Licenziamento nullo: il motivo ritorsivo comporta l'obbligo di reintegrazione del lavoratore solo quando è stato esclusivo e determinate per il recesso. Lo conferma la Corte di Cassazione con la sentenza numero 1514 del 25 gennaio 2021.
Licenziamento nullo: il motivo ritorsivo determina l’obbligo di reintegrazione del lavoratore solo quando è esclusivo e determinante, ossia quando sia stato l’unico a causare il recesso.
La Corte di Cassazione si è pronunciata sul punto con la sentenza numero 1514 del 25 gennaio 2021 ed ha specificato che i motivi di vendetta del datore di lavoro rendono nullo il licenziamento solo quando non vi siano altre motivazioni legittime.
Si può parlare, infatti, di licenziamento illecito con obbligo di reintegrazione (articolo 18 Statuto dei Lavoratori) in quanto ritorsivo solo quando l’interruzione del rapporto di lavoro sia basata unicamente su un’ingiusta e arbitraria reazione del datore di lavoro a un comportamento legittimo del dipendente.
Il motivo ritorsivo, in buona sostanza, deve essere esclusivo e determinante perché in sua assenza, secondo un ragionamento a contrario, il licenziamento non ci sarebbe stato.
Licenziamento nullo: il motivo ritorsivo deve essere unico e determinante
La sentenza numero 1514 del 25 gennaio 2021 si è espressa in tema di licenziamento nullo perché fondato su un ingiustificato motivo oggettivo.
Prima di entrare nel merito della questione è indispensabile, però, avere chiara la differenza che intercorre tra licenziamento per giusta causa e giustificato motivo.
In linea generale, il datore di lavoro può avvalersi del licenziamento per giusta causa (articolo 2119 del Codice Civile) in presenza di fatti così gravi da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Viceversa, il licenziamento per giustificato motivo avviene per un inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore o per esigenze a lui estranee (per esempio il fallimento dell’azienda).
La giusta causa deriva da una trasgressione o una inadempienza da parte del lavoratore tale da compromettere il rapporto di fiducia instauratosi con il datore di lavoro.
In quest’ultima ipotesi si può assistere ad un licenziamento senza preavviso.
Il giustificato motivo, invece, ha un carattere meno grave e si distingue, come anticipato, in oggettivo e soggettivo e, in ogni caso, è subordinato ad un preavviso.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo avviene nei casi seguenti:
- considerevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore;
- ritardi sistematici sul posto di lavoro da parte del dipendente;
- carcerazione preventiva del dipendente;
- detenzione per condanna passata in giudicato;
- assenza per malattia prolungata o superamento del “comporto” (cioè il periodo in cui non si può licenziare un lavoratore assente per malattia per un periodo massimo stabilito dal CCNL, “eccessiva morbilità o superamento del periodo di comporto”);
- inidoneità fisica del lavoratore.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo avviene in caso di:
- riduzione di personale da parte dell’azienda;
- impossibilità di trasferire i cantieri altrove a fine lavori o nella fase lavorativa per il settore dell’edilizia;
- soppressione del posto di lavoro per fine lavorazione quando il lavoratore licenziato non possa essere riutilizzato in altro settore aziendale (repechage);
- fallimento o liquidazione dell’azienda;
- cessazione attività dell’azienda o di una sua filiale;
- soppressione del posto di lavoro perché antieconomico;
- riorganizzazione dell’azienda per una gestione più economica;
- altro motivo previsto dal CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro).
Licenziamento per giustificato motivo: la disciplina in materia contrattuale
La pronuncia del 25 gennaio 2021, che interviene a conferma della giurisprudenza di legittimità, si è espressa in tema di licenziamento nullo poiché ritorsivo sulla base della corretta applicazione dell’articolo 1345 del Codice Civile che definisce il motivo illecito.
L’articolo 1345, infatti, prevede quanto segue:
“Il contratto illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe”.
La norma richiamata, che si riferisce alla materia contrattuale, si applica anche al licenziamento che non è altro che una manifestazione di volontà contrattuale in quanto recesso dal contratto di lavoro.
Ecco, quindi, che gli Ermellini hanno ribadito che, in tema di licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito deve essere:
- determinante, cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso;
- esclusivo, nel senso che il motivo lecito che il datore di lavoro sostiene in giudizio deve risultare “insussistente nel riscontro giudiziale”.
Ai fini dell’applicazione della tutela prevista dall’articolo 18, comma 1 della legge 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori) sarà necessario che il giudice accerti la non esistenza del motivo legittimo.
In estrema sintesi, il motivo illecito è esclusivo quando costituisce l’unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dal motivo formalmente addotto.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Licenziamento nullo: il motivo ritorsivo deve essere unico e determinante