Lo Stato prevede adeguate e specifiche agevolazioni fiscali, a fronte di compiti e funzioni sociali rilevanti. La Corte di Cassazione si è pronunciata in merito, avendo come caso in esame quello di una Fondazione bancaria
Un tema senz’altro molto rilevante è quello del concetto di promozione sociale, come presupposto (anche costituzionale) per vantare il diritto ad un trattamento fiscale agevolato.
In tal senso la recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 27300/2023, in tema di Fondazioni bancarie, può dare degli spunti di riflessione.
Fondazioni bancarie e il concetto della promozione sociale: il caso in esame
Nel caso di specie, una Fondazione bancaria, titolare del 21 per cento delle azioni di una banca, per gli esercizi compresi tra il 1994/1995 ed il 1998/1999, sul presupposto del perseguimento di fini di interesse collettivo ed utilità sociale, vantava il diritto all’applicazione, ai fini Irpeg, dell’aliquota agevolata prevista dall’art. 6 Dpr. 29 settembre 1973, n. 601.
In particolare, la contribuente, in qualità di ente originatosi a seguito dell’operazione di scorporo e conferimento dell’azienda bancaria già di proprietà dell’Istituto di credito, assumeva di aver cessato l’attività bancaria, peraltro preclusa dallo Statuto, e di perseguire fini di interesse collettivo e utilità sociale.
Per l’effetto, per alcuni esercizi, procedeva ab origine a liquidare i propri debiti tributari secondo l’aliquota agevolata, mentre per altre annualità applicava prima l’aliquota piena e poi, in sede di dichiarazione integrativa, quella agevolata, presentando, conseguentemente, istanza di rimborso.
L’Ufficio non provvedeva al rimborso e, infine, negava espressamente il diritto a beneficiare dell’aliquota pari al 18,5 per cento di cui all’art. 6 cit.
Instaurato il giudizio, la Commissione Tributaria Provinciale, accoglieva il ricorso della contribuente, mentre i giudici di secondo grado, in riforma della sentenza, escludevano il diritto all’agevolazione per la sola annualità 1997/1998.
Tale sentenza veniva infine cassata con rinvio alla CTR con la seguente motivazione (Cass. 11/08/2020, n. 16906):
“affinché provveda a un nuovo esame della controversia, verificando se la Fondazione abbia dimostrato di avere in concreto svolto un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale anziché, attraverso il controllo e governo delle partecipazioni nella conferitaria..., un’attività di impresa bancaria, con riferimento sia al periodo d’imposta 1997-1998, sia a ciascuno dei periodi d’imposta 1994-1995, 1995-1996, 19961997 e 1998-1999...”
La Commissione Tributaria Regionale confermava la sentenza di primo grado, di accoglimento del ricorso, e riconosceva il diritto all’aliquota agevolata per tutte le annualità oggetto di giudizio.
Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate proponeva ancora ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, la violazione dell’art. 6 Dpr. 29 settembre 1973 n. 601, per avere la sentenza impugnata ritenuto che la Fondazione appartenesse agli enti di cui alla citata normativa per il solo fatto che aveva provato di avere erogato somme a finalità sociali e che, per ciò solo, avesse perduto i connotati, tutt’altro che non profit, dell’ente conferente ex Dlgs. n. 356 del 1990.
Precisava inoltre l’Amministrazione finanziaria che il perseguimento di quelle finalità statutarie era tipico degli enti conferenti, ma si collegava ed era assorbito da altre finalità, creditizie, non essendo certo sufficiente a trasformare un soggetto bancario in una istituzione benefica, sociale o culturale, come quelle contemplate dall’art. 6.
L’Ufficio denunciava poi l’omesso esame di punti di fatto decisivi e controversi, ravvisati nel tipo di attività che la Fondazione svolgeva, in particolare:
- se si trattasse di attività complessa di vero “ente conferente”, cioè di controllo e indirizzo gestionale della banca partecipata, da un lato, e di erogazione per finalità sociali, dall’altro;
- se, invece, si trattasse di attività meramente di promozione e sostegno di talune attività socialmente utili, senza alcuna finalità lucrativa e senza alcuna possibilità, legale o di fatto, di influenzare la gestione della banca partecipata, costituendo così il possesso di questa un mero cespite patrimoniale detenuto in modo passivo.
Fondazioni bancarie e promozione sociali: la posizione della Corte di Cassazione
Secondo la Suprema Corte le censure erano fondate.
Evidenziano i giudici di legittimità che non era nella specie controverso che la contribuente rientrasse tra le fondazioni bancarie risultate dal conferimento delle aziende di credito in società per azioni ai sensi della c.d. riforma Amato, di cui alla legge 30 luglio 1990, n. 218 e del Dlgs. 20 novembre 1990, n. 356.
La sentenza di rinvio emessa dalla Corte riprendeva peraltro il principio espresso dalle Sezioni Unite, secondo cui la possibile fruizione per dette fondazioni, anteriormente alla cosiddetta riforma Ciampi di cui alla legge n. 461/1998 e al Dlgs. n. 153/1999 dell’agevolazione di cui all’art. 6 del Dpr. n. 601/1973 richiede la dimostrazione, di cui detti enti sono onerati in base al comune regime della prova ex art. 2697 cod. civ., di avere in concreto svolto un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale, anziché quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie (cfr. Cass. n. 1576/2009; Cass. n. 1576/2013; n. 7882/2016; n. 11648/2017).
Tale orientamento, sottolinea la Corte, è del resto in linea con la giurisprudenza comunitaria, che, dopo aver precisato che costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato e che, nell’ambito del diritto della concorrenza, il concetto di impresa comprende qualsiasi ente che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento, ha statuito che, in linea di principio, il semplice possesso di partecipazioni, anche di controllo, non è sufficiente a configurare un’attività economica del soggetto che detiene tali partecipazioni, ove tale possesso comporti solo l’esercizio dei diritti connessi alla qualità di azionista o socio, nonché, eventualmente, la percezione dei dividendi; e che, però, un soggetto che, titolare di partecipazioni di controllo in una società, eserciti effettivamente tale controllo, partecipando direttamente o indirettamente alla gestione di essa, deve essere considerato partecipe dell’attività economica svolta dall’impresa controllata e, quindi dev’essere considerato, a tale titolo, esso stesso un’impresa.
In un tale contesto, la semplice suddivisione di un’impresa in due enti distinti, uno con il compito di svolgere direttamente l’attività economica precedente e il secondo con quello di controllare il primo, intervenendo comunque nella sua gestione, consentirebbe di eludere le norme comunitarie sugli aiuti di Stato, in quanto l’ente controllante potrebbe beneficiare di sovvenzioni o di altri vantaggi concessi dallo Stato e di utilizzarli in tutto o in parte a beneficio dell’impresa controllata (cfr., Corte giustizia 10/01/2006, n. 222 causa C-222/04).
Le Sezioni Unite della Corte hanno quindi precisato che tale tipo di ente, difficile da classificare, presenta comunque caratteristiche che non si conciliano con quelle degli enti elencati nell’art. 6 Dpr. n. 601 del 1973, precisando che, all’evidenza, gli enti conferenti, almeno fino a quando hanno amministrato in regime pubblicistico le partecipazioni nelle società conferitarie, hanno svolto essenzialmente e/o prevalentemente una vera e propria attività di gestione dell’impresa bancaria, rapportabile all’attività delle holding, dovendo quindi essere escluso che l’attività delle fondazioni fosse finalizzata al perseguimento di obiettivi sociali, meritevoli di agevolazioni.
In sostanza, punto centrale dell’orientamento di legittimità è che la Fondazione bancaria, per poter beneficiare dell’aliquota ridotta di cui all’art. 6 cit., è gravata dell’onere di provare di non aver svolto attività bancaria, nemmeno in forma indiretta, laddove ciò che trasforma la mera detenzione di partecipazioni in esercizio di attività d’impresa è il controllo della fondazione sull’attività della banca; controllo che non è dipendente dal tipo di partecipazione detenuta (di maggioranza o non), ma si qualifica in relazione alle modalità di gestione delle partecipazioni e ai rapporti che intercorrono fra la banca e la fondazione.
Agevolazioni fiscali previste dallo Stato: le conclusioni sul caso in esame
La sentenza impugnata, in conclusione, non era conforme ai suddetti principi, essendosi la CTR limitata ad accertare che la Fondazione aveva impiegato, per gli anni in questione, una consistente parte delle risorse per attività di promozione sociale e culturale.
Tale circostanza, tuttavia, rileva la Corte, non era determinante.
La CTR aveva inoltre errato anche nell’affermare che spettava all’Ufficio dimostrare quale fosse stata l’attività di impresa diretta o indiretta esercitata dalla Fondazione, operando anzi, evidenzia la Cassazione, una vera e propria presunzione di esercizio dell’attività di impresa bancaria in capo a coloro che, in ragione della entità della partecipazione al capitale sociale, sono in grado di influire sull’attività dell’ente creditizio, laddove comunque, per poter beneficiare dell’aliquota ridotta, spettava alla Fondazione provare di non avere svolto tale tipo di attività nemmeno in forma indiretta.
A prescindere dalla specifica questione e dal caso processuale, in termini più generali, giova comunque evidenziare che le regole tributarie servono a “tradurre” l’andamento dell’impresa in un equo contributo della stessa impresa alle risorse per la collettività (le imposte dovute, appunto).
Il rapporto fiscale vede due attori: imprenditore/contribuente e Stato. E ognuno di questi ha dei diritti e dei doveri.
Anche lo Stato, anche per dettato costituzionale, ha infatti dei doveri specifici verso il mondo dell’impresa. In tal senso, in particolare in casi meritevoli di ausilio e sostegno, lo Stato dovrebbe riconoscere delle specifiche agevolazioni fiscali.
Sotto il profilo delle agevolazioni fiscali riconosciute a soggetti che esercitano l’attività finanziaria in modo “etico”, un parallelo interessante, potrebbe essere per esempio fatto con la disciplina in tema di Banche di credito cooperativo, per le quali sono previste notevoli agevolazioni fiscali, di cui, nello specifico, le Bcc godono in vista del rispetto dei principi di mutualità e territorialità, laddove anche questi in concreto dimostrati.
In sostanza, a fronte di compiti e funzioni sociali rilevanti, lo Stato riconosce, giustamente, adeguati e specifici percorsi fiscali premiali.
Ma solo nei casi specificatamente previsti dalla legge e comunque in conformità con i principi comunitari.
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