L'impresa sociale esercita attività di impresa di interesse generale, perseguendo nella sua organizzazione l'assenza della finalità di lucro con specifiche regole. Ci sono, però, alcune forme considerate indirettamente distribuzione di utili che mettono a rischio questa caratteristica.
Gli enti del terzo settore sono considerati enti senza scopo di lucro in quanto lo svolgimento della loro attività non è finalizzato alla distribuzione di utili, ma è invece strettamente funzionale al raggiungimento degli obiettivi solidali per la quale è stata costituita.
Nel caso dell’impresa sociale tale aspetto è leggermente diverso in quanto il legislatore ha previsto specifiche percentuali entro le quali in realtà è consentita la distribuzione di utili.
Preme, in questa sede, analizzare quali sono le forme invece considerate indirettamente distribuzione di utili non ammesse nell’impresa sociale al fine di poter mantenere l’assenza dello scopo di lucro.
Impresa sociale: assenza dello scopo di lucro
Lo scopo di lucro, distinguibile tra oggettivo e soggettivo, non è altro che l’obiettivo che si prefiggono di raggiungere le imprese private, al fine di poter far crescere la propria attività e ricavarne profitto.
Gli enti del terzo settore svolgono invece la loro attività per il soddisfacimento dei bisogni dei propri soci e della comunità, per questo per natura essi non perseguono scopo di lucro. Tale assunto vale anche per le imprese sociali, pur se con alcune specifiche.
L’art. 3 del d.lgs 112/2017 al comma 2 prevede che per le imprese sociali “è vietata la distribuzione, anche indiretta, di utili ed avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominati, a fondatori, soci o associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali, anche nel caso di recesso o di qualsiasi altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto”.
Tranne che in ipotesi particolari, oggetto di specifica analisi, non è quindi possibile per l’impresa sociale distribuire utili ed avanzi di gestione, sia ai soci che ai lavoratori.
Non è quindi possibile remunerare i soci, gli associati o anche i lavoratori attraverso la redistribuzione dei profitti eventualmente prodotti attraverso l’esercizio dell’attività di impresa sociale.
L’art. 3 specifica inoltre che tale redistribuzione non può avvenire nemmeno in forma indiretta. Quindi è importante capire che cosa intende il legislatore per distribuzione indiretta e quali sono quindi le casistiche da analizzare per non perdere la qualifica di impresa sociale.
Scopo di lucro: distribuzione indiretta degli utili
L’art. 3 del d.lgs 112/2017 ha quindi previsto l’impossibilità di distribuzione di utili ed avanzi anche in modo indiretto. Si rende quindi necessario comprendere quali sono le casistiche secondo le quali il legislatore considera determinati atti come distribuzione indiretta di utili e non ne consente quindi l’espletamento.
Si considerano in ogni caso distribuzione indiretta di utili:
- la corresponsione ad amministratori, sindaci e a chiunque rivesta cariche sociali di compensi individuali non proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze o comunque superiori a quelli previsti in enti che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni;
- la corresponsione ai lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del quaranta per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di interesse generale;
- la remunerazione degli strumenti finanziari diversi dalle azioni o quote, a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per la distribuzione di dividendi;
- l’acquisto di beni o servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale;
- le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, a condizioni più favorevoli di quelle di mercato, a soci, associati o partecipanti, ai fondatori, ai componenti gli organi amministrativi e di controllo, a coloro che a qualsiasi titolo operino per l’organizzazione o ne facciano parte, ai soggetti che effettuano erogazioni liberali a favore dell’organizzazione, ai loro parenti entro il terzo grado ed ai loro affini entro il secondo grado, nonché alle società da questi direttamente o indirettamente controllate o collegate, esclusivamente in ragione della loro qualità, salvo che tali cessioni o prestazioni non costituiscano l’oggetto dell’attività di interesse generale;
- la corresponsione a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, di interessi passivi, in dipendenza di prestiti di ogni specie, superiori di quattro punti al tasso annuo di riferimento.
Da quanto sopra esposto è facile desumere che si ritiene distribuzione indiretta di utile ogni tipo di remunerazione non congrua all’attività effettivamente svolta dai soggetti riceventi l’emolumento, siano essi lavoratori, soci, od ogni altra casistica sopra analizzata.
Pertanto nel caso in cui l’impresa sociale effettui una delle movimentazioni sopra esposte non potrà più escludersi lo scopo di lucro.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Impresa sociale: ente senza scopo di lucro con specifiche caratteristiche