La dichiarazione IVA e tutti gli adempimenti ad essa collegati, come le liquidazioni periodiche IVA, non risultano essere obbligatori per tutti gli organismi economici, alcune particolari categorie di enti sono difatti esonerate dal legislatore.
Dichiarazione IVA e adempimenti collegati, l’esonero degli enti non commerciali: per la naturale struttura della loro organizzazione, svolgono tendenzialmente attività classificabili come istituzionali e per tale assunto de-commercializzate dal legislatore, nel senso che, pur ricadendo in linea generale nella tipica definizione di “attività commerciale” ma essendo effettuate per scopi sociali, esse perdono tale identificazione non facendo quindi nascere la necessità di ulteriori adempimenti fiscali.
Le organizzazioni no profit possiedono la qualifica di enti non commerciali, da questo si presume che le attività da esse svolte non ricadano tra quelle disciplinate dall’art. 2195 del codice civile, ma è opportuno fare una precisazione.
Al fine di perseguire gli obiettivi stabiliti nello statuto al momento della costituzione, un’associazione può avere la necessità di aprire la partita IVA e non solo di ottenere una identità giuridica attraverso la registrazione dell’atto costitutivo presso l’Agenzia delle Entrate e la contestuale attribuzione del codice fiscale.
Dichiarazione IVA: l’esonero degli enti non commerciali
Le associazioni per natura perseguono uno scopo definito solidaristico o ideale, raggiungibile attraverso lo svolgimento di attività chiamate istituzionali, tale termine si riferisce infatti al loro svolgimento strettamente destinato ai soci dell’ente e comunque configurabile come di pubblica utilità.
L’obbligatorietà degli adempimenti necessari secondo la disciplina IVA nasce infatti dalla natura dell’attività esercitata, e dal tipo di regime fiscale a cui corrisponde l’ente considerato.
La definizione di “ente non commerciale” non è riscontrabile nella disciplina IVA ma è desumibile da quanto scritto all’art. 148 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, il quale identifica tali organizzazioni attraverso la loro mancanza di esclusività nell’esercizio di attività commerciale.
L’attività principale svolta da un ente può essere identificata attraverso l’analisi qualitativa dell’obiettivo da esso perseguito e dei mezzi impiegati al fine del suo effettivo raggiungimento.
L’atto costitutivo e lo statuto dell’ente sono essenziali nella determinazione dello scopo per cui è stata creata l’associazione, come disciplinato dall’art. 73 del TUIR al comma 4 e 5:
“ l’oggetto esclusivo o principale dell’ente residente e’ determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto. In mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l’oggetto principale dell’ente residente e’ determinato in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applica in ogni caso agli enti non residenti.”
Lo scopo solidaristico ed ideale e la definizione che si evince dall’art. 148 del TUIR permette la de-commercializzazione di attività, svolte dalle associazioni al fine del perseguimento dell’obiettivo sociale, che in altre circostanze sarebbero state configurate come commerciali.
Ad esempio, le somme versate dagli associati stessi a titolo di quote o contributi associativi non concorrono alla formazione della base imponibile ai fini redditi ed IVA, in quanto non esiste un rapporto di controprestazione sinallagmatico tra associato ed associazione, mentre si considerano effettuate nell’esercizio di attività commerciali, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati verso il pagamento di corrispettivi specifici.
La de-commercializzazione generica riguarda invece lo svolgimento delle attività dette “istituzionali”, senza specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione, disciplinata dall’art. 143 del TUIR.
Discorso diverso è dovuto invece per quelle attività che non possono essere de-commercializzate.
Quando l’ente è esonerato dalla presentazione della dichiarazione iva
L’ente non commerciale per non perdere tale qualifica deve rispettare alcune soglie, al di sotto delle quali può anche svolgere alcune attività configurabili come commerciali senza però che esse divengano prevalenti.
Lo svolgimento di attività commerciali obbliga, quindi, l’ente ad effettuare tutti i vari adempimenti previsti dalla disciplina iva, inoltre in alcuni casi non è mai possibile seguire la presunzione di de-commercializzazione, in particolare per le seguenti attività:
- cessione di prodotti nuovi;
- somministrazione di pasti;
- erogazione di acqua, gas, energia elettrica;
- prestazioni alberghiere, alloggio, trasporto;
- gestione di spacci aziendali e mense;
- organizzazioni di viaggi e soggiorni turistici;
- gestione di fiere a carattere commerciale;
- pubblicità commerciale;
- telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.
Ed in ogni caso se le attività sono svolte nei confronti dei terzi.
L’esercizio dell’opzione per l’applicazione del regime forfettario, previsto dalla legge 398/91, ha concesso l’esonero degli enti non commerciali dagli adempimenti IVA relativamente a tutti i proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali connesse agli scopi istituzionali.
Si desume quindi che se l’ente non commerciale rientra nel regime sopra decritto o svolge attività di natura esclusivamente istituzionale non ha nessun obbligo relativamente agli adempimenti previsti dalla disciplina IVA.
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