Un trust non può essere considerato validamente operante sotto il profilo fiscale se il trustee non ne ha i poteri effettivi di gestione, con la conseguenza che i redditi formalmente prodotti dal Trust saranno assoggettati a tassazione in capo al Disponente. L'approfondimento a partire dalla risposta all'interpello n. 796 del 2021.
L’Agenzia delle Entrate, con la Risposta ad interpello n. 796 del 1° dicembre 2021, ha affermato che un Trust non può essere considerato validamente operante sotto il profilo fiscale se il trustee non ne ha i poteri effettivi di gestione, con la conseguenza che i redditi formalmente prodotti dal Trust saranno assoggettati a tassazione in capo al Disponente.
Nel caso di specie, il contribuente aveva posto tre quesiti (qualificatorio, ordinario e antiabuso) in merito ad un trust, istituito nell’ottica di un passaggio generazionale d’impresa.
- Agenzia delle Entrate - Risposta numero 796 del 1° dicembre 2021
- Trust fiscalmente inesistente per ingerenza dei beneficiari nella gestione
Trust fiscalmente inesistente in caso di ingerenza dei beneficiari: il caso analizzato dall’Agenzia delle Entrate
Veniva rappresentato che, con atto notarile, era stato disposto l’aumento di capitale di una S.n.c., sottoscritto interamente dal padre, al fine di ricostruire, almeno in parte, la struttura finanziaria e patrimoniale preesistente alla intervenuta distribuzione di riserve di utili.
Al fine di evitare un depauperamento del valore della partecipazione detenuta dai figli, inoltre, il padre si obbligava nel medesimo atto a versare un’ulteriore somma, imputata a patrimonio netto quale riserva in favore degli altri soci.
A seguito di tale operazione, la percentuale di partecipazione del padre si era incrementata dal 16 per cento all’86 per cento. Contestualmente, la percentuale di partecipazione degli altri quattro soci (ossia dei figli) erano rispettivamente diminuite dal 21 al 3,5 per cento.
Con il medesimo atto notarile, inoltre, era stata deliberata la trasformazione della società da S.n.c. in S.a.s., in cui i figli erano soci accomandatari, mentre il padre era socio accomandante.
Successivamente, il padre aveva istituito un Trust, regolato dal diritto della Repubblica di San Marino (legge 1° marzo 2010, n. 42), in base al cui atto Istitutivo “Il Disponente, essendo consapevole della sua età avanzata e temendo un suo improvviso stato di incapacità o una sua scomparsa, desidera sin da ora destinare stabilmente le partecipazioni sociali dell’impresa di famiglia, di cui è titolare, in favore dei propri figli e dei nipoti, evitando tuttavia che meccanismi tipici del diritto successorio portino alla frammentazione della proprietà”.
Nel medesimo atto veniva evidenziato che “il Disponente desidera inoltre che, a prescindere da quale fra i propri figli assuma la guida dell’impresa, i risultati economici possano essere ripartiti tra questi ultimi ed i loro discendenti, secondo logiche che tengano conto dell’età, dell’impegno profuso e del lavoro apportato nella medesima società”.
L’atto istitutivo aveva poi individuato quale Trustee la società Beta S.r.l. e come Guardiano il Rag. Tizio, consulente di fiducia della famiglia dell’istante.
Al Trust veniva attribuito un codice fiscale.
L’atto istitutivo veniva poi modificato, per l’esigenza di “meglio attuare gli interessi che il disponente intendeva perseguire”, in vista del trasferimento nel Trust, da parte del Disponente, delle “partecipazioni di proprietà di costui che rappresentano la maggioranza del capitale sociale della società mediante il quale è svolta l’attività che storicamente costituisce l’impresa di famiglia”.
Nella medesima data, il padre trasferiva nel Trust l’intera quota di partecipazione detenuta nella società, per la quale il Trustee aveva stipulato con una fiduciaria un apposito contratto di incarico fiduciario, laddove, in precedenza, tale partecipazione era già stata fiduciariamente intestata dal padre alla medesima fiduciaria.
Con riferimento al periodo d’imposta 2019, i soci accomandatari avevano dunque dichiarato e tassato il reddito imputato per trasparenza, ciascuno per la propria quota del 3,5 per cento, mentre il Trust aveva dichiarato il reddito di partecipazione nella Società, imputato per trasparenza nella misura dell’86 per cento dell’intero ammontare, assoggettandolo ad IRES nella misura del 24 per cento.
La Società aveva in seguito deliberato la parziale distribuzione ai soci degli utili 2019, in proporzione alle quote di partecipazione.
Ai sensi dell’atto istitutivo, come riscritto dall’atto modificativo, risultava che il Trust era irrevocabile e soggetto al termine finale di novant’anni, o, se anteriore, della data in cui non vi fossero discendenti in vita e non fosse possibile che fossero concepiti nuovi discendenti.
In forza del domicilio italiano del Trustee, il Trust si considerava fiscalmente residente in Italia e la categoria dei “beneficiari” era così composta:
- beneficiari lavoratori: ciascuno dei figli e ciascuno dei discendenti, a condizione che prestassero lavoro dipendente, o fossero amministratori della società;
- beneficiari ulteriori: i discendenti che non fossero beneficiari lavoratori;
- beneficiari eventuali: i coniugi dei beneficiari lavoratori.
Con riferimento ai redditi percepiti dal Trust, si prevedeva poi che il Trustee creasse un “paniere reddituale” per ciascun beneficiario lavoratore, sostanzialmente corrispondente ad un sottofondo del Trust.
Per ciascun anno solare in cui avveniva la percezione dei redditi di partecipazione, il Trustee, dopo aver accantonato un importo pari alle imposte sui redditi dovute, avrebbe dovuto contabilizzare, a favore di ciascuno dei “panieri reddituali” (in base alla “formula di riparto dividendi” individuata, il cui criterio principale di determinazione era costituito dalla ripartizione dei redditi in base alle ore di lavoro svolte, a diverso titolo, dai beneficiari all’interno della Società):
- il cinquanta per cento della somma restante dei redditi percepiti;
- quanto accantonato nell’esercizio precedente, garantendo una disponibilità liquida (non contabilizzata nei “panieri reddituali”) di almeno 200.000 euro.
Al momento della presentazione dell’istanza, tuttavia, il Trustee non aveva ancora provveduto ad istituire i Panieri Reddituali e, conseguentemente, i redditi percepiti dal Trust (e tassati in capo ad esso) non erano stati ripartiti in alcun sottofondo, e gli stessi risultavano quindi contabilizzati unitariamente nel Trust fund.
L’atto istitutivo prevedeva che il Trustee predisponesse, con il consenso del Guardiano, un “programma beneficiario redditi”, contenente le condizioni, i termini e le limitazioni relative all’impiego, alla distribuzione dei redditi dei beni in Trust contenuti in ciascuno dei “panieri reddituali”. Ma, al momento dell’istanza, il programma beneficiario non era stato ancora predisposto.
Il Trustee poteva peraltro discrezionalmente, in qualsiasi momento nel corso della durata del Trust, impiegare e distribuire i redditi contabilizzati a favore di uno dei panieri reddituali, esclusivamente a favore del «beneficiario lavoratore» cui il paniere era dedicato e dei suoi discendenti (anche se tale evento non si era ancora mai verificato).
Per quanto atteneva infine le posizioni beneficiarie, l’atto istitutivo prevedeva in particolare che:
- i beneficiari non potevano cedere la propria posizione giuridica, né estinguere anticipatamente il Trust prima che fosse decorso il “Periodo di indisponibilità”, intendendosi come tale il periodo intercorrente dalla data del trasferimento dei beni in Trust fino allo scadere dei cinque anni successivi, ovvero dal diverso termine, previsto dalla legge vigente nell’ordinamento italiano per poter beneficiare delle agevolazioni contenute all’articolo 3, comma 4-ter, del decreto legislativo 31 ottobre 1990 n. 346;
- i beneficiari non potevano contestare le determinazioni assunte dal Trustee circa l’impiego, la distribuzione e l’erogazione dei beni in Trust agli aventi diritto, a meno che la contestazione riguardasse la mancata corrispondenza fra quanto ricevuto e quanto gli spettava secondo le disposizioni dell’atto istitutivo;
- nel corso della durata del Trust, il Trustee, con il consenso del Guardiano, poteva erogare i beni in Trust in favore di uno dei beneficiari che versasse in condizione di inabilità, utilizzando le disponibilità liquide, eventualmente anche prelevate dai panieri reddituali;
- al termine finale del Trust, il Trustee avrebbe diviso i beni non compresi nei panieri reddituali in tante quote di uguale valore quanti erano i figli e avrebbe distribuito ogni quota beneficiaria ai beneficiari iniziali in vita e, qualora uno di essi non vi fosse, ai discendenti, nel rispetto della disciplina vigente in tema di rappresentazione, o, in via residuale, ai soggetti che avessero diritto di ricevere una diversa quota beneficiaria in parti uguali.
Secondo quanto previsto dall’atto istitutivo, il Trustee aveva poteri amministrativi di modifica dell’atto istitutivo, con il consenso del Guardiano, al fine di meglio assicurare che fossero perseguiti gli interessi indicati dal Disponente, e poteri di accumulazione dei redditi dei beni in trust, mentre non gli era riconosciuto il potere di effettuare anticipazioni a favore di un beneficiario.
Il Trustee poteva del resto essere revocato, anche senza giusta causa, con il voto favorevole espresso da quei beneficiari lavoratori a cui, complessivamente, nell’esercizio sociale precedente, fosse assegnato almeno il 60 per cento dell’utile conseguito dalla Società in base alla formula riparto dividendi.
Il Guardiano poteva essere revocato dai beneficiari lavoratori a maggioranza.
Tanto premesso sul complesso schema disposto con l’atto istitutivo, in vista degli adempimenti dichiarativi riferiti ai redditi 2020 e per gli anni successivi, l’istante chiedeva se, sulla base delle previsioni contenute nell’atto istitutivo, il Trust potesse essere riconosciuto e qualificato come tale ai sensi dell’articolo 73, comma 1, del TUIR e della Convenzione de L’Aja del 1° luglio 1985 (ratificata con legge 16 ottobre 1989, n. 364), oppure se, al contrario, lo stesso dovesse considerarsi inesistente dal punto di vista fiscale.
Qualora il Trust fosse considerato inesistente, si chiedeva poi quale dovesse essere il criterio di imputazione e tassazione dei redditi relativi alla partecipazione segregata in Trust, nei confronti di quali soggetti e per quali quote.
Qualora, infine, il Trust fosse stato considerato invece fiscalmente riconosciuto, si chiedeva se, ai sensi degli articoli 73, commi 1 e 2, e 44, comma 1, lettera g-sexies), del TUIR, i redditi di partecipazione imputati al Trust dovessero essere tassati in capo al Trust medesimo, quale soggetto IRES (cd. trust «opaco»), oppure in capo ai singoli beneficiari persone fisiche, come redditi di capitale da assoggettare ad IRPEF (cd. trust «trasparente»).
Nel caso poi in cui al Trust in esame fosse riconosciuta la natura di trust «opaco», si chiedeva se la complessiva vicenda societaria e negoziale, che aveva preso avvio con la delibera relativa all’aumento di capitale ed alla trasformazione in S.a.s., nonché alla segregazione in Trust della quota di socio accomandante del padre, potesse o meno essere considerata in contrasto con il divieto di abuso del diritto, ai sensi dell’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212.
Trust fiscalmente inesistente in caso di ingerenza dei beneficiari: la posizione dell’istante
L’istante, per conto suo, nel fornire la sua soluzione interpretativa, riteneva che, sulla base delle previsioni contenute nell’atto istitutivo, il Trust fosse fiscalmente esistente.
Al riguardo, si evidenziava che il potere amministrativo e dispositivo riconosciuto al Trustee era ampio e discrezionale, in taluni casi condizionato al solo parere favorevole del Guardiano, come peraltro era nella normale fisiologia del diritto dei trust.
In base all’atto istitutivo, nessun potere o diritto era del resto riservato in capo al Disponente, che, quindi, risultava realmente ed integralmente spossessato in relazione ai beni facenti parte del Trust Fund.
Per quanto atteneva poi i beneficiari, in particolare quelli “lavoratori”, essi erano senza dubbio titolari di una posizione giuridica, rispetto ai beni in Trust, che, tuttavia, non appariva idonea a limitare o subordinare i poteri amministrativi e dispositivi del Trustee.
Si riteneva inoltre non particolarmente significativo il potere di revoca del Guardiano, riconosciuto alla maggioranza dei beneficiari lavoratori, laddove dal detto potere di revoca, ad avviso dell’istante, non poteva derivare l’inesistenza del Trust, in quanto tale potere risultava meramente eventuale e riconosciuto solo nel caso in cui, nell’anno precedente, fosse assegnato, anche sulla base delle scelte discrezionali del Trustee, il 60 per cento dell’utile conseguito dalla Società.
L’atto istitutivo del Trust, secondo l’istante, non delineava, in sostanza, poteri e in generale situazioni giuridiche, con riferimento al Disponente, ai beneficiari, al Trustee ed al Guardiano, tali da ritenere che si fosse in presenza di un Trust inesistente.
Da un punto di vista fiscale, del resto, rilevava l’istante, affinché un beneficiario sia ritenuto “individuato” ai sensi dell’articolo 73, comma 2, del TUIR, è necessario che lo stesso risulti essere titolare, in base all’atto istitutivo o a successivi atti, di un diritto soggettivo pieno alla percezione del reddito, idoneo ad esprimere una capacità contributiva attuale, secondo l’interpretazione prevalente e della prassi dell’Agenzia delle Entrate (cfr. circolare 6 agosto 2007, n. 48/E).
E, nel caso di specie, non ricorreva una simile posizione giuridica in capo ai beneficiari del Trust, i quali, come visto, risultavano titolari di un diritto (futuro e quindi incerto) alla attribuzione del patrimonio segregato solo al momento della estinzione del Trust.
In relazione poi ai redditi prodotti dal Trust, la scelta tra distribuzione ed accumulo era rimessa in via del tutto discrezionale al Trustee, il quale aveva certamente un vincolo, derivante dall’atto istitutivo, che era quello di contabilizzare nei “panieri reddituali” i redditi di partecipazione distribuiti o imputati al Trust. Ma tale vincolo, tuttavia, non si rifletteva in una posizione giuridica certa ed attuale dei beneficiari alla percezione, dato che il Trustee poteva accumulare tali redditi, per poi decidere, discrezionalmente, se, quando e come assegnarli ai beneficiari.
L’istante, quindi, riteneva che il Trust in esame fosse qualificabile quale Trust fiscalmente “opaco”, ai sensi dell’articolo 73 del TUIR.
La segregazione nel Trust della partecipazione societaria del disponente, rilevava infine l’istante, aveva comportato l’assoggettamento ad IRES dei redditi di partecipazione della Società per la parte imputata al Trust per trasparenza.
Qualora il Trust non fosse stato istituito e la quota fosse rimasta nella titolarità del Disponente, oppure qualora questi avesse deciso di donare direttamente ai figli la propria quota, i redditi derivanti dalla partecipazione sarebbero stati peraltro assoggettati alla più gravosa tassazione IRPEF.
Il che, a parere dell’istante, escludeva comunque la sussistenza di una fattispecie di abuso del diritto, dovendosi anche apprezzare le valide ragioni extrafiscali che avevano motivato ogni singola scelta societaria e negoziale, laddove l’aumento di capitale realizzato nel 2018 era stato funzionale a dotare patrimonialmente la società di famiglia ed a concentrare la quota maggioritaria del capitale sociale nella partecipazione detenuta dal padre, vale a dire di quella destinata ad essere segregata in vista del passaggio generazionale; mentre, attraverso la trasformazione della S.n.c. in S.a.s. e la previsione del ruolo di socio accomandante per il padre, si erano poste le condizioni per realizzare l’uscita dello stesso dalla Società ed il graduale passaggio generazionale a favore dei figli, tramite la segregazione della quota nel Trust.
Con la segregazione nel Trust della propria quota di socio accomandante, infatti, il padre aveva potuto conseguire una serie di legittime finalità, tra cui:
- la concentrazione della parte maggioritaria del capitale sociale nella quota segregata (necessariamente di accomandante), che garantiva l’unitario controllo della società medesima per gli anni a venire, anche dopo la morte del padre;
- la segregazione della partecipazione rilevante della Società nel Trust, che faceva sì che fosse il Trustee a decidere se e come distribuire i redditi prodotti dalla Società ed erogati al Trust medesimo, evitando una potenziale dispersione della ricchezza tra i figli. Attraverso la segregazione della quota in Trust, il disponente voleva, quindi, ottenere il risultato di definire in capo al Trustee le scelte di distribuzione dei risultati societari, laddove il sistema dei “panieri reddituali” determinava quell’equa ripartizione dei risultati economici dell’impresa di famiglia secondo le logiche e le finalità dell’impegno profuso da ciascuno dei figli e discendenti nell’impresa.
Nel caso di specie, in conclusione, secondo l’istante, la segregazione della quota societaria nel Trust aveva determinato la totale perdita della disponibilità della partecipazione per il padre e non ne aveva, invece, realizzato l’acquisizione in capo ai figli. Né il disponente né i beneficiari potevano del resto dirsi possessori della quota e degli utili e la tassazione IRES anziché IRPEF risultava perfettamente in linea con la ratio del sistema impositivo reddituale.
Trust fiscalmente inesistente in caso di ingerenza dei beneficiari: la posizione dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate, nel pronunciare il proprio parere, non concordava con le conclusioni dell’istante ed evidenziava quanto segue.
Rileva l’Amministrazione finanziaria che nell’ordinamento interno, con la legge 27 dicembre 2006, n. 296, è stato modificato l’articolo 73 del TUIR, con l’inserimento del trust tra i soggetti passivi IRES, l’introduzione di specifici criteri per la determinazione della residenza del trust, nonché l’individuazione di criteri utili ad operare la distinzione, ai fini delle imposte dirette, del trust con “beneficiari individuati” (cosiddetto “trust trasparente”), da quello senza beneficiari individuati (cosiddetto «trust opaco»).
Affinché un trust possa essere qualificato soggetto passivo ai fini delle imposte sui redditi costituisce dunque elemento essenziale l’effettivo potere del trustee di amministrare e disporre dei beni a lui affidati dal disponente.
Nella circolare 27 dicembre 2010, n. 61/E, richiamando la precedente circolare 10 ottobre 2009, n. 43/E, sono state quindi individuate alcune tipologie di trust da ritenere inesistenti in quanto interposti, fra le quali, quelle in cui:
- il disponente o il beneficiario può far cessare liberamente il trust in ogni momento, generalmente, a proprio vantaggio o anche a vantaggio di terzi;
- il disponente o il beneficiario risulti, dall’atto istitutivo, ovvero da altri elementi di fatto, titolare di poteri in forza dell’atto istitutivo, in conseguenza dei quali il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione ed amministrazione del trust, non può esercitarli senza il suo consenso;
- ogni altra ipotesi in cui il potere gestionale e dispositivo del trustee, così come individuato dal regolamento del trust o dalla legge, risulti in qualche modo limitato, o anche semplicemente condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari.
In tali casi il trust si configura come struttura meramente interposta rispetto al disponente, al quale devono pertanto continuare ad essere attribuiti i redditi solo formalmente prodotti dal trust.
Ciò comporta che tali redditi saranno assoggettati a tassazione in capo al disponente, secondo i principi generali previsti per ciascuna delle categorie reddituali di appartenenza.
Tanto premesso, con riferimento al caso di specie, l’atto istitutivo del Trust, come visto, prevedeva che il Trustee creasse un “paniere reddituale” per ciascun “beneficiario lavoratore”.
Tuttavia, le disposizioni contenute nell’atto istitutivo del Trust, non si erano completamente realizzate, poiché il Trustee non aveva ancora costituito il “paniere reddituale” dedicato a ciascun beneficiario.
Dall’esame complessivo delle disposizioni dell’atto istitutivo emergeva del resto che gli obblighi e poteri di gestione del Trustee erano subordinati al preventivo consenso del Guardiano, con particolare riferimento a:
- possibilità di investire le disponibilità liquide del Trust non contabilizzate nei “panieri reddituali”;
- possibilità di modificare il profilo di rischio degli investimenti;
- nomina di procuratori speciali;
- alienazione delle partecipazioni incluse tra i beni in trust, o al compimento di atti dai quali derivasse la perdita del controllo o l’alienazione della Società, fintanto che non fosse decorso il “Periodo di Indisponibilità”.
In generale, il Guardiano poteva esprimere la propria opinione su qualsiasi attività del Trust, anche se non richiesto dal Trustee e quando una clausola dell’atto istitutivo disponeva che un potere del Trustee fosse sottoposto al suo consenso e non vi fosse nessun soggetto che rivestisse la qualifica di Guardiano, il Trustee non aveva attribuito quel potere.
Inoltre, il Trustee non poteva rimuovere i beneficiari, se non in casi gravi ed eccezionali, non poteva contrarre mutui, né poteva concedere garanzie di alcun genere sui beni in Trust e non aveva potere di anticipazione.
Il Trustee infine, come visto, poteva essere revocato, anche senza giusta causa, con il voto favorevole espresso da quei beneficiari lavoratori, a cui, complessivamente, nell’esercizio sociale precedente fosse stato assegnato almeno il 60 per cento dell’utile conseguito dalla Società in base alla “formula di riparto dividendi”.
E, ancora, qualora il Trustee cessasse dal proprio Ufficio per qualsiasi causa, alla nomina del suo successore avrebbe provveduto il Guardiano, a sua volta nominato e revocato dalla maggioranza dei “beneficiari lavoratori”.
Sebbene poi nell’istanza fosse stato dichiarato che il Trust era irrevocabile, la previsione che limitava il potere di estinzione anticipata del Trust da parte dei beneficiari con riferimento solo al “Periodo di Indisponibilità”, ammetteva comunque la possibilità che, trascorso tale periodo, i beneficiari potessero far cessare liberamente il Trust.
In conclusione, secondo l’Agenzia delle Entrate, sulla base di tali previsioni, seppur indirettamente attraverso il Guardiano, i “beneficiari lavoratori” potevano ingerirsi nella gestione del patrimonio del Trust, laddove, secondo la richiamata circolare, integra un’ipotesi di trust inesistente anche quella in cui il trustee non possa esercitare i suoi poteri senza il consenso dei beneficiari.
Circostanza che si verificava, sia pure indirettamente, anche nel caso di specie, atteso che, in molti casi, per l’operato del trustee era richiesto il parere o il consenso del Guardiano, che, per quanto detto, risultava, di fatto, non indipendente dai beneficiari.
In buona sostanza, il Trust in esame, secondo l’Agenzia delle Entrate, non poteva essere considerato validamente operante sotto il profilo fiscale e ciò comportava, come ribadito nella circolare n. 61/E del 2010, che i redditi formalmente prodotti dal Trust dovevano essere assoggettati a tassazione in capo al Disponente, secondo i principi generali previsti per ciascuna delle categorie reddituali di appartenenza.
Nel caso di specie, trattandosi di redditi derivanti dalla partecipazione in una S.a.s., gli stessi redditi dovevano quindi essere imputati per trasparenza in capo allo stesso Disponente, ai sensi dell’articolo 5 del TUIR.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Trust fiscalmente inesistente in caso di ingerenza dei beneficiari