Le politiche di disintermediazione del rapporto tra fisco e contribuente, l’informatizzazione dei servizi, la riduzione della marginalità sono temi che rendono sempre meno attrattiva la professione orientata alle attività di base, quali le gestioni contabili e gli adempimenti fiscali. L’analisi del momento ed i risvolti di alcune discutibili scelte del Legislatore.
Il susseguirsi sempre più disorganico delle novità fiscali di questi ultimi decenni, sommato all’avvento dell’era informatica, sta modificando la percezione da parte del cliente contribuente della attività di base della consulenza fiscale da consulenza a servizio di base.
Una questione non di poco conto per le professioni tributarie e con seri risvolti economici che stanno impattando non solo sui margini di redditività delle piccole realtà, per le quali restano ancora oggi la fonte principale di entrata, ma anche sulle scelte delle giovani leve universitarie meno disposte a scegliere percorsi di studio orientati verso la professione, a favore di una ben altra propensione verso cicli orientati verso una carriera in azienda.
La burocrazia ed il disamoramento
La tipologia di quesiti più ricorrenti in questo ultimo mese nelle pagine social frequentate da colleghi sono una ulteriore testimonianza di un disamoramento del professionista verso la propria professione:
- “Non ho ancora capito se i forfettari avranno obbligo della fatturazione elettronica dal 2022”
- “Quando accrediteranno il Fondo Perequativo?”
- “Come si fa a pubblicare l’avvenuta percezione degli aiuti Covid?“
- “Dove si compila il modulo da inviare per la Definizione Agevolata?“
Senza qui dilungarsi nel merito specifico delle relative tematiche, sono domande che oltre a dare riscontro degli effetti di una burocrazia pervasiva e per lo più fine a se stessa, denotano un appiattimento sostanzialmente verso il basso del modo di intendere la professione da parte di diversi colleghi e questo mi fa dire che in molti non vi è più alcuno stimolo nel voler leggere e documentarsi “perché tanto c’è qualcuno che lo fa per me”.
E, peraltro, rilevano una certa inefficacia della formazione obbligatoria, prevista sia per le professioni ordinistiche che per gli iscritti alle associazioni dei tributaristi di cui alla Legge 4/2013, come oggi concepita per:
- un approccio troppo disincantato del fruitore che lo interpreta come un mero inutile obbligo magari da “delegare” ad altri;
- od anche perché eccessivamente orientata verso una tipologia di alta formazione che però non fornisce le risposte necessarie a quella che è l’esigenza del professionista medio.
Un legislatore distratto
A questo si aggiungono alcune discutibili scelte del Legislatore quali l’ultima relativa alla esenzione IRAP, riconosciuta alle sole attività individuali, ma anche gli effetti del regime forfettario, della cedolare secca applicabile alle sole unità immobiliari adibite ad abitazioni, od il perseverare della normativa attuale nel voler considerare momento impositivo il confluire di più studi individuali in uno studio associato o in una STP, ovvero il fisco ostacolo delle aggregazioni che creerebbe quelle economie di scala utili ad ottimizzare i costi di studio ed a ampliare le specializzazioni proposte.
Deve essere sottolineato che l’informatizzazione delle gestioni contabili non è stata accompagnata da un adeguamento della normativa tributaria ai tempi di oggi, con tutto quello che ne consegue riguardo ad esempio alla gestione dei cicli passivi di fatturazione che devono mantenere il doppio binario elettronico e cartaceo come pure delle complicanze riguardo l’astruso metodo introdotto per la gestione della liquidazione della imposta di bollo sulle fatture elettroniche.
Ed ancora mi chiedo come potrà mai funzionare l’annunciata gestione IVA in forma precompilata, alla luce della normativa attuale, se non con il supporto di noi professionisti della materia.
Come peraltro sta accadendo per i Modelli 730 precompilati, per ammissione dello stesso Direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Ruffini che in una recente intervista rilasciata al Messaggero ha detto, riferendosi ai modelli inviati dai contribuenti con rettifiche
“… sono stati trasmessi grazie al lavoro dei Caf e dei commercialisti e dei consulenti del lavoro”
Adempimenti ridondanti e dal ridotto valore aggiunto quali a mero titolo di esempio:
- liquidazioni periodiche che si sovrappongono a quella annuale;
- calcoli IMU che obbligano alla ricerca delle delibere di qualche sperduto municipio;
- avvisi di compliance che rimandano ad integrative precompilate che quasi mai sono disponibili;
- un servizio CIVIS lasciato al comportamento proattivo dell’impiegato di turno;
- SPID che spesso e volentieri consente l’accesso al proprio cassetto fiscale ma non sempre a quello delle società di cui si è amministratori.
Questo uno spaccato della quotidianità di un piccolo studio che, dovendo confrontarsi giornalmente con ciò, ha meno tempo e spazio per generare valore aggiunto con una consulenza di maggior utilità per il cliente.
Da parte degli imprenditori si vede diffondere, di conseguenza, la percezione di questa attività come un mero servizio contabile che indirizza la scelta verso una opzione di ricerca del miglior offerente e non più per referenze qualitative.
Ecco quindi vedere i nostri figli scegliere spesso altro, e da genitore come potrei dagli torto.
Che la attesa Riforma Fiscale possa cambiare qualcosa lo credo poco, visto l’antipasto contenuto nella manovra per il 2022, ma chissà...
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Il triste clivo delle professioni tributarie di base