Non è retroattiva la norma di contrasto ai paradisi fiscali: la presunzione di redditi sottratti a tassazione per le attività detenute all'estero in maniera illecita non ha efficacia, dal momento che una interpretazione differente potrebbe pregiudicare il diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta di conservare un tipo di documentazione utile al superamento della presunzione
Nelle ultime settimane si è tornato a discutere con maggiore frequenza del tema relativo al contrasto ai paradisi fiscali.
Soprattutto perché, com’è noto, il tema si presenta sempre più foriero di ingiustizie ed iniquità, non solo a livello italiano ma europeo e globale.
La presunzione di redditi sottratti a tassazione per le attività illecitamente detenute all’estero, in particolare, non ha efficacia in quanto una differente interpretazione potrebbe pregiudicare il diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta di conservare un certo tipo di documentazione necessaria al superamento della presunzione.
Questa è la posizione di ampia giurisprudenza, come nel caso della datata ma sempre attuale Ordinanza numero 9118/2020 della Corte di Cassazione.
Irretroattività delle norme di contrasto ai paradisi fiscali: analisi di un caso pratico
La controversia attiene al ricorso proposto da un contribuente avverso una serie di avvisi di accertamento per gli anni dal 2005 al 2009, con cui l’Agenzia delle entrate aveva applicato in via retroattiva la presunzione di redditi evasi, riferiti a investimenti e attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, prevista dall’art. 12, co. 2 del d.l. n. 78 del 2009.
Il ricorso è stato respinto dalla CTP e dalla CTR e avverso tale decisione il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, contestando l’applicazione retroattiva delle disposizioni dell’art 12 del d.1. n.78/09.
La Corte di cassazione ha dichiarato il motivo fondato cassando la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha disposto l’annullamento dell’avviso di accertamento.
In materia di redditi sottratti a tassazione l’art. 12, co. 2 del D.L. 78/2009, norma di contrasto ai paradisi fiscali, prevede che, in deroga a qualsiasi disposizione di legge, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti in Stato o territori a fiscalità privilegiata in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale di cui al D.L. n. 167/1990, si presumono costituiti, salvo prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione in Italia.
La controversia riguarda l’ambito temporale di applicazione dell’art. 12 e, più precisamente, la possibilità di applicare la presunzione e il meccanismo del raddoppio dei termini a fattispecie che si siano verificate, come nel caso di specie, in data anteriore al 2009, anno di entrata vigore della disposizione.
La problematica è molto dibattuta in dottrina e giurisprudenza, divisa sull’interpretazione fornita dall’Agenzia delle entrate, secondo cui la norma ha natura procedimentale perché non determinerebbe una modifica sostanziale della posizione soggettiva del contribuente, riguardando solo il procedimento applicativo del tributo.
La Corte di cassazione, con la decisione in commento, ha ribadito il proprio orientamento, oramai costante, riconducendo l’art. 12 del D.L. n. 78/2009 tra le norme di natura sostanziale che, in quanto tale “non ha efficacia retroattiva, in quanto non può attribuirsi alla stessa natura processuale, essendo le norme in tema di presunzioni collocate, tra quelle sostanziali, nel codice civile, ed inoltre perché una differente interpretazione potrebbe - in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.- pregiudicare l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione (Cass 2662 del 2018 e Cass 27845 del 2018)”.
Da qui l’accoglimento del ricorso e l’annullamento degli avvisi di accertamento.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Irretroattiva la norma di contrasto ai paradisi fiscali