Gli enti del terzo settore svolgono attività di interesse generale fra quelle previste dall'art. 5 del d.lgs 117/2017, e complementari ad esse, ma possono effettuare anche attività definite diverse dall'art. 6 del CTS entro determinati limiti. Note pratiche, metodo di calcolo e regole da rispettare.
Le attività definite generali ed elencate all’interno dell’art. 5 del d.lgs 117/2017 sono per natura non commerciali, se svolte da un ente del terzo settore con finalità di tipo no profit ed orientate al raggiungimento degli scopi sociali.
Oltre a tali attività un ente non commerciale può però svolgere anche altre tipologie di attività, come previsto dall’art. 6 del d.lgs 117/2017, a patto che esse siano effettuate rispettando particolari limiti ed in modo complementare alle prime.
Fin dall’inizio ci siamo interrogati su quali potessero essere i metodi più corretti per determinare il rispetto o meno dei limiti imposti dal legislatore per l’esercizio delle cosiddette attività diverse.
Il decreto 107/2021 ha finalmente chiarito quale deve essere il metodo di calcolo corretto e quali saranno le sanzioni che verranno eventualmente applicate in caso di mancato rispetto di tali previsioni.
Le attività diverse: limiti di esercizio
Partendo dalla definizione di attività diverse, così come prevista dall’art. 6 del d.lgs 117/2017 esse sono “attività, che possono esercitare gli ETS, diverse da quelle di cui all’articolo 5, a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano e siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale, secondo criteri e limiti definiti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentita la Cabina di regia di cui all’articolo 97, tenendo conto dell’insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate in tali attività in rapporto all’insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate nelle attività di interesse generale”.
Il decreto 107/2021 ha quindi sanato la lacuna normativa così come richiesto dall’art. 6 del CTS, andando a chiarire quali saranno le specifiche voci che interesseranno il calcolo dei costi complessivi, tenendo conto dell’insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate in tali attività in rapporto all’insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate nelle attività di interesse generale.
L’art. 2 del decreto 107/2021 definisce le attività diverse come “strumentali” rispetto alle attività di interesse generale se, indipendentemente dal loro oggetto, sono esercitate dall’ente del Terzo settore, per la realizzazione, in via esclusiva, delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite dall’ente medesimo.
È chiaro quindi che lo svolgimento delle attività diverse deve essere strettamente funzionale alla realizzazione delle attività generali, principali dell’associazione.
Quindi questa è la reale condizione fondamentale, di base. Nel caso in cui le attività diverse diventino di primaria importanza si creerebbe un evidente squilibrio.
A livello contabile è però necessario capire come tenere sotto controllo tale situazione per prevenire situazioni sfavorevoli.
Attività diverse: metodo di calcolo
Le attività diverse si considerano secondarie e quindi strumentali a quelle generali se vengono rispettati i limiti previsti dal legislatore ed indicati all’art. 3 comma 1 del decreto 107/2021.
Il limite da rispettare in ciascun anno sarà uno dei seguenti:
- i ricavi relativi alle attività diverse non dovranno essere superiori al 30 per cento delle entrate complessive dell’ente del Terzo settore;
- i relativi ricavi non siano superiori al 66 per cento dei costi complessivi dell’ente del Terzo settore.
Nel momento in cui l’ente dovrà redigere il proprio rendiconto e l’organo di amministrazione dovrà quindi presentare i documenti contabili ai soci oltre a redigere la propria relazione, dovrà essere evidenziato il criterio utilizzato tra i due sopra elencati al fine di verificare il rispetto dei limiti per l’esercizio delle attività diverse.
Nel caso in cui il metodo utilizzato sia il secondo e quindi quello che prevede che i ricavi non siano superiori al 66 per cento dei costi complessivi dell’ente del Terzo settore, è necessario capire cosa si intende per costi complessivi.
L’art. 3 comma 3 del decreto 107/2021 prevede infatti che rientrino tra i costi complessivi dell’ente anche:
- i costi figurativi relativi all’impiego di volontari iscritti nel registro di cui all’articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, calcolati attraverso l’applicazione, alle ore di attività di volontariato effettivamente prestate, della retribuzione oraria lorda prevista per la corrispondente qualifica dai contratti collettivi, di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81;
- le erogazioni gratuite di denaro e le cessioni o erogazioni gratuite di beni o servizi, per il loro valore normale;
- la differenza tra il valore normale dei beni o servizi acquistati ai fini dello svolgimento dell’attività statutaria e il loro costo effettivo di acquisto.
Non sono però presi in considerazione, così come precisato dal comma 4 dell’art. 3 del decreto 107/2021, i proventi e gli oneri derivanti dal distacco del personale degli enti del terzo settore presso altri enti.
Limiti di esercizio delle attività diverse negli ETS: sanzioni ed obblighi
Nel caso in cui non vengano rispettati i limiti previsti dal decreto 107/2021 all’art. 3, per l’ente del terzo settore scatta l’obbligo di effettuare, entro trenta giorni dalla data di approvazione del bilancio, una segnalazione all’ufficio competente del RUNTS ai sensi dell’art. 93 comma 3 del d.lgs 117/2017.
Oltre ad effettuare tale segnalazione, l’ente sarà obbligato, nell’esercizio successivo a quello in cui ha superato i limiti previsti, a rispettare un rapporto tra attività secondarie e principali, applicando lo stesso criterio scelto l’anno precedente, che sia inferiore alla soglia massima per una percentuale almeno pari alla misura del superamento dei limiti nell’esercizio precedente.
Per fare quindi un esempio pratico: l’ente che ha scelto il criterio dei ricavi che non devono essere superiori al 66 per cento dei costi complessivi dell’ente del Terzo settore e che supera il limite del 4 per cento arrivando al 70 per cento, l’anno successivo dovrà mantenere un rapporto massimo del 62 per cento tra ricavi provenienti dalle attività diverse e costi complessivi.
Nel caso di mancato rispetto di tali limiti od omessa segnalazione al RUNTS, il registro procederà con la cancellazione dell’ente.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Limiti di esercizio delle attività diverse negli ETS: note pratiche e metodi di calcolo