Il complesso tema della tassazione dei centri trasmissione dati, CTD, che si occupano di raccolta di scommesse per conto di società estere al centro dell'Ordinanza della Corte di Cassazione numero 6761 del 2023
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza del 7 marzo 2023, n. 6761, è ancora tornata sul sempre complesso tema della tassazione dei cosiddetti Centri Trasmissione Dati, o “CTD”, che si occupano di raccolta di scommesse per conto di società estere.
Nel caso di specie la contribuente proponeva ricorso per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale aveva sostanzialmente confermato la legittimità dell’avviso con il quale l’Agenzia delle Dogane aveva accertato, nei confronti del CTD e della società estera, quale coobbligato in solido, la debenza, per l’anno 2011, dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse.
Tassazione centri trasmissione dati e raccolta scommesse sotto la lente di ingrandimento
Per quanto di interesse, con un primo motivo di impugnazione si deduceva la violazione e del Dlgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), per aver la CTR ritenuto integrato in capo al CTD il presupposto soggettivo dell’imposta.
Con una seconda censura si deduceva poi la violazione della L. n. 288 del 1988, art. 1, comma 2, lett. b e art. 112 c.p.c., per aver la CTR ritenuto integrato il presupposto territoriale dell’imposta.
Nell’esaminare le questioni unitariamente, la Suprema Corte rileva che le stesse sono già state oggetto di ripetuta e articolata disamina in sede di legittimità, a partire dalla sentenza n. 8757 del 30 marzo 2021, seguita da numerose altre (tra le tante, v. Cass. civ. nn. 8907-8911/2021, 9079-9081/2021, 9144-9153/2021, 9160/2021, 9162/2021, 9168/2021, 9176/2021, 9178/2021, 9182/2021, 9184/2021, 9160/2021, 9516/2021, 9528- 9537/2021, 9728-9735/2021; Cass. n. 17082/2022), le cui motivazioni i giudici condividono, sottolineando, peraltro, che il quadro normativo è stato sottoposto anche all’esame della Corte Costituzionale e della Corte di giustizia Europea, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni, rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale, fornendo chiari elementi per la soluzione degli ulteriori dubbi prospettati anche nel ricorso in discussione.
Tanto premesso, la Cassazione evidenzia che, con riferimento all’ambito soggettivo (di cui al secondo motivo) la Corte Costituzionale ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione del Dlgs. N. 504 del 1998, art. 3, per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio), ma ha riconosciuto che il legislatore, con la L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, ha poi espressamente stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio, esplicitando l’obbligo delle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione, al versamento del tributo e delle relative sanzioni, svolgendo anch’esse una attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione.
A tal proposito la Corte Costituzionale ha precisato che entrambi i soggetti (ricevitore e bookmaker) partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione.
In particolare, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker.
La incostituzionalità della norma in esame è stata quindi riscontrata dalla Corte solo per gli esercizi anteriori al 2011, ma non per i rapporti successivi al 2011. E questo non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma.
Con riferimento, poi, al presupposto territoriale del tributo, la Cassazione ricorda che è già stato precisato che non rileva la conclusione del contratto di scommessa, poichè il fatto imponibile è, come detto, la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731 del 2015), attività, queste, nella specie tutte svolte in Italia.
Infine la Suprema Corte rileva anche come non si potesse ravvisare nella fattispecie alcuna violazione degli artt. 49 e 56 del TFUE e dei principi unionali di parità di trattamento e di non discriminazione, laddove la linea difensiva seguita dai ricorrenti, più in particolare, si fondava sulla considerazione della natura sanzionatoria dell’intervento normativo di cui alla L. n. 220 del 2010, dovendo, a loro avviso, la disciplina in esso contenuta trovare applicazione solo con riferimento allo svolgimento di una attività di gioco illecita, e dunque non anche nei confronti dei ricorrenti.
Tassazione centri trasmissione dati e raccolta scommesse: la posizione della Corte di Cassazione
Tali considerazioni, secondo la Cassazione, non potevano però trovare accoglimento, dovendosi escludere qualsiasi discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, anche considerato che l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (punto 21 di Corte giust. in causa C-788/18).
La Corte rileva poi anche che, in generale, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale, costituiscono motivi imperativi d’interesse generale, idonei a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi.
Di conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07).
E il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64, i propri obiettivi, tra i quali “...l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”.
Né gli Stati membri hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che può risultare dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83).
In definitiva, la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione...”.
Quanto poi al centro trasmissione dati, il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il centro di trasmissione dati, che opera quale suo intermediario, risponde dell’imposta.
Ma ciò non toglie che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali sia diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro, laddove la diversità della situazione è in re ipsa per il fatto che il bookmaker estero è fuori dal sistema delle concessioni, che costituisce “...un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti” (Corte giust. 19 dicembre 2018, causa C- 375/17, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, punto 66, richiamata al punto 18 della sentenza in causa C-788/18, cit.).
In conclusione, tutte le suddette considerazioni rendevano priva di ogni fondamento l’asserita assimilazione dell’imposizione alle sanzioni, ipotizzandone una oggettiva finalità afflittiva, che, invece, è del tutto assente, attesa la riferibilità della pretesa ad ordinari, seppur specifici, meccanismi impositivi.
Il riconoscimento della natura non illecita dell’attività svolta dal bookmaker estero privo di concessione, del resto, rileva la Corte, non implica certo la sottrazione dello stesso, e della ricevitoria, dall’ambito della disciplina dell’imposta unica.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Tassazione centri trasmissione dati e raccolta scommesse