Quali sono i presupposti affinché sia legittima la contestazione di esterovestizione? Sul tema si sofferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14485 del 2024
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14485/2024, ha risolto un contenzioso in tema di esterovestizione (ai fini dell’imposta di registro), chiarendo quali sono i presupposti in presenza dei quali tale tipo di contestazione è legittima.
Nel caso di specie, la contribuente, cittadina americana, aveva acquistato con scrittura privata autenticata, nel 2011, da una Srl, per il prezzo di 3.105.637,63 euro. Un immobile a Forte dei Marmi, che, nel 2014, aveva poi conferito in una società di diritto inglese, con sede ad Edimburgo, al fine di liberare un aumento di capitale di 3.000.000 euro.
La stessa contribuente stipulava poi in Italia il verbale di deposito dell’atto di conferimento, per consentire le relative trascrizioni immobiliari. Quest’atto veniva registrato presso l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di Milano, con versamento dell’imposta ipotecaria e catastale in misura proporzionale (2 per cento e 1 per cento) e dell’imposta di registro in misura fissa (200 euro), come previsto dall’art. 4, nota IV, parte I, lett. a) della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986.
Contestazione di esterovestizione: il caso analizzato
L’Agenzia delle Entrate notificava, nel 2017, avviso di liquidazione della maggiore imposta di registro, contestando l’applicazione dell’imposta nella misura fissa e pretendendo il pagamento nella misura proporzionale, sul rilievo che la società inglese era un puro artificio, in quanto priva di struttura e operatività, con conseguente effettiva titolarità dei beni in capo alla contribuente, su cui gravava, solidalmente con la società, la maggiore imposta di registro richiesta ai coobbligati.
La Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso, evidenziando l’insussistenza dei presupposti per beneficiare dell’agevolazione fiscale, essendo la conferitaria una società artatamente costituita.
La Commissione Tributaria Regionale accoglieva invece l’appello dei contribuenti, rilevando che le parti appellanti avevano prodotto tutta una serie di documenti idonei a dimostrare oltre alla costituzione anche l’effettiva operatività della società britannica.
Secondo la CTR, le operazioni di conferimento avevano, in sostanza, lo scopo di capitalizzare la società inglese, al fine di consentirne l’operatività nel settore immobiliare, in linea con il suo oggetto e scopo sociale. Concludevano dunque i giudici di appello evidenziando come ci fossero elementi e circostanze tali da far presumere, con certezza, precisione e concordanza, che si trattasse di un effettivo conferimento, essendo la società la vera ed effettiva proprietaria degli immobili.
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per Cassazione, deducendo la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. con riferimento alla mancanza di gravità, precisione e concordanza delle circostanze indiziarie che la CTR aveva posto a base del suo ragionamento presuntivo, omettendo, tra l’altro, questa di considerare: il breve lasso di tempo intercorrente tra la costituzione della Società e la delibera di aumento del capitale; il mancato svolgimento da parte della Società di qualsivoglia attività economica; la mancata conclusione di contratti di locazione e il godimento dell’immobile, da parte della conferente, anche a seguito della stipula dell’atto di conferimento (come comprovato dalla intestazione delle utenze e dal perfezionamento delle notifiche presso il medesimo immobile).
Secondo la Suprema Corte la censura era fondata.
Presupporti per la contestazione di esterovestizione: il giudizio della Corte di Cassazione
Evidenziano i giudici di legittimità che l’Amministrazione finanziaria aveva correttamente escluso l’applicabilità dell’agevolazione prevista dalla nota IV all’articolo 4 della Tariffa, parte I, allegata al TUR, in base alla quale l’imposta di registro si applica in misura fissa per gli atti di conferimento di beni immobili a favore di società con sede legale o amministrativa in un altro Stato membro dell’Unione Europea.
La previsione si confronta infatti con i principi affermati con la Direttiva comunitaria del 12 febbraio 2008, n. 7, concernente le imposte indirette sulla raccolta dei capitali (nota come Direttiva “capital duty”), la quale, al fine di rimuovere alcuni fattori di ostacolo alla libera circolazione nel mercato interno, afferma, in generale e salvo deroghe espressamente previste, il divieto di assoggettare le società di capitali a qualsiasi forma di imposta indiretta sui conferimenti e sulle operazioni individuate all’art. 5 della stessa direttiva, salvo poi consentire, ai sensi dei successivi artt. 7 ed 8, il mantenimento di una “imposta sui conferimenti” se già in vigore al 1° gennaio 2006.
In base a tale regime agevolativo, rileva la Cassazione, al fine di evitare l’abuso del diritto di stabilimento, i conferimenti sono dunque tassabili esclusivamente nello Stato membro nel cui territorio si trova la sede della direzione effettiva della società di capitali al momento dell’operazione.
La Corte richiama quindi, al riguardo, una recente sua Ordinanza (Cass., n. 5537/2023), pronunciata in analoga fattispecie, con la quale è stata affermata la legittimità del:
“disconoscimento, da parte dell’Agenzia delle Entrate, dello stabilimento della sede legale della società a Londra, la cui previsione è stata ritenuta del tutto fittizia e strumentale a conseguire un indebito vantaggio tributario, in assenza di alcun collegamento effettivo della società con lo Stato estero, in cui non sussistono né uffici né personale e non è svolta alcuna operazione o attività. Ricorre, pertanto, la cd. fattispecie della esterovestizione configurabile allorché una società, la quale ha nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione, da intendersi come luogo in cui si svolge in concreto la direzione e gestione dell’attività di impresa e dal quale promanano le relative decisioni, localizzi la propria residenza fiscale all’estero al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa (Sez. 5, n. 16697 del 21/06/2019, Rv. 654687 - 01).”
Sempre riguardo al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, la Suprema Corte rileva del resto come sia stato già anche evidenziato “che, in tema di libertà di stabilimento, la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà”, e tuttavia, poiché “l’obiettivo della libertà di stabilimento è di permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le proprie attività e di partecipare così, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio di origine e di trarne vantaggio”, la nozione di stabilimento non può che implicare “l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata, mercé l’insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro: presuppone, pertanto, un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale” (Cass., n. 33324/2018).
La Corte, anche recentemente (Cass., n. 3386/2024), ha peraltro osservato che nel valutare le ipotesi di esterovestizione occorre tenere presente che, ai sensi del comma 3 dell’art. 73 del TUIR, “si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato” e ancora:
“che, per costante giurisprudenza di questa Corte, la “sede dell’amministrazione”, in quanto contrapposta a quella “legale”, che rispetto ad essa costituisce criterio di collegamento paritetico e alternativo, va considerata coincidente con la “sede effettiva” della società, intesa, in senso civilistico, come il luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative e di direzione della società e dove si convocano le assemblee, e cioè come il luogo deputato o stabilmente utilizzato per l’accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari, in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente (cfr. Cass. n. 1544/2023, Cass. n. 23150/2022, Cass. n. 11710/2022, Cass. n. 24872/2020, Cass. n. 15184/2019).”
La stessa Corte (Cass., n. 3386/2024 cit.) ha, poi, sottolineato:
“che il contrasto del fenomeno dell’esterovestizione societaria assume valenza di principio generale dell’ordinamento applicabile non soltanto alle imposte sui redditi (nel cui testo unico sono inserite quali l’art. 73, comma 3 e comma 5- bis che prevedono presunzioni), ma anche alle imposte indirette, trovando il suo fondamento nel diritto tributario europeo, nel dovere costituzionale di partecipare alla spesa pubblica e nelle regole di derivazione UE e OCSE (cfr. Cass. n. 2869/2013).”
E allora, concludono i giudici, per determinare il luogo della sede dell’attività economica e dell’amministrazione di una società, intesa civilisticamente come luogo “dal quale partono gli impulsi gestionali e le direttive amministrative”, occorre prendere in considerazione un complesso di fattori non adeguatamente valutati invece nella decisione impugnata, non avendo la CTR correttamente vagliato l’esistenza degli indici di esterovestizione, come desumibili dal complessivo esame di tutti gli elementi indiziari acquisiti agli atti di causa, da esaminare nel loro insieme e non atomisticamente.
Il giudice di merito che fonda il ragionamento presuntivo su fatti storici privi di gravità o di precisione o di concordanza, così sussumendo sotto l’art. 2729 cod. civ. circostanze prive di quelle caratteristiche, incorre dunque in una sua falsa applicazione (cfr., Cass. Sez. U., n. 17857/2018), non potendo l’accertamento, nel caso concreto, dell’artificiosità della collocazione estera di una società essere limitato all’esame dei documenti riguardanti il formale stabilimento della società all’estero, in sé privo di decisività, atteso che cosa diversa è la reale operatività del soggetto giuridico.
La Corte di Cassazione conclude quindi rilevando come sia in tali casi sempre necessario l’accertamento, puntuale, in concreto e caso per caso, della artificiosità della collocazione estera della società (cfr., Cass. n. 2869/2013; n. 5924/2024).
Presupporti per la contestazione di esterovestizione: la norma giurisprudenziale
Al di là dello specifico caso processuale, in termini generali, giova anche evidenziare che, ferma l’inoperatività della presunzione legale relativa di cui all’art. 73, comma 5-bis, TUIR, anche in caso di recupero su imposta di registro, laddove l’Amministrazione contesti l’esterovestizione di uno dei soggetti del rapporto deve esserci sempre una valutazione, prima analitica e poi globale, degli elementi indiziari raccolti, con conseguente spostamento sui contribuenti dell’onere della prova contraria (cfr., Cass., 06/02/2024, n. 3386).
In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto del resto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi:
- in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari, per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una almeno potenziale efficacia probatoria;
- successivamente, va fatta poi una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che, magari, non potrebbe invece dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente solo uno o alcuni di essi.
In definitiva, quel che rileva, ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento non è tanto accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, quanto se l’operazione sia meramente artificiosa (wholly artificial arrangement), consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Presupposti per la contestazione di esterovestizione