Concordato preventivo biennale verso la riapertura? Si pensa già alla “Fase 2”

Anna Maria D’Andrea - Dichiarazione dei redditi

Una riapertura dei termini per l'adesione al concordato preventivo biennale, notizia che giustificherebbe gli annunci (immediatamente smentiti) di una proroga della scadenza del 31 ottobre. Già si pensa alla Fase 2 del patto con il Fisco, mentre si attendono i dati sul gettito che ne deriverà

Concordato preventivo biennale verso la riapertura? Si pensa già alla “Fase 2”

Concordato preventivo biennale ancora protagonista, con notizie che annunciano una possibile riedizione del patto con il Fisco quando ancora si attendono i dati definitivi sulle adesioni.

È la vicenda travagliata del piatto forte della prima fase della riforma fiscale a caratterizzare la settimana che si è appena conclusa. I lavori di commercialisti e intermediari si sono chiusi il 31 ottobre con il “giallo” di una proroga prima annunciata, e poi prontamente smentita, che collegata alle anticipazioni su una possibile riapertura assume oggi un nuovo significato.

Stando ai primi dati diffusi dagli organi di stampa, le adesioni al concordato preventivo biennale dovrebbero assestarsi introno al 15 per cento dei beneficiari, con un totale di circa 700 mila sì alla proposta dell’Agenzia delle Entrate, a fronte di 4,7 milioni di partite IVA destinatarie.

Più che sulle adesioni però l’attenzione è sul gettito che ne deriverà ma, in questo caso, bisognerà attendere almeno fino alla fine della settimana.

Concordato preventivo biennale verso la riapertura? Perché si pensa già alla “Fase 2”

Partito in sordina, balzato all’attenzione solo a metà anno e arrivato a conclusione con il giallo di una proroga annunciata dai principali sindacati dei commercialisti e subito smentita da Fonti di Governo e dal Consiglio Nazionale di categoria, per il concordato preventivo biennale potrebbe non essere finita qui.

La più volte richiesta proroga della scadenza del 31 ottobre non è arrivata e ad oggi solo chi ha espresso la propria scelta di adesione in dichiarazione dei redditi 2024 rientra tra i beneficiari del patto con il Fisco, e dell’abbinato ravvedimento speciale.

Si tratterebbe, stando ai dati diffusi dalla stampa, di oltre 700 mila partite IVA, a fronte di una platea potenziale di 4,7 milioni di contribuenti, un dato che fisserebbe al 15 per cento l’asticella delle adesioni e sul quale ulteriori conferme arriveranno nelle prossime ore.

A conti fatti si può parlare di un successo? I primi numeri non possono definirsi incoraggianti, ma oltre al dato di chi ha detto sì alla proposta elaborata dall’Agenzia delle Entrate sarà fondamentale attendere quelli relativi al gettito che ne deriverà.

Il Governo si attende almeno 2 miliardi di maggiori entrate al fine di garantire, come più volte evidenziato, una nuova “sforbiciata” alle aliquote IRPEF utilizzando proprio le risorse derivanti dal concordato preventivo biennale.

Sebbene per il Viceministro Leo il concordato porterà in ogni caso un aumento del gettito, tenuto conto che non sono state inserite previsioni di maggiori entrate e che quindi “tutto quello che arriva è ben accetto”, sarà quindi il dato degli importi che confluiranno nelle casse dello Stato a decretare l’impatto effettivo del concordato preventivo biennale.

Un dato che si punta a massimizzare con una nuova edizione del patto per il biennio 2024-2025. Prima ancora di avere i numeri alla mano, è già in campo l’ipotesi di una riapertura che, secondo il Presidente del Consiglio Nazionale dei Commercialisti, Elbano de Nuccio, “rappresenterebbe un’opportunità per chi non ha avuto il tempo materiale per fare le dovute riflessioni”.

Un problema di metodo, oltre la legittimità dello strumento

In attesa di conferme sulle ipotesi in circolazione, viene da chiedersi come potrebbe essere accolta una possibile riapertura e una coda lunga della scadenza fino al 31 dicembre, soprattutto da parte dei commercialisti e del popolo degli “addetti ai lavori”, che negli ultimi mesi hanno dovuto rincorrere decreti correttivi, circolari in extremis e FAQ di chiarimento in ordine sparso.

Tutto l’iter che ha portato all’avvio della fase operativa di accesso al concordato è stato caratterizzato da difficoltà e modifiche in corsa, fattori che indubbiamente hanno influenzato le adesioni e le valutazioni di pro e contro della misura.

Queste le motivazioni alla base delle numerose richieste di proroga, non accolte dal MEF tenuto conto della necessità di avere dati certi entro i primi di novembre, per l’attuazione dei prossimi passi della riforma fiscale - risorse permettendo - nella Legge di Bilancio 2025.

La riapertura dei termini rappresenterebbe un segnale, seppur tardivo, delle richieste di più tempo per valutare pro e contro del concordato preventivo biennale, ma potrebbe apparire anche come la prova dell’insuccesso dell’operazione del Ministero dell’Economia.

Ancora una volta a far discutere è il metodo di uno strumento ritenuto centrale dal Governo e il cui esito determinerà i prossimi passi della riforma fiscale, gestito però in maniera disordinata e per il quale oggi, dopo la corsa contro il tempo in vista della scadenza del 31 ottobre, emerge una possibile seconda chance.

Il concordato sembra quindi destinato a far discutere ancora, dal punto di vista procedurale ma anche di legittimità costituzionale: il patto con il Fisco blocca le imposte dovute per il biennio, con la conseguenza di escludere da tassazione i redditi eccedenti rispetto a quanto stabilito. Un aspetto che appare in palese violazione con i principi di progressività e capacità contributiva previsti dall’articolo 53 della Costituzione.

Parte la discussione sulla Legge di Bilancio 2025, tra novità e passi indietro

Il concordato preventivo biennale è legato a doppio filo con l’iter della Legge di Bilancio 2025, sia tenuto conto della valutazione degli effetti delle adesioni formulate fino al 31 ottobre che della possibile riapertura.

Sull’utilizzo delle entrate che ne deriveranno c’è da segnalare che, oltre alla riduzione dell’aliquota IRPEF del 35 per cento, è in campo la proposta della Lega di attingervi anche per estendere il regime forfettario per le partite IVA fino a 100.000 euro.

Novembre diventa quindi un mese cruciale per definire cosa ci sarà effettivamente nella Manovra, e già emergono le prime indiscrezioni anche su possibili passi indietro rispetto ad alcune delle misure più criticate.

Tra queste, la web tax che così come ridisegnata nella Legge di Bilancio 2025 si applicherebbe a tutte le realtà che operano nel settore digitale, anche alle startup e le PMI.

Diversi gli esponenti di Governo che hanno annunciato correttivi volti a ripristinare la progressività dell’imposta.

Emendamenti già annunciati anche sul fronte del canone Rai, per il quale il DdL di Bilancio non conferma la riduzione a 70 euro prevista per il 2024, con il conseguente ritorno al valore di 90 euro a partire dal 2025.

Fa discutere anche la previsione di ingresso del MEF in società, enti, organismi e fondazioni che ricevono contributi pubblici di entità significativa, valore pari a 100.000 euro in via provvisoria, e che obbligherà pertanto le imprese ad integrare il collegio di revisione o sindacale con un rappresentante del Ministero.

Una previsione che l’Associazione Nazionale dei Commercialisti ha definito come “una sorta di ingerenza nell’autonomia societaria”, richiedendo l’eliminazione della misura nel testo finale della Manovra.

L’avvio dell’iter che porterà all’approvazione della Legge di Bilancio 2025 sarà quindi cruciale per la definizione di un testo che, ad oggi, presenta diversi aspetti controversi. Su Informazione Fiscale sarà possibile consultare tutti gli aggiornamenti e le novità, nell’ottica di fornire a lettori e lettrici gli strumenti per leggere, capire e analizzare i contenuti della prossima Manovra.

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