Partendo da un avviso di accertamento IRAP, la Corte di Cassazione si è soffermata sulla rilevanza, non solo formale, del principio di competenza. I dettagli nell'Ordinanza numero 13909/2022.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 14909/2022, ha chiarito la rilevanza, non solo formale, del principio di competenza.
Nel caso di specie, la contribuente proponeva ricorso avverso un avviso di accertamento per IRAP, in relazione all’anno d’imposta 2009.
L’Ufficio riteneva che la contribuente, esercente l’attività di costruzione, avesse omesso di contabilizzare, nell’anno d’imposta 2009, dei ricavi riferibili ad acconti versati dai committenti nel 2007 e 2008, a fronte della realizzazione di unità abitative ultimate nell’anno oggetto di controllo.
I fatti dell’Ordinanza n. 14909 del 2022 sulla rilevanza del principio di competenza
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, con sentenza poi confermata anche dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale, sul metodo di contabilizzazione delle somme incassate a titolo di acconto e sulla applicabilità dell’art. 109 del Dpr. n. 917 del 1986, osservava che le somme che l’Ufficio voleva recuperare per il 2009 erano state già fatturate, contabilizzate e dichiarate negli anni 2007 e 2008 e, pertanto, anche se tale comportamento non soddisfaceva il principio contabile OIC 23, pubblicato il 16 settembre 2015 e vigente alla data di contabilizzazione delle operazioni in questione, l’adesione alla tesi dell’Amministrazione avrebbe determinato una illegittima doppia imposizione.
L’Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del Dpr. n. 917 del 1986, stante l’inderogabilità del principio contabile di competenza.
Il motivo di impugnazione, secondo la Suprema Corte, era fondato.
Evidenziano i giudici di legittimità che, in tema di reddito d’impresa, ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza al quale vanno temporalmente imputati i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi del reddito, l’art.109 del Tuir - secondo cui i ricavi, i costi e gli altri oneri concorrono a formare il reddito dell’esercizio di competenza a condizione che la loro esistenza o il loro ammontare sia determinabile in modo oggettivo - mira a contemperare la necessità di computare tutte le componenti dell’esercizio di competenza con l’esigenza di non addossare al contribuente un onere troppo difficile da rispettare, sicché tale regola va interpretata nel senso che il dovere di conteggiare dette componenti nell’anno di riferimento si arresta soltanto di fronte a quei ricavi e a quei costi che non siano ancora noti all’atto della determinazione del reddito, e cioè al momento della redazione e presentazione della dichiarazione (cfr., Cass. n. 36600 del 2021).
In tema di imposte sul reddito di impresa, ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza al quale vanno temporalmente imputati i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi del reddito, ai sensi dell’art.109 cit, deve dunque tenersi conto del momento in cui si verificano le due condizioni della “certezza”, in ordine alla sussistenza, e della “determinabilità”, in ordine all’ammontare, della cui prova è onerata l’Amministrazione finanziaria con riguardo ai componenti positivi, e il contribuente con riguardo ai componenti negativi (cfr., Cass. n. 19166 del 2021).
In tema di reddito d’impresa, rileva la Cassazione, le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dal Tuir, sono dunque inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, così da alterare il risultato della dichiarazione.
Né l’applicazione di detto criterio implica, di per sé, la conseguenza della doppia imposizione, che è evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggior imposta, la quale è proponibile, nei limiti ordinari della prescrizione ex art. 2935 c.c., a far data dal formarsi del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione alla annualità non di competenza (cfr., Cass. n. 18035 del 2021).
In tema di determinazione del reddito d’impresa, pertanto, aggiunge ancora la Corte, nel testo ante riforma 2004 (art. 75 del Dpr. 917/86), applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, costituiva principio inderogabile quello a mente del quale possono essere indicati nel bilancio esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura di esercizio, tenendosi conto, ai sensi dell’art. 2423 bis, comma 1, nn. 2 e 3, c.c., dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento, restando irrilevante la dichiarazione di sopravvenienze attive in diverso esercizio (cfr., Cass. n. 4398 del 2020).
La norma non consente quindi di attribuire rilievo alla data in cui perviene la fattura della spesa sostenuta, né permette la detrazione dei costi in esercizi diversi da quello di competenza, non potendo il contribuente essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività, in quanto l’imputazione di un determinato costo ad un esercizio anziché ad un altro può, in astratto, comportare l’alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi (cfr., Cass. n. 18401 del 2018).
La sentenza della Commissione Tributaria Regionale non si era attenuta ai suddetti principi, laddove - affermando che sul metodo di contabilizzazione delle somme incassate a titolo di acconto e sulla applicabilità dell’art. 109 del Tuir, le somme che l’Ufficio voleva recuperare per il 2009 erano state già fatturate, contabilizzate e dichiarate negli anni 2007 e 2008 e pertanto, anche se tale comportamento non soddisfaceva il principio contabile OIC 23, l’adesione alla tesi dell’Ufficio avrebbe determinato una illegittima doppia imposizione - per un verso, aveva erroneamente attribuito rilevanza alla circostanza che gli acconti fossero stati già fatturati, contabilizzati e dichiarati in anni precedenti rispetto a quello di competenza, dovendosi invece avere riguardo alla data della consegna del bene, e, per un altro verso, aveva erroneamente considerato derogabili i principi in materia di bilancio, ritenendo che il contribuente potesse liberamente optare per il principio di cassa anziché per quello di competenza.
Per un altro verso, ancora, i giudici di appello avevano infine ritenuto che l’applicazione del principio di competenza implicasse necessariamente una doppia imposizione, le cui conseguenze, rileva la Corte, sono invece evitabili dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggior imposta.
In conclusione, a prescindere dallo specifico caso processuale, in termini più generali, si può anche evidenziare quanto segue.
Focus sul principio di competenza
L’art.109, co.1, stabilisce che “I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme della presente sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni”.
Il principio di competenza consiste dunque nel prendere in considerazione, ai fini impositivi, non il periodo in cui il costo è stato assolto, ma quello nel quale è sorto l’obbligo al sostenimento dell’onere (o il diritto al conseguimento del ricavo, nel caso di componenti positivi).
Tale criterio però non ha valenza assoluta e la sua prima deroga si trova già nel comma 1 dell’articolo 109 del Tuir, il quale dispone che, se nell’esercizio di competenza i componenti positivi e negativi di reddito sono incerti nell’esistenza e non obiettivamente determinabili nell’ammontare, questi debbono essere comunque computati nell’esercizio in cui tali condizioni si verificheranno, cioè quando saranno certi nell’an e nel quantum, laddove dunque la certezza riguarda l’incontrovertibilità dell’esistenza del costo e l’oggettiva determinabilità riguarda invece l’incontrovertibilità della sua quantificazione.
E se è vero che il costo (o il ricavo) si considera certo quando la sua esistenza si sia effettivamente verificata nell’esercizio di competenza, è però anche vero che lo stesso costo (o ricavo) si considera oggettivamente determinabile non solo quando si conosca esattamente il suo importo, ma anche quando si conoscano semplicemente le sue modalità di determinazione, in quanto per esempio desumibili da documenti formali (vedi contratti ecc.).
Non bisogna quindi radicalizzare il concetto di certezza, altrimenti si rischierebbe di giungere all’eccesso di ritenere raggiunta la certezza (e determinabilità) del costo (o ricavo) soltanto al momento del pagamento, finendo così, in realtà, per sposare l’opposto principio della cassa.
Conseguentemente, la certezza non può essere intesa, in senso materiale, come effettiva variazione numeraria, ma piuttosto in senso giuridico: la componente reddituale è certa cioè quando fondata sull’esistenza di un titolo produttivo di effetti giuridici esistente alla chiusura del periodo d’imposta e/o al termine di presentazione della dichiarazione relativa a tale periodo.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: La rilevanza del principio di competenza