Sui servizi erogati presso un aeroporto vale la presunzione di commercialità e occorre applicare l'IVA
Da un ente pubblico che gestisce direttamente un aeroporto arriva il quesito sul trattamento IVA per i servizi resi.
Il regolamento dello stesso prevede che i proprietari di aeromobili debbano corrispondere delle tariffe a titolo di approdo/partenza, stazionamento sul piazzale scoperto – hangar e corrispettivo per altri servizi, come l’apertura anticipata o chiusura posticipata dell’aeroporto.
In relazione a tali importi, l’ente ha sollevato un dubbio interpretativo, in ordine alla assoggettabilità o meno ad Iva degli stessi.
La fattispecie e la disciplina IVA: il presupposto oggettivo
La questione posta impone la verifica dei requisiti per l’applicazione dell’Iva.
Assunto sussistente il presupposto territoriale, con riferimento al presupposto oggettivo, l’articolo 3 del citato d.P.R. prevede al comma 1 che “costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazione di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”.
La disposizione è conforme ai principi dettati con le disposizioni contenute nella direttiva n. 2006/112/CE del 2006 (Titolo I articolo 2, Titolo IV articoli 24 e seguenti); al riguardo, la Corte di Giustizia UE, nel definire l’ambito oggettivo di applicazione dell’Iva, ha precisato che “la possibilità di qualificare una prestazione di servizi come operazione a titolo oneroso presuppone unicamente l’esistenza di un nesso diretto tra tale prestazione e un corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo. Tale nesso diretto esiste qualora tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario” (cfr. sentenze 26 settembre 2013 causa C-283/12; 22 giugno 2016 causa C-11/15. In tal senso anche sentenze della stessa Corte di Giustizia 23 marzo 2006 causa C-210/04; 3 marzo 1994 emessa nella causa C-16/93).
Sostanzialmente, il presupposto oggettivo si ravvisa ogniqualvolta sussiste una correlazione tra attività finanziata ed erogazione di denaro; di conseguenza, in caso contrario il medesimo presupposto deve considerarsi escluso.
Nel caso di specie il requisito oggettivo è integrato.
Il presupposto soggettivo: la disciplina dell’articolo 4 del DPR n. 633 del 1972
Con riferimento al presupposto soggettivo, l’articolo 4 del suddetto d.P.R. n. 633 del 1972, al primo comma prevede che “per esercizio di imprese si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli articoli 2135 e 2195 del Codice civile, anche se non organizzate in forma d’impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma d’impresa, dirette alle prestazioni di servizi che non rientrano nell’articolo 2195 del Codice civile”.
Lo stesso articolo 4 prevede che per gli enti pubblici e privati “che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole, si considerano effettuate nell’esercizio di imprese soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di attività commerciali o agricole” (comma 4) e che non si considerano commerciali “le operazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti di diritto pubblico nell’ambito di attività di pubblica autorità” (comma 5).
Con riferimento agli enti pubblici, sulla base di quanto previsto dall’articolo 13, paragrafo 1, della citata direttiva n. 2006/112/CE del 2006, le attività poste in essere nella “veste di pubblica autorità” non sono rilevanti agli effetti dell’Iva, sempre che il loro non assoggettamento possa provocare distorsioni di concorrenza di una certa importanza.
Viene, quindi, prevista una deroga ai principi generali di applicazione del tributo, al verificarsi di determinate condizioni. In particolare, da quanto emerge sia dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (cfr. sentenze C-72/13 del 20 marzo 2014; C-604/19 del 25 febbraio 2021), che è stata chiamata a interpretare il concetto di “pubblica autorità”, sia da quella della Corte di Cassazione (cfr. da ultimo, le sentenze n. 26208 del 28 settembre 2021; n. 28558 del 18 ottobre 2021; n. 4835 del 15 febbraio 2022; n. 6066 del 24 febbraio 2022), sono riconducibili tra le attività svolte in veste di pubblica autorità quelle fondate su un rapporto di diritto pubblico (“iure imperi”), mentre sono da ricondurre tra le attività di natura commerciale quelle fondate su rapporti di carattere privatistico.
A tal proposito, la giurisprudenza unionale ha chiarito che non assumono rilievo l’oggetto e lo scopo dell’attività (cfr. sentenza del 14 dicembre 2000, causa C-446/98), quanto piuttosto le modalità di esercizio dell’attività.
Occorre quindi accertare se gli stessi enti agiscano nella veste, loro propria, di soggetti di diritto pubblico o in quella di diritto privato, cioè alle condizioni giuridiche proprie degli operatori economici privati, secondo il regime giuridico applicato in base al diritto nazionale (in tal senso v. risoluzioni n. 348/E del 2008; n. 122/E del 2009 e n. 139/E del 2010).
Sul tema, la Suprema Corte, nella recente pronuncia 2 dicembre 2021, n. 37951, ha chiarito che “Il fatto che l’attività persegua uno scopo d’interesse generale, persino nell’esercizio di funzioni conferite e regolamentate dalla legge, è irrilevante per valutare se tale attività si traduca in prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso” (Corte giust. causa C-263/15, Lajvér, punto 42).
Pertanto, alla luce del quadro di riferimento richiamato, nel caso di un’attività resa da un Comune è necessario stabilire in primo luogo se la stessa sia realizzata nella sua veste autoritativa poiché, in tal caso, sempre che il mancato assoggettamento all’IVA non provochi distorsioni della concorrenza di una certa importanza, non integrandosi in capo al medesimo ente il requisito soggettivo, l’operazione è esclusa dall’ambito applicativo del tributo.
Diversamente, se nello svolgimento dell’attività non si rinviene in capo al Comune la veste di pubblica autorità è necessario accertare se il medesimo ente svolga o meno un’attività economica (rectius d’impresa), ai sensi delle disposizioni nazionali (articolo 4 del d.P.R. n. 633 del 1972) e unionali (cfr. articolo 9 della Direttiva n. 112/2006/CE).
In particolare, ai sensi dell’articolo 9 della predetta Direttiva “si considera “soggetto passivo” chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività”.
Tuttavia, il quadro normativo e giurisprudenziale enunciato assume rilevanza in presenza di attività non riconducibili ad alcune attività espressamente menzionate dal medesimo comma 5 del richiamato articolo 4, per le quali invece vale una presunzione di commercialità.
Al riguardo, tra tali attività figura quella avente ad oggetto i servizi portuali ed aeroportuali, come si ricava dal tenore letterale della citata norma per cui “Agli effetti delle disposizioni di questo articolo sono considerate in ogni caso commerciali, ancorché esercitate da enti pubblici, le seguenti attività: h) “servizi portuali e aeroportuali””.
Nel caso di specie, le somme sono dovute in relazione ai servizi aeroportuali di cui all’articolo 4, comma 5, lettera h) del DPR n. 633 del 1972, per i quali come precisato, vi è una presunzione di commercialità.
Si tratta infatti di somme dovute per i servizi di approdo/partenza, stazionamento sul piazzale scoperto hangar e apertura anticipata o posticipata dell’aeroporto dai proprietari degli aeromobili che beneficiano di tali servizi.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: I servizi resi in un aeroporto sono soggetti ad IVA