sua qualità di amministratore di condominio, nell’anno in esame, aveva movimentato circa 5.518.719,00 di euro. Questo dato era stato confrontato con i movimenti di tutti i conti correnti bancari dallo stesso contribuente gestiti, che presentavano movimentazioni per 12.000.000,00 di euro.
Dal confronto di tutti i dati analizzati erano dunque emersi i versamenti e prelevamenti non giustificati per gli importi sopra indicati.
Accertamenti bancari ed onere della prova: la posizione della Corte di Cassazione
La sentenza impugnata, rileva la Cassazione, aveva quindi seguito l’indirizzo di legittimità, secondo il quale, qualora l’accertamento effettuato dall’Amministrazione finanziaria si fondi, come nella specie, su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo quanto disposto dall’art. 32 del Dpr. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili e sono prive di rilevanza fiscale (cfr., Cass. nn. 22179/2008, 18081/2010, 15857/2016, 4829/2015).
E ciò, sottolinea la Cassazione, vale anche in tema di IVA, al fine di superare la presunzione di imponibilità delle operazioni confluite nelle movimentazioni bancarie posta a carico del contribuente dall’art. 51, secondo comma, numero 2, del Dpr. n. 633/1972 (cfr., Cass. n. 21303/2013).
La presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari, aggiunge la Corte, non è peraltro riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dall’art. 38 del Dpr. n. 600 del 1973, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2.
Tutto questo, fermo restando che, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia solo dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (cfr., Cass. n. 29572/2018).
Tanto premesso, il ricorrente, nella specie, non aveva specificato in modo puntuale quali fossero state le prove contrarie analitiche che egli aveva contrapposto alle singole movimentazioni bancarie, né aveva riprodotto documenti, neppure nel loro contenuto essenziale, indicando la sede della loro eventuale produzione nei gradi di merito.
Non avendo il ricorrente dimostrato di avere fornito, nei gradi di merito, una dettagliata spiegazione dei singoli movimenti bancari ritenuti ingiustificati, la motivazione della sentenza impugnata doveva quindi essere ritenuta sul punto esaustiva e corretta.
Per quanto riguardava, poi, la quantificazione delle operazioni imponibili ai fini IVA, la Cassazione rileva che la CTR aveva correttamente escluso tutte le operazioni di prelievo dai conti correnti bancari, in quanto la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 32 del Dpr. n. 600 del 1973 era applicabile anche alla normativa IVA (cfr., Cass. 29.10.2020, n. 23912), per cui l’Amministrazione finanziaria, non potendo in questo caso fare ricorso alla invocata presunzione, avrebbe dovuto provare che detti prelievi fossero stati utilizzati dal professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi, e tale prova non poteva essere certamente fornita dal tipo di attività (amministratore di condominio) in concreto esercitata dal contribuente.
La asserita discrasia tra il maggior reddito determinato ai fini delle imposte dirette (quantificato dall’Ufficio in 478.954,17 euro) e l’ammontare del maggior imponibile ai fini dell’IVA (stabilito dalla CTR in 2.602.047,16 euro) dipendeva comunque dai diversi criteri previsti per la determinazione delle rispettive basi imponibili, posto che, per le imposte dirette, l’Ufficio, procedendo in sede di accertamento induttivo c.d. puro, aveva dovuto detrarre dall’importo complessivo dei versamenti non giustificati la somma dei prelievi, considerandoli come costi.
In tema di accertamento induttivo puro, infatti, l’Amministrazione finanziaria deve ricostruire il reddito del contribuente tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero, in difetto, determinate induttivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto (ex multis, Cass. 23.10.2018, n. 26748).
A prescindere dallo specifico caso processuale, in termini più generali, giova infine evidenziare quanto segue.
Con riguardo agli accertamenti bancari e al regime probatorio a questi collegato, è stato ormai chiarito che, se è vero che devono essere indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti, con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi, è allora sicuramente anche vero che, a fronte dell’analiticità nella deduzione del mezzo di prova, o comunque delle allegazioni difensive da parte del contribuente, debba corrispondere una speculare analiticità, da parte del giudice, nell’esaminare quanto dedotto e documentato (cfr., Cass., Ordinanza n. 30786 del 28/11/2018, Cass., n. 15217 del 12/09/2012; Cass., n. 1418 del 22/01/2013; Cass., n. 6595 del 15/03/2013; Cass., n. 20668 del 01/10/2014).
In tema poi di categoria di contribuenti accertabili con accertamenti di tipo bancario, giova anche evidenziare come la stessa Cassazione, con l’Ordinanza n. 106 del 4 gennaio 2019, ha già chiarito l’applicabilità della disciplina per tutte le categorie di contribuenti, compresi anche i redditi da lavoro dipendente, evidenziando che il contribuente ha l’onere di superare la presunzione, dimostrando, in modo analitico, l’estraneità di ciascuna delle operazioni bancarie a fatti imponibili, e senza che assuma alcuna rilevanza la sua qualifica soggettiva di lavoratore dipendente, autonomo o imprenditore, dato che, in virtù della portata generale del disposto normativo, la presunzione legale, consistente nel fatto che i “dati” e gli “elementi” acquisiti attraverso le indagini bancarie possono essere posti a base degli accertamenti e rettifiche se il contribuente non dimostra di averne tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, trova applicazione anche a soggetti diversi dagli imprenditori e dai lavoratori autonomi (con le differenze probatorie, su prelievi e versamenti, comunque ben evidenziate anche dalla sentenza in commento).
L’accertamento bancario ha dunque portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell’attività svolta e dalla quale quei redditi provengano, né alla presunzione di legge può contrapporsi una mera affermazione di carattere generale, o considerazioni latamente equitative.
Inoltre, giova anche ricordare come, in tali casi, nella ricostruzione del reddito, non si può neppure considerare l’incidenza percentualizzata dei costi corrispondenti alla ricostruzione dei ricavi (cfr., Cass., Ordinanza n. 432 del 14/01/2020).
Venendo infatti accertati sia prelevamenti che versamenti, il contribuente deve in questi casi provare che i prelevamenti corrispondano a pagamenti di acquisti registrati e quindi sottratti alla presunzione di ricavo, laddove solo in presenza esclusiva di prelevamenti si potrebbero considerare costi in via presuntiva, da cui desumere i maggiori ricavi.
La presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla, in sostanza, soprattutto nei casi di attività di impresa, ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga del conto corrente bancario per effettuare rimesse e prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività imprenditoriale.
Il contribuente può comunque fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici (per la tesi più rigorosa, secondo cui il contribuente, nel fornire la prova contraria, non può invece ricorrere a presunzioni, vedi però Cass., 24 luglio 2012, n. 13035; Cass. 6 ottobre 2010, n. 20735; Cass. 5 dicembre 2007, n. 25365), da sottoporre, in ogni caso, ad attenta verifica da parte del giudice (cfr., Cass., 30 novembre 2011, n. 25502).
In conclusione, la documentazione bancaria rappresenta, senza dubbio, una forte presunzione, sia ai fini IVA che imposte dirette, superabile soltanto da una altrettanto forte prova contraria, che il contribuente deve in ogni caso fornire se vuole superare l’accertamento dell’Ufficio.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Accertamenti bancari ed onere della prova