Ristretta base societaria: se il socio vuole superare la presunzione di evasione, deve fornire adeguata prova che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente distribuiti, perché accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 37193 del 29 novembre 2021.
In tema di accertamento nei confronti di una società a ristretta base sociale, composta da familiari o da collaboratori stretti, è legittima la presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili.
Se il socio vuole superare la presunzione di evasione deve fornire idonea prova che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente distribuiti, perché accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non limitandosi a rilevare che la società ha chiuso il periodo accertato in perdita civilistica.
Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 37193 del 29 novembre 2021 in tema di accertamento nei confronti di società di capitali a ristretta base partecipativa.
La sentenza – La vicenda prende le mosse dal ricorso proposto dal socio di una società di persone a ristretta base sociale avverso un avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette emanato dall’Agenzia delle entrate a seguito della ricostruzione presuntiva dei ricavi in capo alla società.
Il giudizio è giunto in dinanzi alla CTR che, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello del contribuente rilevando che la presunta distribuzione degli utili ai soci fosse priva di indizi gravi, precisi e concordanti.
L’Amministrazione finanziaria ha censurato la sentenza deducendo, per quanto di interesse, violazione e falsa applicazione degli artt. 5 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917, 2697 e 2729 c.c., 38 e 41 bis del DPR 29 settembre 1973, n. 600.
Nel caso di specie l’Agenzia delle entrate aveva emesso un accertamento presuntivo con cui aveva contestato i corrispettivi dichiarati dalla società in occasione della vendita di diciassette unità immobiliari, così rideterminando i ricavi dichiarati dalla medesima.
Successivamente l’Ufficio ha provveduto ad eseguire l’accertamento nei confronti del ricorrente contestando maggiori redditi da partecipazione nella misura proporzionale alla sua quota sociale.
In tema di accertamento delle imposte sui redditi nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, la Corte di cassazione è concorde nell’affermare la legittimità della presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati in capo all’ente.
Il socio-contribuente ha sempre facoltà di offrire la prova contraria dimostrando che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente distribuiti, perché accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, “non essendo tuttavia a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili”.
Affinché la presunzione operi non è necessario che i soci siano tra loro parenti perché la ristrettezza della base sociale implica di per sé un elevato grado di compartecipazione dei soci, e dunque la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell’esistenza di utile extrabilancio.
Quello che rileva ai fini di cui si discute dunque è la ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria che i ricavi extracontabili non siano stati distribuiti tra i soci.
In altre parole è la forma organizzativa “ristretta” ad essere indizio grave e preciso ai fini della configurabilità delle presunzioni semplici ex art. 2729 cod.civ. Se quindi il contribuente onerato non riesce a fornire la prova contraria, la presunzione di evasione deve ritenersi confermata e la maggiore pretesa fiscale legittima.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Ristretta base societaria: legittimo l’accertamento sul socio senza prova contraria