Evasione IRAP, nessun raddoppio dei termini di accertamento: le violazioni delle disposizioni non portano a sanzioni penali. Lo chiarisce la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 25631 del 22 settembre 2021.
Con riferimento all’IRAP non opera il raddoppio dei termini di accertamento poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali.
Questo il contenuto dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 25631 del 22 settembre 2021.
La sentenza - La controversia attiene al ricorso proposto da una società avverso un avviso di accertamento relativo a una rettifica delle imposte ai fini IRAP relativo al periodo 2006, perché notificato oltre i termini decadenziali previsti dalla legge.
In riforma parziale della sentenza di primo grado, la CTR ha accolto motivo di appello della contribuente società con riguardo all’IRAP.
Avverso la sentenza ha ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, denunciando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 37 del d. L. n. 223 del 2006 nonché degli artt. 24 e 25 del d. Lgs. n. 446 del 1997 e dell’art. 43 c. 3 del d.P.R. n. 600 del 1973 per avere la CTR erroneamente ritenuto che il c.d. “raddoppio” dei termini di accertamento di cui alle disposizioni sopra richiamate non si applicasse ai termini previsti per il tributo IRAP.
Il motivo di ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che per l’effetto ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla medesima Commissione Tributaria Regionale in diversa composizione, anche per la statuizione delle spese giudizio di legittimità.
L’istituto del raddoppio dei termini di accertamento è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla Riforma Bersani del 2006 che, con il D.L. 223/2006, ha integrato gli artt. 43 del D.P.R. n. 600/1973 (Imposte dirette) e 57 del D.P.R. n. 633/1972 (IVA), prevedendo un significativo ampliamento dei termini di accertamento in presenza di contestazioni penalmente rilevanti.
La disciplina è stata modificata in un primo momento dal D.Lgs. 128 del 2015 che ha introdotto nei citati articoli il seguente periodo: “il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte del’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti.”
Più precisamente, l’art. 37, co. 24 del d.l. n. 223/2006 ha previsto che, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia per uno dei reati penal-tributari previsti dal d.lgs. n. 74/2000, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione.
La questione è se il principio, espressamente sancito per l’IRPEF e l’IVA, possa essere applicato anche all’IRAP. Sul punto la Corte di cassazione è oramai unanime nel ritenere che il raddoppio dei termini, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (in senso conforme Cass. 15988/2020 e Cass. 6668/2020).
In altre parole, non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali, in relazione alla stessa non può operare la disciplina del raddoppio dei termini di accertamento prevista ai fini di IRPEF e IVA, ratione temporis, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo.
Se ne deduce, pertanto, che nel caso di specie l’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto notificare l’atto impositivo ai fini IRAP entro il termine quinquennale di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, vigente ratione temporis, a pena di decadenza, essendo escluso il regime del raddoppio dei termini di accertamento previsto in caso di notizia criminis di natura fiscale.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: L’evasione dell’IRAP è fuori dai reati penal-tributari