Lavoratori impatriati, per l'accesso all'agevolazione si deve rispettare il requisito della discontinuità tra il precedente lavoro e quello successivo al rientro in Italia. Lo spiega la risposta all'interpello numero 159 del 28 marzo 2022 dell'Agenzia delle Entrate. Il documento di prassi chiarisce le condizioni che verificano la continuità e fanno perdere il regime speciale.
Lavoratori impatriati, la discontinuità con il precedente lavoro dipendente è tra i requisiti per l’accesso all’agevolazione.
A chiarirlo è la risposta all’interpello numero 159 del 28 marzo 2022 dell’Agenzia delle Entrate.
Per l’accesso al regime speciale il dipendente non deve essere stato residente in Italia per i due periodi di imposta precedenti al trasferimento, deve trasferire la propria residenza nel territorio italiano e deve svolgere l’attività prevalente in tale territorio.
Non possono beneficiare dell’agevolazione i lavoratori per cui si verifica la continuità con la posizione lavorativa precedente.
Il documento di prassi spiega quali sono i parametri per verificare il requisito in questione.
Lavoratori impatriati, la discontinuità del lavoro dipendente è tra i requisiti per l’agevolazione
La risposta all’interpello numero 159 del 28 marzo 2022 dell’Agenzia delle Entrate ha come oggetto il regime speciale dei lavoratori impatriati.
- Agenzia delle Entrate - Risposta all’interpello numero 159 del 28 marzo 2022
- Interpello articolo 11, comma 1, lettera a), legge 27 luglio 2000, n. 212 - Regime speciale per lavoratori impatriati - articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 - attività lavorativa prestata all’estero in posizione di distacco.
Il documento di prassi fornisce chiarimenti sui requisiti da rispettare per avere accesso all’agevolazione.
Lo spunto nasce da un caso concreto, quello di una società italiana, il cui dipendente ha lavorato per un periodo all’estero per una società consociata francese. Nel periodo di permanenza all’estero la società ha vissuto una radicale riorganizzazione e il dipendente verrà inquadrato come Quadro, in virtù dell’esperienza maturata all’estero.
Prima di fornire le opportune delucidazioni, l’Agenzia delle Entrate richiama il quadro normativo di riferimento.
Ad introdurre il regime speciale per lavoratori impatriati è l’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, modificato dal decreto Crescita.
L’agevolazione si applica a partire dal 30 aprile 2019 per i lavoratori che trasferiscono in Italia la propria residenza, a determinate condizioni.
Ai sensi dell’articolo 16, comma 1 del d.lgs. n. 147 del 2015, i requisiti per avere accesso all’agevolazione sono i seguenti:
- il lavoratore deve trasferire la residenza nel territorio dello Stato, ai sensi dell’articolo 2 del TUIR;
- il lavoratore non deve essere stato residente in Italia nei due periodi d’imposta precedenti al trasferimento e si deve impegnare a mantenere la residenza in Italia per almeno 2 anni;
- il lavoratore deve svolgere l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.
Il regime agevolato può spettare anche ai cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale.
In questo caso devono essere rispettate le seguenti condizioni:
- i cittadini devono essere in possesso di un titolo di laurea e aver svolto "continuativamente" un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 2 anni o più;
- i soggetti devono aver svolto "continuativamente" un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 2 anni o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post-lauream.
I soggetti in questione devono trasferire la propria residenza fiscale in Italia almeno per i successivi due anni a pena di decadenza dell’agevolazione.
Lavoratori impatriati, in cosa consiste l’agevolazione e i requisiti da rispettare
Nel rispetto dei requisiti indicati i soggetti hanno diritto all’agevolazione.
In tal caso i redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i redditi di lavoro autonomo e i redditi d’impresa prodotti dai soggetti identificati dal comma 1 o dal comma 2 concorrono alla formazione dell’imponibile complessivo nella misura del 30 per cento.
Il regime speciale si applica per 5 anni, a partire dal periodo d’imposta in cui i contribuenti trasferiscono la residenza fiscale in Italia e per i successivi quattro periodi d’imposta.
Alcuni chiarimenti sull’accesso all’agevolazione sono stati forniti con la circolare 23 maggio 2017 numero 17, parte II, paragrafo 3.1. Il documento di prassi chiarisce che i soggetti che rientrano in Italia dopo un distacco all’estero non possono beneficiare del regime agevolato dal momento che si verifica continuità con la precedente posizione.
Una posizione più aperta è stata fornita con la risoluzione 5 ottobre 2018, numero 76, che ha precisato le specifiche ipotesi in cui il rientro in Italia non sia conseguenza della naturale scadenza del distacco. Tali casi sono in linea con la ratio della norma agevolativa.
In questo caso sono due gli elementi da considerare:
- se la proroga del distacco e la durata determinano un affievolimento dei legami con il territorio italiano e un effettivo radicamento del dipendente nel territorio estero;
- se il rientro in Italia non è in "continuità" con la precedente posizione lavorativa in Italia.
In questa seconda ipotesi rientrano i casi in cui il dipendente assuma un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario, in virtù di competenze ed esperienze professionali maturate all’estero.
Lavoratori impatriati, l’esclusione dall’agevolazione
Dopo aver riepilogato il quadro normativo di riferimento e aver analizzato la documentazione fornita dall’istante, l’Agenzia delle Entrate spiega che il lavoratore non ha diritto all’agevolazione.
Nel documento di prassi sono infatti richiamate alcune condizioni che portano all’esclusione dal regime speciale.
Uno di questi, come spiegato dalla circolare numero 33 del 28 dicembre 2020, al paragrafo 7.1, si riferisce al caso in cui sia presente lo stesso contratto, presso lo stesso datore di lavoro.
In linea generale, la presenza di un nuovo contratto darebbe accesso all’agevolazione, tuttavia il documento di prassi chiarisce quanto di seguito riportato:
“La predetta circolare chiarisce, inoltre, che l’agevolazione non è applicabile nelle ipotesi in cui il soggetto, pur in presenza di un nuovo contratto per l’assunzione di un nuovo ruolo aziendale al momento dell’impatrio, rientri in una situazione di «continuità» con la precedente posizione lavorativa svolta nel territorio dello Stato prima dell’espatrio.”
La condizione di "continuità" si può verificare anche in presenza di un nuovo ruolo aziendale e di un mutamento di retribuzione, ad esempio quando rimangono immutate a livello sostanziale le condizioni contrattuali precedenti all’espatrio.
Ad esempio, in presenza delle condizioni che rientrano nel seguente elenco:
- il riconoscimento di ferie maturate prima del nuovo accordo aziendale;
- il riconoscimento dell’anzianità dalla data di prima assunzione;
- l’assenza del periodo di prova;
- clausole volte a non liquidare i ratei di tredicesima (ed eventuale quattordicesima) maturati e il trattamento di fine rapporto al momento della sottoscrizione del nuovo accordo;
- clausole in cui si prevede che alla fine del distacco, il distaccato sarà reinserito nell’ambito dell’organizzazione della Società distaccante con gli stessi termini e le stesse condizioni di lavoro in vigore prima del distacco, presso la società di appartenenza.
Nel caso concreto, vengono riscontrati alcuni degli elementi riportati nell’elenco e il soggetto non può, quindi, avere accesso al regime speciale per lavoratori impatriati.
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